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Tfa Sostegno riassunti, Appunti di TFA Sostegno

Tfa Sostegno riassunti del manuale di preparazione

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 26/03/2020

jonnydeep77
jonnydeep77 🇮🇹

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Riassunto Edises
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Riassunto Edises

tfa sostegno

Dalle scuole speciali all'inclusione degli alunni con disabilità (tutti i documenti e le azioni promosse dal

governo per arrivare ad una vera inclusione, per es. Riforma Gentile, Documento Falcucci, legge

227 del 19 75, legge 104 del 92, Legge Bassanini, POF

Concetto di BES

Gruppi di lavoro per l'inclusione GLI, GLH, GLO, etc..

Programmazione, progetto di vita, Didattica dell'integrazione (Dewey,

Montessori, etc..) Mediatori didattici

Empatia ed intelligenza emotiva

Psicologia dello sviluppo (Piaget, Vygotskij,

I disturbi del linguaggio

I disturbi della comunicazione

Motivazione

Gardner e le intelligenze multiple

Goleman

Teoria delle emozioni

La formazione della personalità

La definizione dell'identità (identità sessuale,

Legame di attaccamento (Bowlby)

I disturbi psichici

Psicosi, psicoterapie

Le principali teorie dello sviluppo (comportamentismo, condizionamento

classico e operante - Pavlov e Skinner)

Socializzazione e aggressività in età scolare

Modelli educativi contemporanei

Disturbi specifici

dell'apprendimento

Didattica individualizzata e

personalizzata

Compiti del docente e della

famiglia Principali manuali

diagnostici

Secondo il filosofo, è necessario che il corpo abbia vigore per obbedire all’anima. Un corpo debole

affievolisce l’anima. In Rousseau, come in altri suoi contemporanei, il ragazzo disabile generava

solo curiosità nei confronti dell’insolito.

Denis Diderot si rivolse ai minorati sensoriali. Nei suoi scritti si nota una certa freddezza e

disprezzo nelle descrizioni di chi risulta affetto da disturbi della vista e dell’udito. Per il filosofo

percezione ed intelletto erano un tutt’uno.

Charles de l’Epée, fondatore di un istituto per sordomuti, è conosciuto per essersi interessato ad

individuare gli strumenti più idonei per l’istruzione dei sordomuti. Si occupò, infatti,

dell’educazione dei bambini sordi attraverso il potenziamento dei canali visivi, tattili e cinestetici. Il

suo impegno nei loro confronti fu esemplare. Egli compì un passo che oggi potrebbe essere definito

‘rivoluzionario’ perché non collocò i bambini sordi in un ospizio o in un asilo, ma in un istituto

specializzato per i sordomuti.

Il XVIII secolo costituì, quindi, una svolta nell’atteggiamento sociale verso i disabili, soprattutto

quelli sensoriali e dunque una notevole vittoria sulla discriminazione.

IL SENSISMO

Nella storia della pedagogia speciale la teoria sensista riveste un ruolo molto importante. Condillac

elaborò una teoria dello sviluppo che segue costantemente la conoscenza attraverso l’esperienza

sensoriale fino a realizzare un modello psicologico completo. Egli si opponeva alla teoria

dell’innatismo delle conoscenze, sostenendo che l’uomo era una tabula rasa, e che ogni sensazione

visiva e uditiva diventava un tassello di quel grande mosaico che è l’intera conoscenza della realtà.

Ogni neonato era, per l’ipotesi sensista, una statua e come tale una tabula rasa naturale.

La pedagogia speciale si sviluppa in Italia solo dopo la metà del Novecento. La dichiarazione

dell’Unesco del 1968 definisce in modo generico la pedagogia speciale come una forma arricchita

di educazione generale, che tende a migliorare la vita di coloro che soffrono di handicap diversi,

arricchita nel senso che fa appello a metodi pedagogici moderni e a materiale tecnico per porre

rimedio a certi tipi di deficienze. In mancanza di un intervento di questo genere, molti soggetti

rischiano di rimanere, in qualche misura, disadattati e handicappati sul piano sociale e di non

pervenire mai al pieno sviluppo delle loro capacità. Scopo della pedagogia speciale, non è quindi

quello di fare scomparire le anomalie ma di effettuare, per quanto possibile, gli obiettivi propri

dell’educazione normale, che consiste nel favorire lo sviluppo della personalità; è quindi la

rieducazione la promozione dell’individuo secondo le sue disponibilità interiori ed esteriori

attraverso la rimozione, il contenimento o la compensazione delle difficoltà.

Prima del XIX secolo il problema dell’inserimento sociale della persona con disabilità non venne

mai preso in considerazione. I motivi sono storici, morali e scientifici.

In una cultura dominata dalla necessità della sopravvivenza fisica, non vi era posto per la pietà. Se

si volesse fare un quadro storico relativo al problema delle persone con disabilità ossia alle scelte

fatte dall’umanità nei secoli passati, si potrebbero individuare quattro periodi diversi in cui il

problema è stato preso in considerazione in maniera diversa:

  1. Il primo periodo riguarda l’antichità, in cui domina la necessità della sopravvivenza

alimentare. Il più debole non trova una grande considerazione.

  1. Il secondo periodo è caratterizzato dalla pietà cristiana. Il disabile viene tollerato ma vive ai

margini della società vengono istituiti dei centri di raccolta per i minorati, gli abbandonati e i

poveri. Per gli esposti o i derelitti, tra cui si trovavano probabilmente molti disabili, venero

istituiti i “torni” e le “ruote” presso conventi e ospedali.

  1. Il terzo periodo è caratterizzato da un approccio scientifico ai problemi dell’handicap

considerato un accidente naturale e non una colpa individuale. Si passa dall’idea di uomo

come puro spirito a quella di un essere come meccanismo vivente. In questo periodo si

colloca il pensiero di Condillac.

  1. Nel quarto periodo predomina l’aspetto economico. Alla fine del XIX secolo, sotto la spinta

dello sviluppo scientifico e in particolare, di quello industriale e per la pressione della presa

di coscienza della classe operaia , emerge con chiarezza che la possibilità di impiegare

alcune tipologie di disabilità poteva essere utile all’economia di una società moderna.

LA NASCITA DELLE SCUOLE SPECIALI IN ITALIA

Le istituzioni più diffuse riguardavano soprattutto ciechi e sordomuti e solo successivamente

vennero presi in considerazione i minorati psichici. La prima scuola per sordomuti fu fondata a

Roma nel 1784.

Un contributo molto importante ai problemi educativi dei sordomuti arrivò da Tommaso Pendola

che riconobbe le loro capacità intellettuali e approfondì la tesi dell’oralismo. Pertanto venne istituita

una scuola per la preparazione di insegnanti qualificati all’applicazione di tale metodo. La prima

scuola per ciechi sorse a Napoli nel 1818.

Il passaggio da un interesse curativo ad uno educativo e sociale nei confronti dei minorati psichici si

sviluppò in maniera sistematica verso la fine dell’Ottocento con la creazione di istituti medico-

pedagogici che si distaccarono dai manicomi per assumere una loro autonomia e valenza educativa

  • ad opera di studiosi come: Antonio Gonnelli Cioni che ricolse il suo metodo alla persona e non

alla disabilità puntando sullo sviluppo delle capacità residue, valorizzando la vita di relazione e

l’inserimento nella società. La sua opera rappresentò il primo momento di totale distacco dalle

concezioni esclusivamente mediche. Un altro studioso da ricordare è Sante de Sanctis (1862-1935)

che fondò a Roma nel 1935 il primo asilo-scuola. In De Sanctis si possono riconoscere i precursori

dei moderni centri medico-psicopedagogici. Il problema delle minoranze psichiche veniva

affrontato sotto diversi profili: psichiatrico, psicologico e sociale.

Nel 1910 nacque la prima classe differenziale. A Maria Montessori si deve la prima applicazione

dei principi pedagogici di interazione del soggetto con il suo ambiente e di sviluppo delle sue

capacità attraverso l’aiuto e gli stimoli che il docente è in grado di offrire. La Montessori,

ispirandosi ai metodi di Itard e Sèguin, destinati ai bambini con disturbo atipico, scoprì la loro

applicabilità nell’educazione dei bambini senza difficoltà.

In Italia, almeno fino al 1923, si lamenta la totale assenza dello Stato nel settore dell’educazione

speciale. Lo Stato trascura, infatti, il problema dell’educazione dei minorati e lascia che di essi si

occupino i privati e i Comuni. Infatti le prime scuole speciali in Italia sorsero grazie all’iniziativa di

grandi comuni e non dello Stato.

si concretizza con la legge 118 del 1971 che è entrata nella scuola italiana come il primo

riconoscimentogiuridicoufficialeafavoredell’inserimentodeisoggettidisabilinellescuole normali.

Riconosce loro il diritto di frequentare la scuola dell’obbligo e varie provvidenze di tipo sociale,

sanitario ed economico.

Tale legge poneva, tuttavia, alcuni condizionamenti, quando faceva eccezione per i casi in cui i

soggetti fossero affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche tali da impedire o

rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle classi normali.

Il Documento Falcucci può essere considerato il primo studio sistematico sull’inserimento dei

ragazzi con disabilità nelle scuole comuni dal quale trasse origine la legge n. 227 del 197 5. Il punto

saliente del D. Falcucci era il superamento della distinzione normale/anormale per evitare il

pericolo di emarginazione. I portatori di handicap, secondo il documento, erano tutti quei “minori

che in seguito a evento morboso o traumatico pre-peri-post natale presentano una menomazione

delle proprie condizioni psichiche o fisiche che li mettono in difficoltà di apprendimento o

relazione”. Per questo motivo la scuola avrebbe dovuto favorire i processi di socializzazione e il

tempo peno venne ritenuto uno strumento utile in tal senso.

La valutazione non doveva essere circoscritta la mero voto ma anche e soprattutto al livello di

maturazione. Il Documento segnava la decisa presa di posizione verso l’integrazione della

persona con disabilità. Veniva confermata la tendenza, già in atto, di abolire le classi

differenziali per favorire il processo di inserimento nella scuola normale. Di particolare

importanza si presentava la proposta di revisione dei programmi, ritenuti statici, da sostituire

con la programmazione, in vista del raggiungimento di obiettivi personali e differenziati.

Il Documento Falcucci sottolineava l’importanza dell’individualizzazione degli interventi didattici,

di nuove attività integrative, della scoperta di nuovi linguaggi espressivi, del riconoscimento di

un’intelligenza non soltanto logico – astrattiva ma anche senso-motoria e pratica.

Le conseguenze operative più immediate del documento Falcucci furono l’istituzione di un ufficio

speciale per i problemi degli alunni handicappati presso il Ministero e l’emanazione della circolare

227 / 1975 con la quale si adottava il principio della massima integrazione nelle classi normali per

cui le scuole comuni dovevano essere rinnovate al massimo per accogliere tutti i discenti. Questo

tentativo d’integrazione prevedeva che in ogni provincia uno o due gruppi di scuole disponessero di

qualche aula in più per attività speciali, di una palestra o salone, di un apposito locale per il servizio

medico e di sufficiente spazio all’aperto. Gli accessi agli edifici e alle aule non avrebbero dovuto

presentare impedimenti per alunni con difficoltà.

Uno dei provvedimenti più rilevanti per quanto concerne l’innovazione didattica e l’integrazione

scolastica dei soggetti con disabilità è la legge n. 517 / 1977 che rappresenta l’atto legislativo più

importante in materia. Questa legge abolisce le classi differenziali e stabilisce il diritto

all’integrazione dei disabili in una classe normale aperta, composta da non più di 20 alunni con la

presenza di un insegnante specializzato. La programmazione è vista come strumento flessibile che

può comprendere attività scolastiche integrative. L’insegnante di sostegno viene introdotta nella

scuola elementare e media. Nella scuola elementare venivano previste attività scolastiche

integrative per gruppi di alunni della classe oppure di classi diverse. Nella scuola media veniva

utilizzato un insegnante di ruolo on possesso di titoli di specializzazione. Ogni insegnante di

sostegno veniva affidato ad una sola classe per un massimo di sei ore settimanali.

Nel decennio 1980 - 1990 il Ministero avvia due importanti iniziative: il D.M. del 26 agosto 1981

che offre importanti chiarimenti sulle prove d’esame di licenza media per gli alunni disabili

(nascono le prove differenziate) e la legge 20 maggio 1982, n. 270 che rivede la disciplina i

reclutamento del personale docente della scuola materna, elementare e media. Nelle scuole

elementare e media doveva essere assicurato un rapporto di un insegnante di sostegno ogni 4 alunni

portatori di handicap e non più nel limite delle sei ore ma a seconda delle effettive necessità del

discente.

Di notevole importanza è poi la C.M. n. 148/ 1990 con la quale l’insegnante di sostegno assume la

contitolarità della classe in cui opera e collabora con gli altri insegnanti, con la famiglie e con gli

specialisti delle strutture territoriali per attuare progetti educativi personalizzati.

A partire dagli anni ’60 e ’70 si è puntato molto sulla specializzazione degli insegnanti di sostegno.

Con l’articolo 8 del DPR n.970/ 1975 l’insegnante per gli alunni con disabilità conseguiva un titolo

al termine di un corso biennale. Nel ’76 furono previsti corsi monovalenti, per minorati della vista,

dell’udito e psicofisici. Ma dopo 10 anni i corsi monovalenti risultarono inadeguati per rispondere

alle diverse esigenze e furono istituiti, nel 1986, i corsi polivalenti grazie ai quali l’insegnante di

sostegno ampliavano le tematiche generali di carattere metodologico e didattico e potevano quindi

operare dinanzi a qualsiasi forma di minorazione.

Sentenza della Corte Costituzionale n. 275 / 1987

Tale sentenza è importante in quanto intese l’integrazione scolastica come diritto costituzionale

garantito opponendosi all’articolo 28 della legge 118 / 1971 che parlava di una frequenza ‘facilitata’

per gli alunni in situazioni di handicap. Ora la frequenza è assicurata per evitare l’emarginazione.

Legge n. 104 / 1992

La legge quadro 104/1992 rappresenta una svolta politica e culturale a favore delle persone disabili,

poiché focalizza l’attenzione sull’integrazione e favorisce forme e strumenti per l’autonomia. Il

testo è composto di 44 articoli, di questi sei sono dedicati all’integrazione scolastica. Molto

importante risulta l’articolo 12 che regolamenta il diritto all’istruzione e all’educazione dei soggetti

in situazione di handicap. Nessuna minorazione, per quanto grave, può essere motivo di esclusione

dalla frequenza delle scuole di ogni ordine e grado. Ciò significa che non è il disabile a doversi

adeguare alle strutture scolastiche ma che è obbligo dello Stato provvedere ad adeguare

l’organizzazione e il funzionamento delle strutture alle esigenze dell’alunno con disabilità.

Nell’articolo 12 si parla anche di diagnosi funzionale, di piano educativo individualizzato e di

profilo dinamico funzionale. Questi documenti vengono aggiornati alla fine di ciascun ciclo di

scuola. L’articolo 13 stabilisce che l’integrazione degli alunni con disabilità nelle classi normali

avviene anche grazie ad una programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari,

socio-assistenziali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubblici o

privati. Lo stesso articolo prevede la fornitura di strumenti didattici tecnologicamente avanzati.

L’art. 15 prevede strutture di supporto amministrativo all’integrazione. Presso ogni ufficio

scolastico provinciale è istituito un Gruppo di lavoro Interistituzionale provinciale (GLIP). Infine

I BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

Ianes definisce il bisogno educativo speciale come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento,

permanente o transitoria, in ambito educativo e/o apprenditivo, dovuta all’interazione dei vari fattori

che necessita di educazione speciale individualizzata”.

L’alunno speciale non è più soltanto quello in situazione di disabilità originata da deficienze fisiche

e/o psichiche oggettivamente “certificabili” ma è anche l’alunno che, a causa di determinate

situazioni familiari e ambientali, si trova in una posizione permanente o transitoria di bisogno e che

di conseguenza necessita di interventi specifici o specialistici. La nozione di bisogno educativo

speciale - scrivono Ianes e Cramerotti – si avvicina molto a quella di difficoltà di apprendimento,

categoria diagnostica con la quale si fa riferimento a qualsiasi difficoltà riscontrata da uno studente

durante la sua carriera scolastica e ricollegabile – come sostiene Cornoldi – ad un complesso

variegato di cause individuali e contestuali. La didattica speciale interviene, perciò, là dove il

percorso educativo è intralciato da difficoltà o resistenze specifiche causate da deficit personali

oppure da condizioni di svantaggio sociale che impediscono o limitano i processi d’integrazione. La

scuola, quindi, deve riorganizzarsi come sistema capace d’individuare i bisogni educativi speciali di

tutti gli alunni, non solo di quelli disabili, per intervenire con azioni mirate a promuovere le capacità

e lo sviluppo umano. Gli insegnanti, specialmente quelli di sostegno, devono dare un contributo che

è fondamentale per il successo dell’intervento educativo speciale. Tutti hanno bisogni speciali ma

non tutti hanno bisogni educativi speciali. Le persone posseggono risorse non solo espresse, ma

anche potenziali e residue. Perciò non è mai opportuno assegnare certe “etichette” che possono

introdurre distorsioni nella relazione educativa ma occorre piuttosto che si compia uno sforzo di

comprensione per poi disegnare un percorso di crescita e accompagnamento. Per poter

adeguatamente lavorare in questa direzione , il docente deve avere competenze e risorse altrettanto

“speciali”: deve conoscere, cioè, le condizioni che generano difficoltà e i loro effetti sui normali

processi di sviluppo.

L’intervento educativo individualizzato, il lavoro scolastico, la famiglia e il raccordo tra tutte le

risorse territoriali extra-scolastiche rappresentano i quattro ambiti operativi per una linea

d’intervento valida per tutte quelle situazioni di disagio, di difficoltà o di bisogno educativo speciale

che necessitano di percorsi di presa di carico più o meno duraturi o strutturati. Se il bisogno

educativo speciale deriva da una difficoltà nell’apprendimento e/o nello sviluppo, connaturata ad un

deficit specifico, la risposta educativa speciale deve mirare, secondo precisi protocolli, al

superamento o all’aggiramento della difficoltà. Il fine è la promozione dell’individuo secondo le sue

potenzialità interiori ed esteriori, per realizzarne la dignità, qualunque sia il tipo di disadattamento

dal quale egli è colpito.

L’intervento educativo non ha alcuna possibilità di successo se manca il dialogo tra scuola e

famiglia. I programmi devono, inoltre, essere flessibili. Per guidare l’intervento, adattarlo alle

eventuali sopravvivenze e verificarne i risultati, può essere utile la costruzione di mappe logico

disposizioni, rappresentazioni grafiche che, partendo proprio dal riconoscimento di determinate

carenze, permettono di programmare le azioni educative necessarie al raggiungimento di capacità e

abilità funzionali all’interno di un contesto integrato.

Classificazioni internazionali: Si passa dall’uso della parola Handicappato (I.C.I.D.H, 1980)

all’uso del concetto di persona con disabilità (I.C.F. 2001). Da un modello medico si passa ad un

modello sociale.

Il piano educativo individualizzato (PEI) è il documento nel quale vengono descritti e integrati gli

interventi predisposti per l’alunno con disabilità, in un determinato periodo di tempo, ai fini della

realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione ai sensi dell’art. 12 della L. 104 /1992. Il

P.E.I. è redatto ogni anno , entro il secondo mese dell’anno scolastico, congiuntamente dagli

operatori sanitari individuati dall’ASL e dal personale insegnante curriculare e di sostegno della

scuola e, ove presente, con la partecipazione dell’insegnante operatore psico-pedagogico, in

collaborazione con i genitori. Ed è verificato con scadenza trimestrale per cui può essere modificato

in caso di nuove esigenze. I soggetti chiamati a definirne i contenuti propongono, ciascuno in base

alla propria esperienza pedagogica, medico-scientifica e di contatto e sulla base dei dati derivanti

dalla diagnosi funzionale e dal profilo dinamico funzionale, gli interventi necessari per la piena

realizzazione del diritto all’educazione, all’istruzione e all’integrazione scolastica dell’alunno con

disabilità, in relazione al deficit specifico da cui è affetto, alle difficoltà che gli impediscono una

normale partecipazione alla vita sociale e alle potenzialità residue e disponibili. Il P.E.I. è tanto più

funzionale quanto più vi è definito il ruolo dell’insegnante di sostegno, nei suoi rapporti con gli altri

insegnanti di classe e di scuola, nella sua funzione di ‘mediatore della comunicazione’ tra tutti

coloro chiamati a lavorare con l’alunno.

La legge 104 del 1992, all’articolo 15, ha previsto due strumenti indispensabili per coinvolgere nel

processo d’integrazione tutte le professionalità necessarie: il gruppo di lavoro provinciale per

l’integrazione scolastica, situato presso ogni ufficio scolastico provinciale, e i gruppi di lavoro e

di studio a livello dei singoli istituti scolastici.

Il gruppo di lavoro provinciale dura in carica tre anni ed è composto da un ispettore tecnico

nominato dal provveditorato agli studi, da un esperto della scuola, da due esperti designati dagli enti

locali, due esperti delle unità sanitarie locali, tre esperti designati dalle associazioni delle persone

handicappate maggiormente rappresentative a livello provinciale nominate dal provveditore agli

studi sulla bas dei criteri indicati con decreto ministeriale.

I gruppi di lavoro e di studio d’istituto, invece, sono composti da insegnanti, operatori dei servizi,

familiari e studenti. Essi sono costituiti a cura del capo d’istituto, sentiti il consiglio d’istituto e il

collegio dei docenti.

Al gruppo di lavoro provinciale sono attribuiti compiti di consulenza e proposta al provveditore

agli studi, di consulenza alle singole scuole, di collaborazione con gli enti locali e le Asl per la

conclusione e la verifica dell’esecuzione degli accordi di programma previsti dalla stessa legge, per

l’impostazione e l’attuazione dei piani educativi individualizzati, nonché per qualsiasi altra attività

inerente all’integrazione egli alunni in difficoltà d’apprendimento.

Il gruppo di lavoro per l’handicap operativo costituito all’inizio dell’anno scolastico per ogni

alunno svantaggiato, composto dal dirigente, da almeno un rappresentante degli insegnanti di

classe, dall’insegnante specializzato sul sostegno, dall’assistente educatore eventualmente presente,

dagli operatori della Asl che si occupano del caso, dai genitori o dai facenti funzione e da qualunque

altra figura significativa che operi nei confronti dell’alunno, è l’organo fondamentale per la

i singola scuola con i Gruppi di Lavoro sull’Handicap (GLHO) e i Gruppi di Lavoro per l’Inclusione

GLI); a livello distrettuale con i Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI); a livello provinciale con i

Centri Territoriali di Supporto (CTS) e con i Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali (GLIP) e,

nfine, a livello regionale, con i Gruppi di Lavoro Interistituzionali Regionali (GLIR). A fare da

accordo tra questi organismi sono gli Uffici Scolastici Regionali e, a livello nazionale, il

Coordinamento nazionale dei CTS, istituito presso il Miur.

Grupp d Lavoro u ’Hand cap Operativi (GLHO si riuniscono per le problematiche di un

singolo alunno. Sono formati dal Dirigente scolastico, dal Consiglio di classe, dai genitori dell’alunno e

al personale sanitario. Hanno il compito di redigere il Piano Educativo Individualizzato e di

erificarne l’efficacia per un percorso formativo dell’alunno con disabilità che garantisca lo sviluppo

elle sue potenzialità. A tale scopo possono formulare delle proposte ai Gruppi di Lavoro per

’Inclusione su effettive esigenze emerse nel Piano Educativo Individualizzato.

Si individueranno gli operatori tra gli insegnanti curricolari e di sostegno che possano garantire la

loro presenza per almeno tre anni. I CTS possono dotarsi di un Comitato Tecnico Scientifico per

definire le linee generali d’intervento e le iniziative da realizzare sul territorio a breve e lungo

termine.

L’organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica

La suola italiana negli ultimi anni è andata incontro a grandi cambiamenti per garantire a tutti gli alunni

un ambiente accogliente in cui realizzare il proprio percorso formativo e didattico a prescindere dalle

diversità funzionali e da bisogni specifici. L’offerta di una scuola inclusiva capace di accompagnare gli

studenti nella crescita personale, sociale e formativa si articola su vari livelli e necessita di diversi

strumenti. Per aiutare le istituzioni scolastiche in questo compito, è stata creata una rete di supporto

territoriale, che sarà oggetto di ulteriore riordino, per la condivisione delle problematiche e la gestione

delle risorse disponibili. I docenti hanno così a disposizione una struttura diffusa capillarmente che si

propone come punto di riferimento per i Bisogni Educativi Speciali. Tale supporto si articola a livello

I Gruppi di Lavoro per l’Inclusione (GLI) sostituiscono i GLH di istituto e ne estendono le

competenze a tutti gli alunni con BES. Sono formati dal Dirigente scolastico, da docenti

curricolari e

di sostegno, da genitori e da rappresentanti del Consiglio d’istituto e possono avvalersi

della

i consulenza di esperti. Le loro funzioni sono articolate nella CM 8 / 2013 : rilevazione dei BES

presenti

r nella scuola, raccolta e documentazione degli interventi didattici-educativi posti in

essere, confronto

sui casi e consulenza, rilevazione e valutazione del livello di inclusività della scuola,

raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli GLH operativi, elaborazione di

una proposta di

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d I Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI)possono essere organizzati a livello di rete

territoriale e

v assorbono le funzioni dei Centri territoriali per l’integrazione scolastica degli alunni

con disabilità, i

d Centri di documentazione per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e

i Centri territoriali

l di risorse per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Sono

composti da docenti con

specifiche competenze, come indicato dalla CM 8 /2013, “al fine di poter supportare

concretamente le scuole e i colleghi con interventi di consulenza e formazione mirata”.

I Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali (GUP), previsti dalla legge 104 /1992,

sono istituiti presso l’Ufficio Scolastico provinciale. Sono composti da un ispettore tecnico

nominato dal direttore dell’USR, un docente, esperti designati dall’Azienda sanitaria regionale e

dagli enti locali e rappresentanti delle associazioni di settore. I GLIP offrono consulenze e

formulano proposte per l’integrazione scolastica al Dirigente scolastico regionale e alle scuole del

territorio e collaborano con gli enti locali e le Asl locali per l’attuazione dei PEI, nonché per

qualsiasi altra attività inerente all’integrazione degli alunni in difficoltà di apprendimento.

Presentano, inoltre, un programma annuale per l’integrazione al Dirigente dell’Ufficio scolastico

provinciale.

I Gruppi di Lavoro Interistituzionali Regionali (GLIR) sono previsti dalle Linee guida

per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità del 4 agosto 2009 con lo scopo di

attivare iniziative per accordi di programma regionali finalizzati al coordinamento e

all’ottimizzazione dell’uso delle risorse, promuovere iniziative regionali unitarie e fungere da

raccordo con le scelte socio-sanitarie regionali. Sono composti da rappresentanti

dell’amministrazione scolastica, della Regione, degli enti locali, di associazioni di categoria e da

esperti del settore.

Il D.P.R. 275 / 1999 , decreto attuatore dell’autonomia, chiarisce che il concetto di autonomia

progettuale formativa delle istituzioni scolastiche mira allo sviluppo della persona umana, il cui

successo formativo testimonia l’efficacia del processo d’insegnamento-apprendimento messo in atto

dalla scuola. L’autonomia è garanzia di libertà d’insegnamento e di pluralismo culturale e si

sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e

istruzione adeguati a diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche

dei soggetti coinvolti affinché sia garantito il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli

obiettivi generali del sistema d’istruzione.

In questa attività di progettazione complessiva s’inserisce il POF. Il piano presenta le scelte

pedagogiche, organizzative e gestionali della scuola, esplicitando le finalità educative, gli obiettivi

generali relativi alle attività didattiche e le risorse previste per realizzarli. Il POF è elaborato dal

collegio docenti sulla base degli indirizzi generali per le attività della scuola e delle scelte generali

di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio d’istituto, tenuto conto delle proposte dei

genitori, e nelle scuole superiori, degli studenti. Il piano è adottato dal consiglio di circolo o

d’istituto e viene consegnato alle famiglie al momento dell’iscrizione. L’autonomia delle istituzioni

scolastiche è garanzia di libertà d’insegnamento e di pluralismo culturale; essa si sostanzia nella

progettazione e nella realizzazione, attraverso il POF, di interventi di educazione, formazione e

istruzione, mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle

famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti. Tutto ciò al fine di garantire alle

scuole il successo formativo coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema

d’istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento/apprendimento.

Il POF deve essere dunque coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi

di studi che vengono determinati a livello nazionale, ma, nello stesso tempo, deve partire dalla

storia e dall’analisi delle condizioni sociali, economiche e culturali di quel territorio.

All’interno del POF deve essere prodotto, entro il mese di giugno un PIANO ANNUALE PER

L’INCLUSIONE (PAI) riferito a tutti gli alunni con BES, sulla base del quale le scuole

avanzeranno richieste di personale di sostegno alla rispettiva USR che procederà ad assegnare alle

scuole le risorse di sostegno. A redigerlo dovrà essere il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione

(GLI) che nasce dall’estensione dei compiti e dei componenti del gruppo di lavoro per l’handicap

(GLH) istituito presso ogni istituzione scolastica (L.104/1992) formato da docenti, esperti e

genitori. Al fine di predisporre il PAI, il gruppo di lavoro per l’inclusione procederà ad un’analisi

delle criticità e dei punti di forza degli interventi d’inclusione scolastica operati nell’anno appena

trascorso. Il piano sarà quindi discusso e deliberato in collegio docenti e inviato agli uffici degli

UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR, per la richiesta di organico di sostegno e alle altre istituzioni

territoriali come proposta di assegnazione delle risorse di competenza, considerando anche gli

Accordi di Programma in vigore o altre specifiche intese sull’integrazione scolastica sottoscritte con

gli Enti Locali. A seguito di ciò gli Uffici scolastici assegneranno le risorse di sostegno.

Le iniziative previste dal POF devono includere anche le attività e i progetti rivolti agli alunni

diversamente abili.

Nella sentenza n. 226 / 2001 la Corte Costituzionale afferma che il diritto all’istruzione dei

diversamente abili sussiste anche nel periodo successivo a quello durante il quale la frequenza

scolastica è obbligatoria (scuola dell’obbligo dai 6 ai 14 anni, con il limiti massimo ai 15). Vengono

predisposti corsi per adulti nei quali devono essere assicurate le stesse misure di sostegno previste

dalla legge 104 del ’92. Tali corsi diventano ancora più rilevanti per gli adulti con disabilità poiché

si è ancora più vicini ad un’integrazione totale e ad un completo inserimento nella società.

Nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2009 è stata pubblicata la Legge 3 marzo 2009 n. 1 8 ,

recante la ratifica e l’esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con

disabilità, adottata a New York il 13 dicembre 2006.

E’ il primo trattato del nuovo secolo con ampi contenuti sui diritti umani e segna un punto di svolta

nelle relazioni verso le persone con disabilità; non più individui bisognosi di carità, cure mediche e

protezione sociale ma “persone” capaci di rivendicare i propri diritti e prendere decisioni per la

propria vita, basate sul consenso libero e informato, ed essere membri attivamente inclusi nella

società. La Convenzione (Legge 18 /2009) chiarisce che tutte le categorie di diritti si applicano alle

persone con disabilità e identifica le aree nelle quali può essere necessario intervenire per rendere

possibile ed effettiva la fruizione di tali diritti; identifica inoltre le aree nelle quali vi sono violazioni

e quelle nelle quali la protezione va rafforzata. Scopo della Convenzione non è dunque quello di

affermare nuovi diritti umani, ma di stabilire gli obblighi a carico delle Parti volti a promuovere,

tutelare e assicurare i diritti delle persone con disabilità.

E’ importante sottolineare che il “Preambolo” della Convenzione riconosce “la disabilità” un

concetto in evoluzione, e che essa è il risultato dell’interazione tra persone con menomazione e

barriere comportamentali ed ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva inclusione

partecipata nella società su base di uguaglianza con gli altri.

Di conseguenza, la nozione di “disabilità” non viene fissata una volta per tutte, ma può cambiare a

seconda degli ambienti che caratterizzano le diverse società. È necessario che il contesto si adatti ai

bisogni specifici delle p ersone con disabilità, attraverso ciò che la convenzione definisce

“accomodamento ragionevole”: indica le modifiche e gli adattamenti necessari e appropriati che

non impongano un carico sproporzionato o eccessivo per assicurare alle persone con disabilità il

godimento e l’esercizio, sulla base dell’eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà

fondamentali (art.2).

Il Ruolo degli Uffici Scolastici Regionali

Gli Uffici scolastici regionali devono:

  • attivare ogni possibile iniziativa finalizzata alla stipula di accordi di programma regionali per il

coordinamento, l’ottimizzazione e l’uso delle risorse, riconducendo le iniziative regionali ad un

quadro unitario compatibile con i programmi nazionali d’istruzione e formazione con quelli socio-

sanitari.

  • promuovere la costituzione di GLIR (GRUPPO DI LAVORO INTERISTITUZIONALE

REGIONALE) al quale demandare la realizzazione dell’obiettivo sopra individuato.

Al fine dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, è indispensabile ricordare che

l’obiettivo fondamentale della legge 104/ 1992 è lo sviluppo degli apprendimenti mediante la

comunicazione, la socializzazione e la relazione interpersonale. La progettazione educativa per

gli alunni con disabilità deve dunque, essere costruita tenendo presente questa priorità.

La progettazione educativa individualizzata dovrà individuare interventi equilibrati fra

apprendimento e socializzazione, preferendo in linea di principio che l’apprendimento avvenga

nell’ambito della classe e nel contesto del programma in essa attuato.

Per non disattendere mai gli obiettivi dell’apprendimento e della condivisione è indispensabile che

la programmazione delle attività sia realizzata da tutti i docenti curricolari, i quali, insieme

all’insegnante di sostegno, definiscono gli obiettivi di apprendimento per gli alunni con disabilità in

correlazione con quelli previsti per l’intera classe. Date le finalità della programmazione comune fra

i docenti curricolari e quello di sostegno per la definizione del piano dell’alunno con disabilità,

finalità che vedono nella programmazione comune una garanzia di tutela del diritto allo studio. La

documentazione relativa alla programmazione deve essere resa disponibile alle famiglie.

La flessibilità organizzativa e didattica prevista dall’autonomia funzionale delle istituzioni

scolastiche consente di articolare l’attività di insegnamento secondo le più idonee modalità per il

raggiungimento del successo formativo di tutti gli alunni, finalità ultima dell’intero servizio

nazionale di istruzione.

Il progetto di vita

Il progetto di vita, parte integrante del PEI, riguarda la crescita personale e sociale dell’alunno con

disabilità e ha come obiettivo principale la realizzazione dell’innalzamento della qualità della vita

dell’alunno con disabilità, anche attraverso la predisposizione di percorsi volti sia a sviluppare il

senso di autoefficacia e sentimenti di autostima, sia a predisporre il conseguimento delle

competenze necessarie a vivere in contesti di esperienze comuni. Il progetto di vita deve esser

condiviso dalla famiglia e dagli altri soggetti coinvolti nel processo d’integrazione.

La costituzione delle reti di scuole

Al fine di una più efficace utilizzazione dei fondi per l’integrazione scolastica il dirigente scolastico

promuove la costituzione di reti di scuole, anche per condividere buone pratiche, promuovere la

documentazione, dotare il territorio di un punto di riferimento per i rapporti con le famiglie e con

l’extra-scuola nonché per i momenti di aggiornamento degli insegnanti.

La corresponsabilità educativa e formativa dei docenti

È ormai convinzione consolidata che non si dà vita a una scuola inclusiva se al suo interno non si

avvera una corresponsabilità educativa diffusa e non si possiede una competenza didattica adeguata.

La progettazione degli interventi da adottare riguarda tutti gli insegnanti perché l’intera comunità

scolastica è chiamata a organizzare i curricoli in funzione dei diversi stili o delle diverse attitudini

cognitive, a gestire in modo alternativo le attività d’aula, a favorire e potenziare gli apprendimenti e

ad adottare i materiali e le strategie didattiche in relazione ai bisogni degli alunni.

tutoring, l’apprendimento per scoperta, la suddivisione del tempo in tempi, l’utilizzo di mediatori

didattici, di attrezzature e di ausili informatici, di software e sussidi specifici. Da menzioare la

necessità che i docenti predispongano i documenti per lo studio o per i compiti a casa in formato

elettronico, affinchè essi possano risultare facilmente accessibili agli alunni che utilizzano ausili e

computer per svolgere le proprie attività di apprendimento.

Un sistema inclusivo considera l’alunno protagonista dell’apprendimento qualunque siano le sue

capacità, le sue potenzialità e i suoi limiti. Va favorita, pertanto, la costruzione attiva della

conoscenza, attivando le personali strategie di approccio al “sapere” rispettando i ritmi e gli stili di

apprendimento e assecondando i meccanismi di autoregolazione. Si suggerisce il ricorso alla

metodologia dell’apprendimento cooperativo.

Infine, la valutazione dovrà sempre essere considerata come valutazione dei processi e non solo

della performance.

La didattica dell’integrazione

L’interesse pedagogico verso i bambini con deficit nasce nel corso del diciottesimo secolo. Il primo

a parlare di educabilità per tutti fu, sul finire dell’età dei lumi, il medico ed educatore francese Jean

Marc Gaspard Itard il cui nome è legato al caso del Selvaggio dell’Aveyron.

L’800 è l’epoca delle riforme scolastiche e, dietro la spinta della cultura romantica che rifiuta ogni

forma di riflessione razionalistica, cambia gradualmente anche l’approccio all’educazione che deve

privilegiare la crescita interiore dell’allievo, l’apprendimento delle arti e della cultura umanistica e

lo sviluppo del gusto artistico, quest’ultimo attraverso la valorizzazione del gioco come attività

libera a ogni condizionamento. Sulla scia del positivismo scientifico, i bisogni educativi speciali

restano rigorosamente circoscritti all’area medica che è impegnata nella misurazione delle

caratteristiche fisiche e intellettive degli alunni delle scuole, con ricerche antropometriche e

psicometriche di tipo quantitativo, condotte per proporre modelli di riforma delle istituzioni

scolastiche. Alla fine del secolo si afferma, anche ad opera del filosofo John Dewey (1859-1952),

l’attivismo pedagogico, un metodo educativo che si prefigge di creare un modello di scuola non

convenzionale. Una scuola, cioè, che focalizza il proprio interesse non più sul docente ma

sull’allievo e sulle sue esigenze (puerocentrismo) e all’interno della quale il compito del docente

non è quello di trasmettere aride conoscenze ma di guidare il fanciullo nel processo di

apprendimento, stimolandolo alla socializzazione e al confronto mediante la progettazione e la

realizzazione di lavori di gruppo e laboratori. Maria Montessori (1870-1952) adotta una

“pedagogia scientifica”. Sostiene, infatti, che i bisogni educativi speciali vanno affrontati anche dal

punto di vista pedagogico e psicologico e non solo medico. Nascono le prime scuole magistrali

ortofreniche con orientamento emendativo, per curare la diversità, e si afferma la pedagogia

emendativa come settore pedagogico deputato all’educazione dell’infanzia “minorata, irregolare o

anormale”. Iolanda Cervellati (1897-1966) afferma che la pedagogia emendativa attinge alle

scienze biologiche, psicologiche e neurologiche applicate all’educazione dei disabili per realizzarsi

pienamente nella didattica differenziale. Non diversamente dalla Montessori, la Cervellati sostiene

la necessità di un’educazione senso-motoria individualmente impartita, con materiali sensoriali

adatti alla particolarità di ogni singolo caso al fine di realizzare il principio dell’autoeducazione. La