Docsity
Docsity

Prepare-se para as provas
Prepare-se para as provas

Estude fácil! Tem muito documento disponível na Docsity


Ganhe pontos para baixar
Ganhe pontos para baixar

Ganhe pontos ajudando outros esrudantes ou compre um plano Premium


Guias e Dicas
Guias e Dicas

Storia_contemporanea, Resumos de História Contemporânea

Riassunto completo di quasi tutti i capitoli del libro

Tipologia: Resumos

2024

Compartilhado em 08/07/2025

bea-rossini
bea-rossini 🇧🇷

1 documento

1 / 112

Toggle sidebar

Esta página não é visível na pré-visualização

Não perca as partes importantes!

bg1
1
CAPITOLO 1:
Il Congresso di Vienna, tenutosi tra il 1814 e il 1815, rappresentò uno snodo cruciale nella ridefinizione dell’assetto
geopolitico europeo dopo le guerre napoleoniche. Organizzato dai rappresentanti delle principali potenze europee -
Austria, Gran Bretagna, Russia e Prussia - mirava a restaurare l’ordine precedente alla Rivoluzione Francese e a
prevenire future destabilizzazioni. Il congresso si basò sui principi di legittimità dinastica e di equilibrio tra le potenze,
garantendo il ritorno dei sovrani deposti dalle conquiste napoleoniche e ripristinando un sistema geopolitico in cui
nessuna nazione potesse dominare incontrastata.
Tra le principali decisioni prese, la Russia ottenne significativi ampliamenti territoriali, includendo la Finlandia, la
Bessarabia e gran parte della Polonia. Questo permise alla Russia di consolidare la sua influenza nell’Europa orientale,
sebbene non le fosse concesso l’accesso ai Dardanelli, ambito passaggio strategico verso il Mediterraneo. L’Impero
Asburgico estese il suo controllo sull’Italia settentrionale, ricevendo la Lombardia e il Veneto, e riaffermò la propria
influenza sulla penisola italiana, dove furono restaurati diversi regimi monarchici sotto il suo controllo diretto o
indiretto. La Gran Bretagna consolidò la sua posizione strategica sui mari acquisendo Malta e mantenendo il controllo
di Gibilterra, assicurandosi così una supremazia navale che avrebbe caratterizzato tutto il XIX secolo.
La Confederazione Germanica fu creata come entità politica, composta da 39 stati di lingua tedesca sotto la presidenza
dell’imperatore austriaco, con una dieta federale a Francoforte. Questo tentativo di organizzazione politica tedesca
mirava a mantenere un equilibrio tra Prussia e Austria, ma lasciava irrisolte molte tensioni nazionalistiche.
La Francia, pur ridimensionata nei confini pre-rivoluzionari, mantenne una posizione di rilievo grazie all’abilità
diplomatica di Charles Maurice de Talleyrand, che negoziò il ritorno di Luigi XVIII sul trono. Il nuovo sovrano cercò di
bilanciare la restaurazione monarchica con alcune concessioni liberali, come la concessione di una costituzione, la
"Carta del 1814". Tuttavia, la nuova mappa europea non riuscì a eliminare le tensioni nazionali e sociali che si
sarebbero manifestate nei decenni successivi.
In Spagna, Ferdinando VII di Borbone abolì la Costituzione di Cadice e ristabilì un regime assolutista, mentre in Italia e
Germania le richieste di autonomia e indipendenza continuarono a crescere sotto la superficie della Restaurazione.
Nel settembre del 1815, lo zar Alessandro I propose la creazione della Santa Alleanza, un accordo di natura morale
tra Austria, Prussia e Russia, basato su principi cristiani e di mutuo sostegno tra le monarchie. Sebbene accolto con
scetticismo dalla Gran Bretagna e poco efficace nella pratica, l’alleanza simboleggiava il desiderio delle p otenze di
preservare l’ordine stabilito a Vienna. Ben più efficace si rivelò la Quadruplice Alleanza, firmata nel novembre dello
stesso anno, che coinvolgeva anche la Gran Bretagna e mirava a mantenere l’equilibrio europeo attraverso la
diplomazia. Questo sistema garantì una relativa stabilità fino al 1848, anno in cui l’Europa fu attraversata da una serie
di rivoluzioni.
Le rivoluzioni del 1848-1849, conosciute come “Primavera dei Popoli”, furono il risultato di profonde tensioni sociali,
politiche ed economiche. In Francia, la monarchia di Luigi Filippo cadde sotto la pressione dei moti popolari e fu
proclamata la Seconda Repubblica. Tra le riforme iniziali vi furono la libertà di stampa, l’introduzione di un’imposta
progressiva sul reddito e la riduzione dell’orario lavorativo. Tuttavia, le divisioni interne al movimento rivoluzionario,
tra moderati e socialisti, portarono a un rapido riflusso. Le elezioni del 1848 videro la vittoria dei moderati e, nel
dicembre dello stesso anno, Luigi Napoleone Bonaparte fu eletto presidente, consolidando il potere fino alla
proclamazione del Secondo Impero nel 1852.
In Austria, le rivolte iniziarono a Vienna con la cacciata di Metternich e la convocazione di un’Assemblea Costituente.
Le rivolte si diffusero anche in Ungheria, dove Lajos Kossuth guidò una guerra d’indipendenza contro gli Asburgo.
Tuttavia, le divisioni interne tra le diverse nazionalità dell’impero e l’intervento militare russo permisero all’Austria di
ristabilire l’ordine. In Italia, il biennio rivoluzionario vide eventi come le Cinque Giornate di Milano, la Repubblica
Romana e la Prima Guerra d’Indipendenza guidata da Carlo Alberto di Savoia contro gli Austriaci. Nonostante il fervore
patriottico, la mancanza di coordinamento tra le forze italiane e le sconfitte militari por al fallimento dei moti.
Venezia e Roma furono tra le ultime roccaforti a cadere, rispettivamente sotto l’assedio austriaco e l’intervento
francese.
pf3
pf4
pf5
pf8
pf9
pfa
pfd
pfe
pff
pf12
pf13
pf14
pf15
pf16
pf17
pf18
pf19
pf1a
pf1b
pf1c
pf1d
pf1e
pf1f
pf20
pf21
pf22
pf23
pf24
pf25
pf26
pf27
pf28
pf29
pf2a
pf2b
pf2c
pf2d
pf2e
pf2f
pf30
pf31
pf32
pf33
pf34
pf35
pf36
pf37
pf38
pf39
pf3a
pf3b
pf3c
pf3d
pf3e
pf3f
pf40
pf41
pf42
pf43
pf44
pf45
pf46
pf47
pf48
pf49
pf4a
pf4b
pf4c
pf4d
pf4e
pf4f
pf50
pf51
pf52
pf53
pf54
pf55
pf56
pf57
pf58
pf59
pf5a
pf5b
pf5c
pf5d
pf5e
pf5f
pf60
pf61
pf62
pf63
pf64

Pré-visualização parcial do texto

Baixe Storia_contemporanea e outras Resumos em PDF para História Contemporânea, somente na Docsity!

CAPITOLO 1:

Il Congresso di Vienna, tenutosi tra il 1814 e il 1815, rappresentò uno snodo cruciale nella ridefinizione dell’assetto geopolitico europeo dopo le guerre napoleoniche. Organizzato dai rappresentanti delle principali potenze europee - Austria, Gran Bretagna, Russia e Prussia - mirava a restaurare l’ordine precedente alla Rivoluzione Francese e a prevenire future destabilizzazioni. Il congresso si basò sui principi di legittimità dinastica e di equilibrio tra le potenze, garantendo il ritorno dei sovrani deposti dalle conquiste napoleoniche e ripristinando un sistema geopolitico in cui nessuna nazione potesse dominare incontrastata. Tra le principali decisioni prese, la Russia ottenne significativi ampliamenti territoriali, includendo la Finlandia, la Bessarabia e gran parte della Polonia. Questo permise alla Russia di consolidare la sua influenza nell’Europa orientale, sebbene non le fosse concesso l’accesso ai Dardanelli, ambito passaggio strategico verso il Mediterraneo. L’Impero Asburgico estese il suo controllo sull’Italia settentrionale, ricevendo la Lombardia e il Veneto, e riaffermò la propria influenza sulla penisola italiana, dove furono restaurati diversi regimi monarchici sotto il suo controllo diretto o indiretto. La Gran Bretagna consolidò la sua posizione strategica sui mari acquisendo Malta e mantenendo il controllo di Gibilterra, assicurandosi così una supremazia navale che avrebbe caratterizzato tutto il XIX secolo. La Confederazione Germanica fu creata come entità politica, composta da 39 stati di lingua tedesca sotto la presidenza dell’imperatore austriaco, con una dieta federale a Francoforte. Questo tentativo di organizzazione politica tedesca mirava a mantenere un equilibrio tra Prussia e Austria, ma lasciava irrisolte molte tensioni nazionalistiche. La Francia, pur ridimensionata nei confini pre-rivoluzionari, mantenne una posizione di rilievo grazie all’abilità diplomatica di Charles Maurice de Talleyrand, che negoziò il ritorno di Luigi XVIII sul trono. Il nuovo sovrano cercò di bilanciare la restaurazione monarchica con alcune concessioni liberali, come la concessione di una costituzione, la "Carta del 1814". Tuttavia, la nuova mappa europea non riuscì a eliminare le tensioni nazionali e sociali che si sarebbero manifestate nei decenni successivi. In Spagna, Ferdinando VII di Borbone abolì la Costituzione di Cadice e ristabilì un regime assolutista, mentre in Italia e Germania le richieste di autonomia e indipendenza continuarono a crescere sotto la superficie della Restaurazione. Nel settembre del 1815, lo zar Alessandro I propose la creazione della Santa Alleanza, un accordo di natura morale tra Austria, Prussia e Russia, basato su principi cristiani e di mutuo sostegno tra le monarchie. Sebbene accolto con scetticismo dalla Gran Bretagna e poco efficace nella pratica, l’alleanza simboleggiava il desiderio delle p otenze di preservare l’ordine stabilito a Vienna. Ben più efficace si rivelò la Quadruplice Alleanza, firmata nel novembre dello stesso anno, che coinvolgeva anche la Gran Bretagna e mirava a mantenere l’equilibrio europeo attraverso la diplomazia. Questo sistema garantì una relativa stabilità fino al 1848, anno in cui l’Europa fu attraversata da una serie di rivoluzioni. Le rivoluzioni del 1848-1849, conosciute come “Primavera dei Popoli”, furono il risultato di profonde tensioni sociali, politiche ed economiche. In Francia, la monarchia di Luigi Filippo cadde sotto la pressione dei moti popolari e fu proclamata la Seconda Repubblica. Tra le riforme iniziali vi furono la libertà di stampa, l’introduzione di un’imposta progressiva sul reddito e la riduzione dell’orario lavorativo. Tuttavia, le divisioni interne al movimento rivoluzionario, tra moderati e socialisti, portarono a un rapido riflusso. Le elezioni del 1848 videro la vittoria dei moderati e, nel dicembre dello stesso anno, Luigi Napoleone Bonaparte fu eletto presidente, consolidando il potere fino alla proclamazione del Secondo Impero nel 1852. In Austria, le rivolte iniziarono a Vienna con la cacciata di Metternich e la convocazione di un’Assemblea Costituente. Le rivolte si diffusero anche in Ungheria, dove Lajos Kossuth guidò una guerra d’indipendenza contro gli Asburgo. Tuttavia, le divisioni interne tra le diverse nazionalità dell’impero e l’intervento militare russo permisero all’Austria di ristabilire l’ordine. In Italia, il biennio rivoluzionario vide eventi come le Cinque Giornate di Milano, la Repubblica Romana e la Prima Guerra d’Indipendenza guidata da Carlo Alberto di Savoia contro gli Austriaci. Nonostante il fervore patriottico, la mancanza di coordinamento tra le forze italiane e le sconfitte militari portò al fallimento dei moti. Venezia e Roma furono tra le ultime roccaforti a cadere, rispettivamente sotto l’assedio austriaco e l’intervento francese.

La rivoluzione non colpì uniformemente tutte le nazioni europee. In Germania, il desiderio di unificazione nazionale si intrecciò con richieste di maggiore rappresentanza politica e libertà civili. L’Assemblea di Francoforte del 1848 fu un tentativo di creare una Germania unita, ma il conflitto tra la visione "grande tedesca", che includeva l’Austria, e quella "piccolo tedesca", guidata dalla Prussia, portò al fallimento del progetto. Federico Guglielmo IV di Prussia rifiutò la corona offerta dall’Assemblea, considerandola un dono rivoluzionario privo di legittimità. Parallelamente, la Rivoluzione Industriale stava trasformando il panorama economico e sociale europeo. La Gran Bretagna guidò questo processo con innovazioni come la macchina a vapore e lo sviluppo delle ferrovie, che rivoluzionarono il trasporto e il commercio. L’urbanizzazione accelerò, portando alla nascita di grandi città industriali come Manchester e Birmingham, ma anche a gravi problemi sociali come sovrappopolazione, malattie e disuguaglianze. Le condizioni di vita degli operai, spesso disumane, alimentarono movimenti di protesta e la nascita di organizzazioni sindacali. La Gran Bretagna introdusse leggi per regolare il lavoro, come il Factory Act del 1833, ma il cammino verso una maggiore giustizia sociale era ancora lungo. Le idee socialiste cominciarono a diffondersi in questo contesto. Karl Marx e Friedrich Engels pubblicarono il "Manifesto del Partito Comunista" nel 1848, criticando il capitalismo e proponendo la lotta di classe come mezzo per superare le disuguaglianze. La Prima Internazionale dei Lavoratori fu fondata nel 1864 per coordinare i movimenti operai a livello internazionale. Tuttavia, anche all’interno del socialismo si svilupparono divisioni: da una parte, i marxisti sostenevano la necessità di una rivoluzione, mentre i revisionisti, come Eduard Bernstein, promuovevano un approccio graduale e riformista. Le ideologie politiche del XIX secolo giocarono un ruolo fondamentale nel plasmare la storia europea. Il reazionarismo, rappresentato da figure come Joseph De Maistre, si opponeva fermamente alla modernità e alla Rivoluzione Francese, mentre il conservatorismo cercava di conciliare il cambiamento con la difesa delle tradizioni. Il liberalismo promuoveva l’individualismo e il libero mercato, ma era spesso limitato alle élite istruite e benestanti. Sul fronte opposto, il socialismo metteva al centro la collettività e la giustizia sociale, portando avanti rivendicazioni che avrebbero trovato maggiore spazio nel XX secolo. Il suffragismo femminile emerse come movimento significativo durante il XIX secolo. Le donne iniziarono a rivendicare diritti politici e sociali, ispirandosi ai principi di uguaglianza della Rivoluzione Francese. Documenti come la "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina" di Olympe de Gouges e il "Vindication of the Rights of Woman" di Mary Wollstonecraft posero le basi teoriche del movimento. Negli Stati Uniti, il congresso di Seneca Falls del 1848 fu un momento cruciale, mentre in Europa il suffragismo si sviluppò più lentamente. Alla fine del secolo, movimenti come quello guidato da Emmeline Pankhurst in Gran Bretagna ottennero i primi successi concreti, con la concessione del diritto di voto in diversi paesi dopo la Prima Guerra Mondiale. Inoltre, la crescente presenza delle donne nel mondo del lavoro, in particolare durante la Seconda Rivoluzione Industriale, evidenziò ulteriormente la necessità di un cambiamento radicale nei diritti sociali e politici. Il XIX secolo vide anche la trasformazione degli Stati assoluti in regimi costituzionali. In Gran Bretagna, la Glorious Revolution del 1688 aveva già introdotto il principio della sovranità parlamentare, un modello che influenzò il resto d’Europa. Tuttavia, il passaggio al costituzionalismo fu spesso conflittuale. La Francia alternò monarchia, repubblica e impero, mentre in Germania e Italia i processi di unificazione nazionale si intrecciarono con la lotta per le costituzioni. Lo Statuto Albertino del 1848 rappresentò una base importante per l’Italia, garantendo alcune libertà fondamentali e gettando le basi per il futuro Regno d’Italia. Il periodo compreso tra il Congresso di Vienna e la fine del XIX secolo fu anche caratterizzato da una crescente competizione tra le potenze europee. L’espansione coloniale divenne un elemento centrale della politica estera di molti Stati, con la Gran Bretagna e la Francia in testa. Le rivalità economiche e geopolitiche contribuirono a creare tensioni che avrebbero avuto un impatto duraturo, preparando il terreno per i conflitti del XX secolo. Durante l'Ottocento, il processo di modernizzazione politica trasformò profondamente la gestione dello spazio pubblico e il ruolo della società civile. Negli Stati dell’Ancien Régime, il potere era accentrato nelle mani del sovrano,

monarchia si modernizzò, riflettendo i valori che univano gli inglesi e garantendo la stabilità di fronte ai cambiamenti socio-politici dell'epoca. L'Inghilterra vittoriana, caratterizzata da significativa crescita economica e industrializzazione, divenne il fulcro commerciale e finanziario globale, contribuendo alla nascita di una forte classe media. Questo "secolo della borghesia" vide l'impatto crescente dei valori borghesi, come risparmio, austerità e rispetto dell'autorità, estendersi anche alla classe lavoratrice, che iniziò ad adottare comportamenti e valori considerati rispettabili. Dal punto di vista politico, l'egemonia di Lord Henry John T. Palmerston, attiva tra gli anni Cinquanta e Sessanta, rappresentò il culmine della golden age vittoriana e della supremazia britannica. Con la sua morte nel 1865, il conflitto politico riprese, concentrandosi sulla questione del suffragio. Dopo le elezioni del 1868, il governo andò a William E. Gladstone che, tra le altre riforme, abolì il voto palese e migliorò l'istruzione pubblica. Affrontò anche la questione irlandese cercando di conciliare le aspirazioni nazionaliste, ma alle elezioni del 1874, il Partito nazionale irlandese guadagnò molti seggi. I conservatori guidati da Disraeli, dopo il 1874, continuarono le riforme sociali e fecero della salute pubblica, dell'istruzione e dei diritti sindacali un tema centrale. Disraeli perseguì una politica coloniale attiva, come l'occupazione dell'Egitto e cercò di rafforzare il ruolo britannico in Europa. Nel 1880, Gladstone tornò al governo ma non poté rovesciare del tutto la politica estera filoturca di Disraeli. Introdusse altre riforme elettorali, aumentando il suffragio, ma il suo tentativo di concedere l’autonomia all'Irlanda portò a uno scisma nel Partito liberale, con la formazione del Partito liberale unionista da parte di coloro che oppose l'Home Rule. Questo evento indebolì il Partito liberale, che rimase meno influente per vent'anni, mentre i conservatori, sotto la guida di Lord Salisbury, rafforzarono la loro egemonia politica fino al 1905.

CAPITOLO 2.2:

La Seconda Repubblica francese, istituita dopo i moti del 1848, vide l'elezione di Luigi Napoleone Bonaparte come presidente, che ottenne consensi sia tra i conservatori che tra le classi popolari. Dopo un tentativo fallito di far approvare una revisione costituzionale, occupò il Parlamento nel dicembre 1851 e chiese un plebiscito per legittimare la sua azione; il voto, a suffragio universale maschile, fu una vittoria schiacciante per il presidente che, con 7 milioni di sì, ottenne anche i poteri per redigere una nuova Costituzione che aumentava i suoi poteri e limitava quelli della Camera. Privato in questo modo di ogni potere effettivo, il sistema repubblicano venne abbattuto anche dal punto di vista formale, il 7 novembre 1852, quando una modifica alla Costituzione reintegrò la dignità̀ imperiale e la attribuì allo stesso Luigi Napoleone; il nuovo imperatore assunse il nome di Napoleone III e nel dicembre dello stesso anno chiamò i francesi a ratificare, con un nuovo plebiscito, il ritorno dell’Impero in Francia. I suoi obiettivi includevano la modernizzazione economica e la stabilizzazione politica, cercando l’appoggio di contadini e borghesia. In politica estera, mirava a ripristinare il prestigio imperiale francese, intervenendo nella guerra di Crimea (insieme agli inglesi) contro la Russia e sostenendo movimenti nazionali contro la Restaurazione.

- > pace di Parigi dalla quale scaturì un sistema internazionale decisamente modificato rispetto a quello messo a punto al Congresso di Vienna, facendo emergere accanto alla potenza britannica quella della Francia, a discapito degli Imperi asburgico e russo. Nel 1858, formò un'alleanza con il Regno di Sardegna per contrastare l'Austria (-> Napoleone voleva subentrare all’impero asburgico nel territorio italiano): Gli accordi di Plombi ères, stipulati tra Napoleone III e il presidente del Consiglio del regno sabaudo Camillo Benso conte di Cavour, stabilivano infatti che, nel caso di un conflitto con Vienna, la Francia, in cambio del sostegno al Regno di Sardegna, avrebbe ottenuto Nizza e la Savoia, assicurandosi il controllo anche sull'Italia. Ma, dopo vittorie iniziali, si ritirò dall'italiana guerra, influenzato da politiche interne e timori di un'Italia unita contro i suoi interessi. Un ampio piano di riforme liberali avviato negli anni '60 portò a una modifica della Costituzione, ma le ambizioni imperialistiche di Napoleone entravano in conflitto con il crescente potere della Prussia.

Le tensioni culminarono in una guerra tra Francia e Prussia nel 1870, provocata dalla successione al trono di Spagna -

sarebbe dovuto salire al trono di spagna Leopodo H, appartenente alla casata del sovrano prussiano. Nonostante gran parte dell’opinione pubblica francese fosse galva-nizzata da sentimenti nazionalistici e antitedeschi, la guerra si rivelò rovinosa per l’esercito di Napoleone, che fin da subito mostrò di essere inferiore a quello prussiano per capacità logistiche e addestrative. Il 1° settembre 1870, con metà dell’esercito assediato presso Metz e l’altra metà pesantemente sconfitto a Sedan (dove lo stesso imperatore venne fatto prigioniero), la Francia fu costretta ad arrendersi. Parigi proclamò la Repubblica e un governo provvisorio cercò di resistere, ma la sconfitta portò alla capitolazione e alla pace di Francoforte del 1871, con pesanti perdite territoriali per la Francia. Questo evento segnò profondamente le relazioni tra Francia e Germania per decenni. Durante i negoziati di pace dopo la guerra franco-prussiana, la Francia affrontò una crisi interna causata dalla persistente frattura tra le forze rivoluzionarie urbane e le forze conservatrici e monarchiche predominanti nelle campagne. Le elezioni del febbraio 1871, fortemente volute da Bismarck, portarono alla formazione di una nuova Assemblea nazionale con una maggioranza conservatrice (contrasto con rivoluzionari francesi). Adolphe Thiers, ultramoderato e neo primo ministro francese, si trovò a dover affrontare l'umiliante firma di un trattato di pace che prevedeva l'occupazione di Parigi da parte delle truppe tedesche. In risposta, il popolo parigino insorse, istituendo la Guardia Nazionale e indisse elezioni per il Consiglio della Comune, risultando in un trionfo dell'estrema sinistra. La Comune di Parigi divenne un esperimento di democrazia diretta, acclamato da figure come Marx e Bakunin. Tuttavia, il suo isolamento politico rispetto al resto della Francia portò alla sua repressione nel maggio 1871, con gravi violenze da entrambi i lati, segnando un'ulteriore battuta d'arresto per il movimento rivoluzionario francese. La Terza Repubblica nacque con un'impronta conservatrice e una mancanza di veri partiti politici, ma con una ricca vita associativa. Si trovò a fronteggiare pressioni da destra, inclusi settori ultranazionalisti e reazionari che desideravano un ritorno alla monarchia e una rivincita contro la Germania. In questo contesto, la Francia attraversò una rapida ripresa economica, ma il processo di stabilizzazione politica fu più lento. Nel 1873, la giovane Repubblica subì un tentativo di restaurazione monarchica con l'elezione del generale Mac Mahon alla presidenza. Nonostante i suoi sforzi, le istituzioni repubblicane vennero formalizzate nel 1875 con l'adozione di leggi che stabilivano la Francia come Repubblica parlamentare. Mac Mahon tentò di rafforzare il ruolo presidenziale, ma fu sconfitto nelle elezioni del 1877 e si dimise nel 1879, segnando la vittoria del parlamentarismo. Negli anni seguenti, la guida del Paese passò alla classe politica liberale, che rafforzò le istituzioni repubblicane attraverso riforme, come l'estensione dell'istruzione e la modernizzazione delle strutture amministrative. Tuttavia, il governo repubblicano fu criticato per trasformismo e scandali, portando a una nuova crisi politica. Il generale Boulanger emerse come figura chiave, proponendosi come simbolo del risentimento verso la Germania. Sebbene vincesse diverse elezioni, non riuscì a orchestrare un colpo di stato, e nel 1889 fu condannato in contumacia e dichiarato ineleggibile. Le elezioni segnarono la fine del boulangismo e sancirono il rafforzamento del repubblicanesimo e della sinistra radicale e socialista, con la nascita del primo partito socialista francese.

CAPITOLO 2.3:

Esisteva un'idea di appartenenza nazionale che era molto sentita soprattutto nelle fasce colte. La popolazione aveva una tradizione comune, di storia, di cultura, di lingue, ma non aveva uno Stato, ma una Confederazione, quindi un insieme di Stati, 35 principati (una sorta di co direzione tra Austria e Prussia). La Prussia era uno stato nel nord est del territorio tedesco, forte dal punto di vista militare e fondato su un'economia prevalentemente agraria; nonostante la base agricola aveva comunque sperimentato la rivoluzione illuminista e quindi poteva essere definito come stato moderno (vivace e florido dal p. Di vista culturale).

POLITICA ESTERA BISMARK: È stato determinante per l’assetto europeo anche dopo unificazione tedesca-> per i vent’anni de suo cancellierato Duplice obiettivo: mantenere lo status quo facendo della Germania il pilastro dell’equilibro europeo + contenere le spinte di rivincita dei francesi isolandola. Bismarck non aveva altre ambizioni espansionistiche né coloniali (oltre all’unificazione) Nell'Europa dove vi erano imperi multietnici/ multinazionali vi è un'aria di instabilità —> area balcanica (da poco indipendente dall’impero ottomano); l’impero russo e gli austroungarici miravano allo stretto dei Dardanelli per avere accesso al mediterraneo - > a discapito degli ottomani. Per mantenere la posizione di superiorità rispetto alla Francia, Bismarck fece alleanze strategiche per garantire, in caso di conflitto franco-prussiano, la neutralità delle potenze al confine: Bismark forma tre alleanze (la seconda è la più importante): 1.PATTO DEI TRE IMPERATORI 1873 - > Germania-Austria-Russia; alleanza fondata su un disegno politico di conservazione (3 imperi). Bismark provò a tenere unite le due potenze - > fallimentare. La bandiera di custode dell’equilibrio europeo fu assunta da Bismarck, su sollecitazione britannica, nel 1878 quando convocò a Berlino un Congresso internazionale con l’obiettivo di ridimensionare gli spazi che lo zar di Russia aveva conquistato in seguito al conflitto con l’Impero ottomano. La guerra aveva avuto inizio per l’ostilità che la Russia, da sempre schieratasi a difesa dei popoli slavi, aveva dimostrato contro le dure repressioni perpetrate nel 1875 - 76 dal governo ottomano sulle popolazioni balcaniche (in particolare in Bulgaria). Sconfitti i turchi, lo zar aveva ottenuto di consolidare la sua presenza nei Balcani con la Pace di S. Stefano del 1877. Al Congresso di Berlino la Germania, pur non vantando ambizioni espansionistiche, svolse l’importante ruolo di garante del balance of power europea: La mediazione di Bismarck ridimensionò le pretese russe e avvantaggiò nell’area balcanica le posizioni dell’Austria, cui venne affidata temporaneamente l’amministrazione della Bosnia e dell’Erzegovina; la Gran Bretagna ottenne l’isola di Cipro, rafforzando il primato sui mari e il controllo sul Mediterraneo. Alla Francia, che Bismarck intendeva distogliere dal teatro europeo, fu concessa mano libera per un’eventuale conquista coloniale in Tunisia. Nulla invece rivendicò e ottenne l’Italia (critica al governo Cairoli per la politica delle «mani nette») 2.TRIPLICE ALLEANZA 1882 - > Germania-Austria-Italia. Nonostante la sapiente gestione del congresso, Bismarck aveva incrinato i rapporti con l’Austria e la Russia (con le quali rinnovò comunque il patto) dunque decise di firmare un nuovo trattato che includeva anche l'Italia (ora non è più politicamente isolata)

  1. PATTO DI CONTROASSICURAZIONE 1887-> I nuovi conflitti nelle aree balcaniche misero definitivamente un punto al patto dei tre imperatori, dunque, Bismarck, temendo che venisse a meno la neutralità della Russia in un possibile conflitto europeo firmò un nuovo patto militare nel quale Germania e Russia si promettevano di non entrare in guerra l’una contro l’altra in caso di conflitto austro-russo e franco-tedesco. Alla morte di Guglielmo primo - > figlio Guglielmo 2: visionario, ambizioso ed aggressivo; egli intendeva dare un nuovo corso alla politica estera tedesca abbandonando completamente la complessa strategia attutata dall’ex cancelliere -

irrigidimento delle alleanze e delle rivalità con diffusione degli ideali di un nuovo nazionalismo aggressivo + crescente competizione imperialistica tra le potenze europee.

CAPITOLO 2.4:

L'Impero asburgico superò le rivoluzioni del 1848-49 grazie alla sua solida struttura burocratica e militare, ma restò segnato da un senso di insicurezza. Nonostante il ritorno all'assolutismo, la questione multinazionale rimase irrisolta, alimentando spinte autonomistiche tra le varie etnie. La monarchia trovò sostegno tra i contadini, emancipati dalla servitù, e nel clero, grazie al Concordato del 1855, ma questo approccio conservatore soffocò le ambizioni della borghesia, impedendo uno sviluppo industriale adeguato. Sul piano internazionale, l'Impero subì una grave sconfitta contro la Prussia nel 1866, perdendo il Veneto e ogni influenza sull'Europa centrale. Questa sconfitta portò al compromesso del 1867, che creò la duplice monarchia austro- ungarica: Austria e Ungheria ottennero ciascuna un Parlamento e un governo autonomi, mentre l'imperatore manteneva il controllo su politica estera, difesa e finanze. Tuttavia, questo accordo non soddisfece le altre minoranze, in particolare quelle slave, che avrebbero successivamente messo in crisi l'Impero.

CAPITOLO 2.5:

Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del 1848-49, la penisola italiana vide il ritorno dei sovrani legittimi e il ritiro di ogni progetto di riforma politica, tranne che nel Regno di Sardegna. Qui, lo Statuto Albertino, emanato nel 1848, rimase in vigore per volontà del nuovo re, Vittorio Emanuele II, nonostante la fine della fase rivoluzionaria. In questo contesto emerse la figura di Camillo Benso, conte di Cavour, un liberale che sosteneva il parlamentarismo e la necessità di una profonda modernizzazione economica e politica del Piemonte. Nel 1852, Cavour fu nominato presidente del Consiglio e, ancora prima di entrare ufficialmente in carica, promosse un accordo politico con l'ala moderata della sinistra parlamentare realizzando così il cosiddetto "connubio". Questo accordo aveva l'obiettivo di isolare le forze estremiste – gli ultraconservatori clericali e i democratici rivoluzionari – e garantire una solida maggioranza di centro in Parlamento. Cavour riuscì quindi a consolidare un sistema politico che, pur mantenendo la monarchia costituzionale, rafforzava il ruolo del Parlamento nel governo del Paese. Nei suoi primi anni di governo, Cavour non mostrò un particolare interesse per l'unificazione italiana, convinto che questo processo dovesse avvenire gradualmente e sotto la guida di una monarchia costituzionale, per evitare spinte rivoluzionarie. Il suo obiettivo principale in quel momento era la modernizzazione del Regno di Sardegna, con politiche economiche basate sul libero scambio e un focus sulle grandi opere pubbliche, lo sviluppo industriale e agricolo. Il 1856 segnò un importante punto di svolta: alla Conferenza di pace di Parigi, a cui Cavour partecipò rappresentando il Piemonte tra le potenze vincitrici della guerra di Crimea, la questione dell’indipendenza italiana venne posta come uno dei problemi internazionali da risolvere. Cavour colse questa opportunità per rafforzare la posizione del Piemonte e cercò l'appoggio della Francia di Napoleone III, interessata a contrastare l'influenza austriaca in Italia. Parallelamente, Cavour dovette fronteggiare le continue spinte rivoluzionarie dei democratici italiani, guidati da Giuseppe Mazzini, il quale sosteneva che l'unificazione doveva avvenire attraverso una sollevazione repubblicana. Tuttavia, i ripetuti fallimenti dei tentativi di insurrezione mazziniani e la repressione austriaca avevano indebolito il movimento rivoluzionario. A partire dal 1857, con la fondazione della Società nazionale da parte di Daniele Manin, molti democratici iniziarono a vedere nel Regno di Sardegna l'unica possibilità per realizzare l'unificazione. La Società nazionale, che contava tra i suoi sostenitori anche Giuseppe Garibaldi, si propose di lavorare in sinergia con il governo costituzionale piemontese per raggiungere questo obiettivo. Nel gennaio 1858, il fallito attentato alla vita di Napoleone III da parte del mazziniano Felice Orsini spinse ulteriormente la Francia ad avvicinarsi al Piemonte di Cavour, che presentava un progetto di unificazione più moderato. Questo avvicinamento culminò negli accordi di Plombières, siglati nel luglio dello stesso anno. Gli accordi prevedevano la creazione di tre Stati italiani: un nord sotto il controllo sabaudo, un centro formato dalla Toscana e dalle province pontificie, e un sud liberato dal dominio borbonico. In cambio del sostegno francese, il Piemonte avrebbe ceduto Nizza e la Savoia alla Francia. Perché l'alleanza diventasse operativa, era però necessaria un'aggressione da parte dell'Austria, e Cavour abile orchestrò le condizioni per provocarla, rafforzando le forze volontarie dei Cacciatori delle Alpi, guidati da Garibaldi, e avviando manovre militari al confine tra Piemonte e Lombardia. Il 23 aprile 1859, l'Austria inviò un ultimatum a Cavour, che lo respinse, scatenando l'inizio delle ostilità. Con questa mossa, il Piemonte sabaudo era riuscito a coinvolgere la Francia e a mettere in moto un processo che avrebbe portato, negli anni successivi, all'unificazione italiana sotto la guida della monarchia costituzionale. Dopo le vittorie dei franco-piemontesi a Solferino e San Martino, Napoleone III firmò, nel luglio 1859, l’armistizio di Villafranca con l’Austria senza consultare il Piemonte. L'accordo prevedeva il passaggio della Lombardia alla Francia, che poi l'avrebbe ceduta al Piemonte. Tuttavia, Napoleone cambiò strategia a causa delle insurrezioni nel resto d'Italia, che stavano destabilizzando l'ipotesi di una penisola divisa in tre Stati, come previsto dagli accordi di Plombières. Nel marzo 1860, le popolazioni di Emilia, Romagna e Toscana votarono a favore dell’annessione al Piemonte tramite plebisciti, mentre Cavour, in gennaio, aveva il non intervento francese nelle vicende italiane. Con il regno sabaudo in via di trasformazione in Stato nazionale, i mazziniani democratici spinsero Garibaldi a intervenire in Sicilia. La spedizione dei Mille, partita il 5 maggio 1860, ebbe un successo sorprendente, portando Garibaldi a conquistare tutta l'isola e a risalire fino a Napoli.

Per regolare i rapporti con la Santa Sede, il Parlamento approvò l’anno successivo la legge delle guarentigie, che riconosceva al Pontefice una certa autonomia nel suo magistero spirituale. Tuttavia, Pio IX rifiutò di accettare questa legge e, in risposta, nel 1874, formulò esplicitamente il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica, noto come "non expedit". Questo divieto portò alla nascita di due correnti nel mondo cattolico. La prima, chiamata "transigentismo", cercava una conciliazione tra Stato italiano e Chiesa, sostenuta da alcune figure dell'alto clero. La seconda, ispirata a un rigido intransegentismo, si organizzò nell'Opera dei Congressi, un centro di coordinamento per le associazioni cattoliche, mantenendo posizioni di opposizione verso il liberalismo laico. Dopo aver consolidato l'unificazione nazionale e raggiunto il pareggio di bilancio, la Destra iniziò a mostrare segni di divisione interna. Il 18 marzo 1876, il governo di Minghetti fu messo in minoranza e costretto a dimettersi; pochi giorni dopo, Vittorio Emanuele II incaricò Agostino Depretis, leader della Sinistra Storica, di formare un nuovo governo, segnando un cambiamento nella direzione politica del Paese. La Sinistra ottenne una netta vittoria alle elezioni di novembre, portando al potere una classe dirigente con programmi di riforma, quali l'allargamento del suffragio, la riforma dell'istruzione e una riforma fiscale. Tuttavia, il riformismo della Sinistra si rivelò cauto: Nel 1877, la legge Coppino rese l'istruzione pubblica obbligatoria e gratuita per i primi due anni di scuola elementare, ma la nuova legge elettorale fu adottata solo nel 1882. Questa legge abbassò l'età per votare da 25 a 21 anni e introdusse la capacità legata all'alfabetizzazione come criterio principale per l'accesso al voto. Ciò portò a un aumento del corpo elettorale, triplicando gli aventi diritto a oltre 2 milioni. In ambito finanziario, la Sinistra adottò una politica opposta a quella rigorosa della Destra. Oltre a sgravi fiscali per i settori in difficoltà, aumentò significativamente la spesa pubblica, abbandonando progressivamente l'approccio liberista fino a giungere a una svolta protezionistica nel 1887. Quest'anno, venne introdotta una nuova tariffa generale per proteggere l'industria e l'agricoltura italiane dalla concorrenza estera, imponendo forti dazi. Tuttavia, questa scelta non risolse il divario economico tra nord e sud, penalizzando in particolare il settore agricolo specializzato, che si basava principalmente sulle esportazioni. In preparazione delle elezioni di ottobre 1882, le prime con la nuova legge elettorale, emersero segnali di una possibile alleanza tra la Destra e la Sinistra Storica, temendo il successo dell'estrema sinistra e dei socialisti. Questa alleanza si concretizzò nel maggio 1883 quando Depretis e Minghetti presentarono un progetto per formare un grande "centro" in Parlamento, unendo tutti i deputati liberali disposti a sostenere il governo. Questo processo, noto come trasformismo, mirava a ridurre le differenze tra Destra e Sinistra e a escludere le forze estreme. L'accordo, simile al "connubio" cavouriano, portò alla creazione di una maggioranza centrista, ma anche a un esecutivo più attivo e al consolidamento di un'opposizione radical-progressista, rappresentata da Felice Cavallotti, che chiedeva una vera democratizzazione e una politica estera antiaustriaca. Internamente, il trasformismo segnò una battuta d'arresto per la cultura liberale coerente e portò a un aumento della spesa pubblica. In politica estera, il governo Depretis stipulò nel maggio 1882 il trattato della Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria, cercando di uscire dall'isolamento internazionale e migliorare le relazioni con la Francia, deterioratesi dopo l'occupazione della Tunisia. In concomitanza con questa nuova politica diplomatica, l'Italia avviò un'espansione coloniale, acquistando la baia di Assab e tentando di controllare l'Etiopia. Nonostante la sconfitta e le proteste il governo ottenne finanziamenti per continuare l'espansione coloniale, seguendo le orme delle potenze europee. Alla morte di Depretis nel 1887, Francesco Crispi divenne capo del governo. Forte del sostegno sia di settori della sinistra che dei conservatori, Crispi avviò un vasto programma di riforme amministrative: introdusse l'elettività dei sindaci nei comuni più grandi, riorganizzò le province mantenendo il potere centrale tramite i prefetti, e promosse riforme nel Codice penale e nella sanità. Tuttavia, Crispi potenziò anche l'apparato repressivo dello Stato, limitando le libertà sindacali e rafforzando la polizia; sul fronte estero, Crispi adottò una politica aggressiva, antifrancese e filo- tedesca. Tuttavia, le ingenti spese militari e coloniali portarono alla sua dimissione nel 1891. Gli succedette Giovanni Giolitti, che però fu travolto dallo scandalo della Banca Romana, senza riuscire a realizzare riforme sostanziali. In

questo contesto di crisi, emerse il movimento dei Fasci siciliani, che chiedeva miglioramenti economici e sociali per le classi lavoratrici. Crispi tornò al governo nel 1893, diventando ancora più autoritario. Represse duramente le rivolte in Sicilia e in Lunigiana e introdusse leggi che limitavano la libertà di stampa, riunione e associazione, mirate a contrastare il nascente Partito Socialista. Nel 1892, Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Camillo Prampolini e Andrea Costa fondarono il Partito dei lavoratori italiani, che riuniva i gruppi socialisti e operai, e che nel 1895 divenne il Partito Socialista Italiano. Mentre in Italia emergeva la "questione sociale", legata all'industrializzazione e al ceto operaio, il governo rispondeva con repressione e limitazioni delle libertà. Crispi cercò di distrarre l'opinione pubblica dalle tensioni interne con una politica coloniale in Etiopia. Tuttavia, nel 1896, l'esercito italiano subì una pesante sconfitta ad Adua contro le forze etiopi, segnando la fine delle ambizioni coloniali italiane e la definitiva uscita di Crispi dalla scena politica. Il biennio rosso: ** parte iniziale 5.

  • IL MITO DELLA RIVOLUZIONE RUSSA: La Russia degli zar aveva cessato di esistere e al suo posto si era affermato un regime politico, quello socialista creato da Lenin, che si faceva portatore di idee e valori assolutamente diversi da quelli che avevano ispirato le costituzioni liberal-democratiche degli Stati europei. La Russia sovietica si proponeva come un modello, un esempio da seguire per milioni di contadini ed operai che vivevano una condizione di estrema povertà nell’Europa del dopoguerra. La politica rivoluzionaria russa, si pensò, avrebbe potuto essere esportata in altri paesi europei che, seguendo la strada aperta da Lenin, avrebbero potuto avviare una rivoluzione tale da abbattere il sistema capitalistico. Conseguenze biennio rosso:
  • il numero degli scioperanti triplicò

CAPITOLO 2.6:

Con il ritorno di Ferdinando VII al trono nel 1814, la Spagna instaurò un regime assolutista sostenuto dall'aristocrazia, dall'esercito e dalla Chiesa. I movimenti liberali furono messi al bando, ma rimasero attivi clandestinamente. Nel 1830, Ferdinando abolì la legge salica per garantire la successione alla figlia Isabella, scatenando l'opposizione dei sostenitori del principe Carlos (fratello del sovrano), noti come carlisti. Questo conflitto indebolì ulteriormente la Spagna, già provata dalla perdita delle colonie americane. Dopo la morte di Ferdinando nel 1833, il regno di Isabella II fu segnato da instabilità, con il perdurare dello scontro coi carlisti e il riemergere dei liberali. La monarchia si dimostrò incapace di risolvere i problemi politici e sociali, culminando con l'esilio di Isabella nel 1868 a seguito di un colpo di stato liberale. Le Cortes votarono una Costituzione liberale nel 1869, e nel 1871 fu incoronato Amedeo di Savoia, che però abdicò dopo due anni a causa dei conflitti interni. [LA SUCCESSIONE SPAGNOLA CREO IL CONFLITTO FRANCO-PRUSSIANO]. L'abdicazione di Amedeo portò alla nascita della Prima Repubblica spagnola nel 1873, che durò solo undici mesi prima di un nuovo colpo di stato che restaurò la monarchia con Alfonso XII (figlio di Isabella). Il nuovo re, supportato da Antonio Cánovas del Castillo (leader di un gruppo conservatore) e Mateo Sagasta (leader dei liberali), cercò di costruire un regime stabile con un sistema rappresentativo, culminato nella Costituzione del 1876. La Costituzione spagnola del 1876, pur introducendo elementi liberali, lasciava ampi poteri al sovrano, tra cui la nomina e la rimozione dei capi di governo. Si instaurò un sistema di "turnismo pacifico" basato sull'alternanza al potere tra conservatori e liberali, sostenuto dai caciques, figure locali che manipolavano il voto per garantire la vittoria del partito stabilito in precedenza. Questo sistema, pur apparendo rappresentativo, rimaneva fortemente centrato sulla figura del re, con i partiti esclusi dal turno (repubblicani, socialisti, ecc.) limitati ai centri urbani. Il suffragio universale maschile fu abolito nel 1878 e poi ripristinato nel 1890, ma le strutture di potere tradizionali, come l'aristocrazia terriera, non cambiarono. Nelle regioni industrialmente più avanzate, come la Catalogna e i Paesi Baschi, cominciò a diffondersi l'anarchismo, che prese forma nell'anarco-sindacalismo e portò alla nascita della Confederación Nacional del Trabajo (CNT) nel 1910. Le tensioni sociali aumentarono con l'anarchismo e le spinte autonomiste.

conflitto tra schiavisti e antischiavisti, ma uno scontro tra unionisti e confederati, con il governo federale che considerava i secessionisti ribelli. La guerra contrappose due visioni della nazione: il nord industriale, fondato sull'autodeterminazione e il progresso democratico, e il sud agrario, radicato in un sistema paternalista, tradizionalista e schiavista. Nonostante i successi iniziali del Sud, grazie alle abilità del generale Robert Lee, il Nord vinse grazie alla superiorità numerica, al potenziale industriale e al blocco navale che impediva i rifornimenti ai confederati. La battaglia decisiva fu quella di Gettysburg nel 1863, seguita da una serie di vittorie unioniste. Le truppe del Nord invasero la Georgia nel 1864, portando allo sfinimento del Sud. Il 9 aprile 1865 i confederati si arresero, ma pochi giorni dopo, il 14 aprile, Lincoln fu assassinato da un fanatico sudista. La guerra civile americana, che causò circa 600.000 morti, fu il conflitto più sanguinoso nella storia degli Stati Uniti. Questo evento segnò la fine della schiavitù, in seguito al Proclama di emancipazione emanato da Abraham Lincoln nel gennaio 1863, il quale inizialmente si applicava solo agli Stati Confederati "ribelli". Tuttavia, per il Sud, la guerra portò conseguenze devastanti: non solo le piantagioni furono distrutte dagli eserciti, ma l'abolizione della schiavitù mise in ginocchio l'intero sistema agricolo basato sul latifondo. La popolazione del Sud sviluppò un forte risentimento verso il governo centrale, soprattutto a causa della gestione della ricostruzione, condotta dai repubblicani radicali e imposta con l'occupazione militare fino agli anni Settanta dell'Ottocento. Nonostante gli emendamenti costituzionali che garantirono cittadinanza e diritti agli ex-schiavi, nel Sud non ci fu una vera integrazione dei neri. Anzi, la fine dell'occupazione militare nel 1876, in cambio del sostegno del Sud per l'elezione di un presidente nordista, portò al definitivo abbandono del progetto di ricostruzione, escludendo i neri dai diritti civili e politici e inaugurando un'era di segregazione razziale. I governi degli Stati del Sud, forti del dominio della popolazione bianca e di una legislazione a loro favorevole, riuscirono a discriminare i neri nelle scuole, nei luoghi di lavoro e negli spazi pubblici, creando un sistema di segregazione che sarebbe durato quasi un secolo, grazie all’attivazione anche del KKK: organizzazione che prevedeva lotta clandestina e violenta contro la popolazione nera. Nel frattempo, le altre regioni degli Stati Uniti, specialmente il Nord, videro un rapido progresso economico e una massiccia urbanizzazione, particolarmente nel nord-est. Questo periodo fu caratterizzato da una nuova fase di espansione territoriale, accelerata dalla costruzione di ferrovie, che facilitò la conquista degli ultimi territori dell'estremo ovest. Le tribù di nativi americani che vivevano in quelle terre tentarono di resistere, ma furono sconfitte e decimate nelle cosiddette "guerre indiane". Alla fine, i nativi furono confinati in riserve e non si integrarono mai nella società americana. Un altro fattore chiave dello sviluppo economico fu l'arrivo di nuove ondate migratorie negli ultimi tre decenni dell'Ottocento, con immigrati provenienti soprattutto dall'Europa meridionale e mediterranea. Questi nuovi arrivati fornivano manodopera a basso costo, di cui le industrie americane avevano grande bisogno. Il governo federale favorì questa immigrazione, rimuovendo quasi tutti i vincoli d'ingresso, tranne quelli imposti ai cinesi. L’impetuosa crescita economica degli Stati Uniti, accompagnata da un aumento demografico e fenomeni di urbanizzazione, portò a significativi squilibri sociali e a vaste sacche di povertà. A questo divario economico tra la borghesia benestante e le classi lavoratrici si aggiunse il problema dell’integrazione delle diverse etnie degli immigrati. Ciò innescò un dibattito su come integrare gli immigrati, spesso cercando di "americanizzare" le loro tradizioni e disincentivare l'uso delle lingue d'origine. Negli ultimi due decenni del XIX secolo, lo sviluppo industriale e la nascita di grandi corporation accentuarono le tensioni sociali e le lotte sindacali. Nel 1886, venne fondata l’American Federation of Labor (AFL), che unì molte organizzazioni sindacali e operaie, diventando la più numerosa e strutturata per la tutela della classe lavoratrice. Tuttavia, l’AFL era una federazione di sindacati di mestiere che rappresentava esclusivamente operai specializzati, escludendo immigrati, neri, donne e operai non qualificati. Questo la rese meno politicamente caratterizzata rispetto ai sindacati europei. Il Partito populista, nato nel 1892 in risposta alle rivendicazioni dei contadini danneggiati dalla caduta dei prezzi agricoli e dal potere delle corporation, non riuscì a incidere profondamente nel sistema politico americano. Sebbene ottenesse un certo consenso patrocinando la nazionalizzazione e la restituzione delle terre incolte, il partito scomparve dopo la sconfitta del 1896. Nonostante i duri scontri di classe tra il 1890 e il 1900, diversi fattori impedirono una vera politicizzazione delle classi lavoratrici e dei movimenti sindacali. La mancanza di unione tra le rivendicazioni operaie e contadine, la

frammentazione etnica e linguistica nel ceto operaio, la presenza di una classe media robusta che ostacolava la radicalizzazione delle proteste e il consolidamento del sistema bipartitico furono tutti elementi che, pur non eliminando i conflitti sociali, impedirono l’attecchimento del partito socialista negli Stati Uniti. Negli anni in cui gli Stati Uniti consolidavano la loro struttura interna, si impegnarono anche ad affermarsi sulla scena internazionale, seguendo il principio della dottrina Monroe, formulato nel 1823 dal presidente James Monroe, che prevedeva la garanzia dell’equilibrio nel continente americano e la difesa della sua autonomia da interferenze europee. Negli anni Sessanta, in nome di questo principio, gli Stati Uniti intervennero in Messico a sostegno delle forze repubblicane contro l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, sostenuto dalla Francia di Napoleone III. Grazie all’aiuto americano, i repubblicani prevalsero e nel 1867 Massimiliano fu giustiziato dopo il ritiro delle truppe francesi. Negli anni Novanta, la dottrina Monroe venne applicata in modo più estensivo a causa della crisi di sovrapproduzione che colpì le economie industrializzate, rendendo necessaria la conquista di nuovi mercati. L’occasione si presentò con la rivolta anticoloniale a Cuba nel 1895. L'affondamento della corazzata americana Maine nel porto dell'Avana il 15 febbraio 1898 portò gli Stati Uniti a dichiarare guerra alla Spagna. Il conflitto, che si estese anche al Pacifico, si concluse rapidamente con la sconfitta spagnola. Con il trattato di Parigi dell'ottobre 1898, Cuba venne dichiarata indipendente, ma sotto l’influenza americana; Portorico, le Filippine e Guam furono ceduti agli Stati Uniti. Durante la guerra, gli Stati Uniti annessero formalmente le isole Hawaii, già sotto la loro influenza. La necessità di nuovi mercati, insieme alle tensioni interne e agli elementi dell'ideologia imperialista europea, segnò l’inizio di una nuova fase della politica estera americana, elevando il Paese al rango di grande potenza mondiale.

CAPITOLO 2.7:

Nel corso della prima metà dell'Ottocento, la Russia emerse come una delle grandi potenze europee, grazie alla sua vittoria su Napoleone e al ruolo di baluardo della restaurazione. Tuttavia, il paese rimase un impero autocratico e arretrato, con lo zar che deteneva il potere assoluto e i contadini ridotti ancora alla condizione di servi della gleba. L'economia, nonostante l'aumento dell'export di cereali, era frenata dai rapporti sociali arcaici e dalla proprietà terriera mal gestita dall'aristocrazia. Durante il regno di Nicola I (1825-1855), la Russia adottò una politica espansionista, consolidando il proprio dominio in Asia e nei Balcani, ma creando tensioni con le altre potenze europee, in particolare la Gran Bretagna. Nel 1854, la Russia entrò in guerra contro l'Impero Ottomano nella speranza di approfittare della sua crisi, ma la guerra di Crimea (1854-1856) rivelò le profonde inefficienze amministrative e militari dell'impero zarista. La sconfitta nella guerra segnò l'inizio di una fase di riforme, mettendo in discussione il rigido assolutismo russo. Lo zar Alessandro II avviò importanti riforme, tra cui la più significativa fu l'abolizione della servitù della gleba nel 1861, che riguardò circa 22 milioni di servi. I contadini furono emancipati, ma dovettero pagare la terra ricevuta, generando presto frustrazione. Altre riforme riguardarono l'autogoverno locale con l'istituzione dei zemstva (consigli elettivi), la riforma del sistema giudiziario, dell'esercito e dell'istruzione, contribuendo alla modernizzazione del Paese. Tuttavia, il fallimento di un attentato contro lo zar nel 1866 segnò la fine dello slancio riformista, provocando disillusione tra i giovani intellettuali, che svilupparono movimenti di rifiuto del sistema, come il nichilismo e il populismo. Questi rivoluzionari cercarono di sensibilizzare le masse contadine, ma l'azione repressiva dello Stato aumentò. Nel 1881, l'assassinio di Alessandro II da parte di un anarchico pose fine alle speranze di riforme. Il nuovo zar Alessandro III abbandonò le riforme e tornò a un'autocrazia rigida, sostenuta dalla Chiesa ortodossa e dall'esercito, senza modernizzare politicamente e socialmente il paese, nonostante lo sviluppo economico. Questa contraddizione avrebbe avuto conseguenze drammatiche in futuro.

CAPITOLO 2.9:

L'Impero Ottomano, composto da diversi gruppi etnici, entrò in declino militare ed economico dopo le sconfitte contro l'Austria e la perdita di territori strategici, con conseguente difficoltà a mantenere le risorse fiscali per sostenere il proprio apparato militare. Gli ottomani avevano un apparato finanziario basato sulle prede di guerra e su un sistema fiscale costruito sulla decima dei prodotti delle terre; pertanto, ogni perdita territoriale corrispondeva ad una anche

sostenendo che il libero progresso non fosse adatto alle società arretrate del continente, mantenendo così un saldo controllo fino alla fine degli anni Venti. Dopo la Prima Guerra Mondiale, tuttavia, iniziarono a emergere pressioni per un allargamento della partecipazione politica, spesso con tendenze nazionaliste e antiliberali, in contesti in cui la modernizzazione era stata imposta dall'alto. Un esempio significativo fu la Rivoluzione messicana, iniziata nel 1910 contro il regime semidittatoriale di Porfirio Díaz. Francisco Madero, un proprietario terriero creolo, guidò la rivolta, ma una volta eletto presidente nel 1911, si scontrò con le richieste di riforme agrarie radicali da parte delle masse contadine, affinché finalmente si risolvessero i problemi dell’iniqua distribuzione delle terre, guidate da Emiliano Zapata e Pancho Villa. Questo scollamento portò a una violenta controffensiva reazionaria. Madero fu costretto a dimettersi e assassinato nel 1913, e il generale Victoriano Huerta assunse il potere, ma la guerra civile continuò intensificandosi anche dopo la sua rimozione nel 1914. Tra il 1919 e il 1920, la guerra nelle campagne messicane si concluse con l'uccisione di Zapata e la resa di Pancho Villa ai governativi. Nel febbraio 1917, fu approvata una nuova Costituzione che univa i principi del costituzionalismo liberale a istanze di giustizia sociale, guadagnando il sostegno del proletariato urbano e, col tempo, delle masse contadine. Nonostante la fine della lunga rivoluzione messicana, che aveva causato oltre un milione di morti, i gravi squilibri sociali alla base della ribellione rimasero irrisolti e il paese non intraprese un processo di piena democratizzazione. Sotto la guida del presidente Álvaro Obregón e, successivamente, di Lázaro Cárdenas negli anni Trenta, furono avviate importanti riforme agrarie e si sostennero sindacati e organizzazioni dei lavoratori. Tuttavia, queste trasformazioni furono gestite in modo tale da escludere il pluralismo politico, anticipando le caratteristiche dei futuri regimi populisti in America Latina.

CAPITOLO 3.3:

Nella seconda metà dell'Ottocento, il Giappone sperimentò una rapida modernizzazione economica e politica. Fino ad allora, il Giappone era stato chiuso alle influenze straniere, ma nel 1854 fu costretto dagli Stati Uniti, attraverso la spedizione del commodoro Matthew C. Perry, ad aprirsi al commercio. Questo portò all'imposizione di "trattati ineguali", che garantivano ai cittadini americani privilegi commerciali e legali. L'apertura al commercio straniero generò profondi sconvolgimenti politici e sociali, con un aumento dell'inflazione e dei prezzi che aggravò le disuguaglianze esistenti. Ciò stimolò una trasformazione radicale, inclusa l'adozione selettiva di innovazioni culturali, scientifiche e tecnologiche dall'estero. Il Giappone era caratterizzato da una struttura politico-economica feudale, con il potere concentrato nelle mani della nobiltà terriera (i daimyo) e dello shogun, mentre l'imperatore rivestiva un ruolo principalmente spirituale. I mercanti avevano un certo prestigio economico, ma i contadini, che costituivano oltre l'80% della popolazione, vivevano in condizioni difficili a causa delle imposte elevate. Lo shogun era il comandante supremo del sistema feudale, la più alta posizione data a un samurai dall'imperatore, capo dello stato sin dai tempi antichi. I samurai, pur essendo la casta guerriera, trovavano difficile accedere a ruoli di prestigio nella burocrazia e nell'esercito, e generalmente disdegnavano il commercio. Negli anni Sessanta del XIX secolo, il Giappone subì un profondo cambiamento che portò alla fine del sistema feudale. Questa trasformazione coinvolse sia alcune famiglie di grandi feudatari, che criticavano lo shogunato per aver stipulato trattati commerciali con potenze straniere contro la volontà dell’imperatore, sia membri del ceto medio - basso, come i samurai, desiderosi di rinnovamento sociale ed economico. Nonostante le promesse di riforme da parte dello shogunato, l’opposizione aumentò, culminando nell’occupazione della città imperiale di Kyoto da parte degli eserciti dei feudatari nel 1868, che proclamò la restaurazione imperiale sotto il giovane imperatore Mutsuhito (imperatore Meiji). Con il recupero dei poteri imperiali, Tokyo divenne la nuova capitale e iniziò un’epoca di “governo illuminato” che portò a riforme in ambito amministrativo, politico, sociale e fiscale, fondamentali per la modernizzazione e industrializzazione del Giappone. I privilegi feudali furono aboliti, e tra il 1868 e il 1871 avvenne un accentramento

amministrativo. La riforma scolastica del 1872-73 introdusse l’obbligo dell’istruzione, mentre il servizio militare divenne obbligatorio, sottratto ai samurai. Un’importante riforma fiscale fornì le risorse necessarie per sviluppare infrastrutture come ferrovie e strade, accompagnando la creazione di industrie moderne nei settori tessile, idroelettrico e siderurgico. Lo Stato giapponese intervenne attivamente nell'industrializzazione, reclutando oltre 6.000 tecnici stranieri e favorendo la tecnologia attraverso studi all'estero. Questo rapido processo di occidentalizzazione non intaccò le tradizioni culturali e religiose giapponesi; lo scintoismo, che venerava l’imperatore come discendente degli dèi, si rafforzò durante la restaurazione Meiji, mentre il sistema rappresentativo rimase fragile. Nel febbraio del 1889, il Giappone adottò una Costituzione che, sebbene parzialmente ispirata al liberalismo europeo, rifletteva un compromesso tra l’oligarchia Meiji e le nuove formazioni politiche del Partito liberale e del Partito progressista, rappresentanti della borghesia imprenditoriale e rurale. La Costituzione conferiva ancora ampi poteri all'imperatore, compreso il controllo esecutivo. Il Parlamento, composto da due Camere (una nominata dal sovrano e l'altra eletta con suffragio censitario), non aveva potere di controllo sul governo, limitando di fatto la sua funzione legislativa. Il periodo che seguì, caratterizzato da una "rivoluzione dall’alto", vide una rapida modernizzazione economica e politica senza il coinvolgimento delle classi inferiori e senza compromettere il potere delle élite privilegiate. Nonostante l’accelerato sviluppo e un alto tasso di crescita economica, le condizioni dei contadini rimasero precarie, portando a un’intensificazione delle proteste contadine. Verso la fine del secolo, il Giappone cercò di rivedere i trattati commerciali sfavorevoli e di affermare la propria egemonia in Asia orientale, in particolare nella competizione con la Cina per la Corea. Questo conflitto culminò nella vittoria giapponese nella guerra sino-giapponese (1894- 1895 ), che portò alla cessione di Taiwan, dell'arcipelago delle Pescadores e della penisola di Liaotung da parte della Cina, che rinunciò anche a qualsiasi pretesa sulla Corea. Nonostante l'intervento di potenze europee come Russia, Francia e Germania, che costrinsero il Giappone a restituire dei territori, la guerra sino-giapponese aprì la strada alla penetrazione europea in Cina. La Russia occupò province della Manciuria, erodendo l'influenza giapponese sulla Corea e stabilendo una base navale a Port Arthur nel 1898. Le tensioni tra Russia e Giappone esplosero nel 1904, dopo l'alleanza del Giappone con la Gran Bretagna nel 1902. Forte della superiorità militare, il Giappone attaccò la flotta russa e assediò Port Arthur, vincendo la guerra nel 1905. Questa vittoria portò all'acquisizione della Manciuria meridionale, della metà meridionale dell'isola di Sakhalin e al riconoscimento del protettorato sulla Corea, annessa nel 1910. Tuttavia, il conflitto acutizzò le tensioni interne, con gravi perdite e un crescente divario tra città e campagna: si intensificarono i conflitti sociali e gli scioperi. I governi dal 1906 al 1912, pur concedendo alcune misure, reprimevano severamente le proteste, in particolare contro il movimento anarchico e il Partito socialista, messo fuori legge nel

  1. Per contenere le tensioni interne, la classe dirigente giapponese promosse il culto scintoista e l'addestramento militare della popolazione.

CAPITOLO 3. 4 :

Nella seconda metà dell'Ottocento, la penetrazione dei mercanti stranieri, specialmente inglesi, destabilizzò l'equilibrio politico e sociale della Cina imperiale, retta dai Qing. Il potere era esercitato da una casta di mandarini, burocrati provenienti dalla nobiltà terriera, che governavano in nome dell'imperatore secondo i principi del confucianesimo. Nonostante alcune riforme, la maggior parte della popolazione, soprattutto contadina, viveva in condizioni difficili. Confucianesimo: Dottrina filosofica ; secondo i suoi principi, l’uomo deve entrare a far parte dell’armonia celeste, secondo rettitudine e benevolenza. Fino alla fondazione della Repubblica popolare cinese, nel 1949, il confucianesimo fu la dottrina ufficiale in Cina.

Negli stessi anni anche la Francia attraversò una grave crisi politico-istituzionale, in cui le forze liberali fedeli alla Terza Repubblica si scontrarono con la destra monarchica e nazionalista. La crisi fu innescata dal caso Dreyfus, una vicenda giudiziaria in cui il capitano ebreo Alfred Dreyfus venne condannato per spionaggio a favore della Germania. La scoperta di prove che lo scagionavano portò a una battaglia politica tra difensori della Repubblica parlamentare e sostenitori della destra, che vedevano in Dreyfus un simbolo della minaccia all’onore dell’esercito e ai valori tradizionali. Il caso assunse una portata nazionale con la pubblicazione del famoso articolo “J’accuse” di Émile Zola, che denunciava le ingiustizie subite da Dreyfus. La destra antisemita e nazionalista, sostenuta da chi voleva preservare l’onore militare, cercò persino di organizzare un colpo di Stato, ma senza successo. Nel frattempo, i difensori dei diritti dell’uomo e del sistema repubblicano si unirono per proteggere le istituzioni democratiche. La crisi politica si concluse dopo qualche anno con l’annullamento della condanna di Dreyfus e la sua reintegrazione nell’esercito; la vittoria politica delle forze repubblicane portò alla formazione di un governo di difesa repubblicana. Parallelamente, in Gran Bretagna, a partire dal 1899, si manifestò una crisi meno violenta ma altrettanto significativa. Le richieste di autonomia irlandese e la nascita del Labour Party, sostenuto dalle Trade Unions, segnarono una trasformazione politica. Le difficoltà britanniche nella guerra contro i Boeri in Sudafrica (1899-1902) misero in discussione l’efficacia dell’esercito e dell’amministrazione politica. La crisi politica esplose dopo la fine dell’egemonia conservatrice: alle elezioni i liberali ottennero una netta vittoria e iniziarono un ampio programma di riforme sociali. Il punto culminante della crisi si ebbe con il rifiuto della Camera dei Lord di approvare il “People’s Budget”, che proponeva una tassa progressiva sulla proprietà fondiaria. La battaglia tra il governo liberale e la Camera dei Lord portò all’approvazione del Parliament Act nel 1911, che limitò il potere della Camera Alta dei Lords, consolidando la supremazia della Camera dei Comuni e ridisegnando il sistema politico britannico in senso democratico. Dopo la fine del cancellierato di Bismarck nel 1890, la Germania cambiò corso politico sotto il nuovo Kaiser Guglielmo II, che puntava a un potere personale e a una politica estera più aggressiva. Nel 1897 iniziò la fase della "Weltpolitik”, con l'obiettivo di dotare la Germania di una flotta da guerra capace di competere con quella inglese e di rilanciare l'espansione coloniale. Questo periodo favorì l'alleanza tra agrari, militari e grandi industriali, e vide la nascita di associazioni imperialiste come la Lega Pangermanica e la Lega Navale. Questi movimenti, caratterizzati da populismo e antisemitismo, criticavano la moderazione del governo e promuovevano una politica aggressiva. L'unica opposizione significativa, rappresentata dal Partito Socialdemocratico (SPD), era isolata. Anche il lungo cancellierato di von Bülow (1900-1909) non riuscì a risolvere le tensioni interne: l'imperatore non volle essere inserito in un sistema costituzionale equilibrato così il populismo di destra non fu contenuto, e non si trovò un accordo con i grandi partiti di massa come il Zentrum e l'SPD. La Germania si avvicinava così alla Prima Guerra Mondiale con una società in rapido progresso economico, ma incapace di trovare stabilità politica. In Russia, invece, il malcontento portò a una rivoluzione. Sconfitta dal Giappone nel 1904 e colpita da una grave carestia, la Russia vide nascere proteste per una riforma costituzionale. Il 9 gennaio 1905, una manifestazione pacifica venne repressa violentemente, scatenando ulteriori rivolte. Lo zar Nicola II concesse infine una Duma elettiva, ma con poteri limitati, che non soddisfece le richieste popolari, causando un inasprimento delle tensioni. Solo con il Manifesto delle Libertà del 17 ottobre 1905 vennero riconosciute le principali libertà civili e il potere legislativo alla Duma. Il Manifesto però non riuscì a mantenere unito il fronte liberale. I moderati, soddisfatti, fondarono il Partito degli ottobristi, mentre i progressisti crearono il Partito costituzionale-democratico (Cadetti). Anche la sinistra era divisa tra menscevichi e bolscevichi all'interno del Partito socialdemocratico e il Partito dei socialisti rivoluzionari, sostenuto dai contadini. A causa della frammentazione delle forze rivoluzionarie e del rafforzamento dei conservatori, lo zar poté applicare in modo restrittivo il Manifesto. Le Dume elette furono sciolte una dopo l'altra e il sistema parlamentare non decollò. Nel 1907 la legge elettorale fu ulteriormente ridotta, garantendo una Duma docile e priva di reali poteri. Nonostante la promessa di una costituzione, essa non fu mai emanata.

Il primo ministro Petr Stolypin avviò una dura repressione delle opposizioni e promosse una riforma agraria che permetteva ai contadini di acquistare la terra. Solo una minoranza, i kulaki, ne beneficiò, mentre la maggior parte dei contadini rimase in povertà.

CAPITOLO 4.2:

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, i Paesi industrializzati conobbero profondi cambiamenti economici, sociali e politici, legati all'industrializzazione e all'urbanizzazione. La nascita della cosiddetta “società di massa” portò a una crescente mobilità, alla circolazione delle informazioni e alla fine dell'economia basata sull'autoconsumo. L'industrializzazione favorì la creazione di nuovi settori produttivi come la siderurgia e l'industria chimica, e la razionalizzazione del lavoro grazie al taylorismo e all'introduzione della catena di montaggio, soprattutto nell'industria automobilistica americana. Questo processo aumentò la produttività, i salari e la domanda di beni, modificando le abitudini di consumo ; la stratificazione sociale si accentuò, con la comparsa di operai qualificati accanto a quelli non specializzati. Si ampliò anche il ceto medio, i "colletti bianchi", costituito da tecnici, impiegati e funzionari, mentre lo Stato iniziò ad assumere un ruolo più attivo in settori come sanità e istruzione. L'alfabetizzazione di massa e l'estensione del suffragio universale maschile aumentarono la consapevolezza politica della popolazione, favorendo la nascita di un'opinione pubblica capace di influenzare le decisioni politiche. L'espansione del sindacalismo, dei partiti socialisti e dell'attivismo femminile modificò profondamente la politica tradizionale. Vennero dunque messe in crisi le strutture politiche tradizionali, basate su notabili e comitati elitari; la politica iniziò a coinvolgere le emozioni delle masse attraverso simboli e rituali collettivi, spingendo i gruppi liberali e conservatori a creare organizzazioni politiche più strutturate, ispirandosi ai partiti socialisti. Tuttavia, vi furono resistenze tra le élite tradizionali, che temevano l’influenza delle masse e l'ascesa di politici demagoghi capaci di manipolare l'opinione pubblica, minando il parlamentarismo. Contemporaneamente, si sviluppò la cosiddetta “teoria delle élite”, secondo cui il potere è sempre detenuto da una minoranza organizzata, indipendentemente dal tipo di governo. Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto sostenevano che ogni forma di governo era oligarchica. Roberto Michels approfondì questa idea con la "legge ferrea dell'oligarchia", dimostrando che anche nei partiti democratici il potere tende a concentrarsi in poche mani. Max Weber studiò il fenomeno della burocratizzazione, evidenziando i rischi della crescente concentrazione di potere nelle mani dei funzionari, a scapito del controllo democratico.

CAPITOLO 4.3:

Nel corso del XIX secolo, il nazionalismo aveva alimentato i movimenti di indipendenza in Italia, Germania, Balcani e America Latina, con un forte legame con gli ideali democratici e repubblicani. Questo nazionalismo era associato alla sovranità popolare e mirava a unire i popoli sulla base di legami naturali, culturali e storici, contribuendo alla formazione di Stati nazionali moderni. Alla fine del secolo, però, il nazionalismo subì una trasformazione, diventando uno strumento di potenza per gli Stati europei. Assunse tratti autoritari e antidemocratici, esaltando la guerra, il patriottismo e la difesa della razza, con un'accentuata esclusione del "diverso". Questo nazionalismo aggressivo si legò agli interessi economici e finanziari delle potenze industriali e alle necessità delle élite di controllare le masse, sfociando nell'imperialismo. Sul piano culturale, il nazionalismo trovò giustificazione nelle teorie evoluzionistiche di Darwin, applicate impropriamente alla società umana per affermare la supremazia delle razze "superiori". Di seguito diversi studiosi sostenerono la superiorità della razza bianca, alimentando un nazionalismo razzista e antisemita; in Germania questo divenne la base dei movimenti pangermanisti che aspiravano a riunire i popoli di lingua tedesca. In Francia, il nazionalismo assunse una forte connotazione antisemita. Intellettuali e gruppi di destra, ma anche settori della sinistra rivoluzionaria, aderirono a questa ideologia, attaccando il cosmopolitismo, l'internazionalismo e la