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Viaggio attraverso le meraviglie e le innovazioni del cinema italiano dal Neorealismo alla commedia all'italiana
Typology: Thesis
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CINEMA ITALIANO
NEOREALISMO
Il termine “Neorealismo”, in riferimento al cinema italiano del dopoguerra, viene coniato nel ’48 dalla critica francese, quando molti dei capolavori neorealisti erano già stati realizzati. Inizialmente i registi furono ostili a quest’etichetta che giudicavano limitativa e incapace di rendere conto delle loro reciproche diversità.
Il Neorealismo nasce in Italia nel secondo dopoguerra e rivoluzionerà il modo di fare cinema negli anni successivi. Nonostante il Neorealismo erediti molti dei suoi registi e tecnici dal cinema degli anni ’30, i sistemi del cinema ante guerra non sono più sufficienti per raccontare la realtà postbellica, dopo la guerra infatti si diffonde un nuovo modo di guardare il mondo che necessita quindi un cambiamento nel modo di filmare.
I teatri di posa vengono quasi del tutto abbandonati, non tanto perché gli stabilimenti siano stati distrutti o risultino impraticabili, i registi abbandonano gli studi per raccontare i viaggi tra le macerie della guerra, il caos delle strade cittadine, la vita nelle campagne e nelle periferie. Il cinema diventa quindi il testimone e l’interprete principale di un nuovo paesaggio costituito da detriti. Le ricostruzioni in studio non vengono del tutto abolite ma il forte legame con l’esperienza e la voglia di realizzare attraverso ogni opera un documento conoscitivo porta i registi a girare all’aperto.
Il cinema del dopoguerra per esprimere la voglia di cambiamento e per distaccarsi dal cinema degli anni ’30 ha bisogno di volti nuovi e quindi di nuove figure attoriali. Spesso gli attori sono non professionisti ma i grandi attori in grado di attrarre pubblico non scompaiono, vengono però usati in maniera differente rispetto al passato: in “Roma città aperta”, ad esempio, Aldo Fabrizi e Anna Magnani, noti all’epoca per i loro ruoli comici vengono utilizzati in ruoli drammatici. La maggior parte degli attori non professionisti venivano reclutati nelle strade e molte attrici come Silvana Mangano o Gina Lollobrigida venivano scovate nei concorsi di bellezza.
Uno dei i molti luoghi comuni da sfatare che caratterizzano il Neorealismo è la spontaneità della recitazione; la maggior parte dei film sono girati con un grande lavoro sulla sceneggiatura, in alcuni film come ad esempio “Paisà” di Rossellini alcune scene sono però influenzate da quello che accade sul del set. Inoltre dire che il Neorealismo narra la realtà come appare è un’affermazione estremamente semplicistica, poiché la realtà è legata allo sguardo dell’osservatore ed è quindi soggettiva e cambia in base alle dimensioni sociali e culturali.
OSSESSIONE (VISCONTI 1943)
Ossessione, opera prima di Luchino Visconti, nasce dalla spinta di rinnovamento voluta dagli intellettuali della rivista Cinema e assume da subito il ruolo di opera- manifesto che fa da ponte tra il cinema di regime e il cinema del dopoguerra. Viene etichettato dalla critica straniera come il primo film neorealista, diede infatti un forte impulso alla via del realismo che il cinema del dopoguerra porterà a compimento.
Ossessione è un dramma senza lieto fine in forte contrapposizione con le commedie del cinema di regime degli anni precedenti: vengono affrontati temi come l’incertezza dell’esistenza, la drammaticità del vivere e l’impossibilità di ricomposizione armonica dei conflitti. L’etica cattolica, tipica del cinema degli anni ’30, cede il posto ad un’etica materialistica dove si evidenzia il valore del denaro e la carnalità del sesso. Adulterio e omicidio non vengono giudicati o condannati e l’istituzione della famiglia viene criticata e mostrata come un nucleo disgregato.
Il paesaggio ha un ruolo fondamentale all’interno del film alla stregua di un personaggio, il suo rilievo simbolico si articola su tre icone mitiche: la strada, il mare che rappresenta il mondo del possibile e del desiderio e il fiume che costeggia la strada dove avvengono il delitto e l’epilogo. I personaggi sono fortemente caratterizzati e simbolici, tutti ruotano attorno alla protagonista che è il fulcro in cui avviene la narrazione. Giovanna rappresenta la passione che non viene fermata dalla morale in un binomio tra piacere e perdizione. In chiave sociale è simbolo dello sfruttamento della donna e della prostituzione istituzionalizzata nella famiglia. Il Bragana rappresenta il denaro e il male del capitale. Gino, il protagonista maschile, incarna la figura del vagabondo. La ballerina rappresenta l’amicizia in contrapposizione con la passione. Lo Spagnolo ha sia una valenza politica, incarnando l’ideale comunista, che una valenza sessuale in quanto, secondo la critica straniera, rimanda in maniera nascosta all’omosessualità.
Il film si struttura in due parti simmetriche separate dall’omicidio, questa simmetria sottolinea la circolarità del destino. La circolarità è presente anche nelle inquadrature, il modo di raccontare è dilatato e ellittico allo stesso tempo, a Visconti non interessa l’intreccio della catastrofe ma le sue conseguenze, è inoltre interessato alle emozioni dei personaggi, compie infatti un lavoro sui gesti e sulle espressioni dilatando il tempo più che sulle azioni sulle emozioni dei personaggi. In Ossessione si trovano i tratti stilistici tipici di Visconti: viene data grande importanza alla messa in scena che rimanda all’Espressionismo, inoltre mette a punto un particolare utilizzo delle luci con gli interni più bui e gli esterni più luminosi creando un contrasto ontologico tra luce e ombra.
PAISA’ (ROSSELLINI 1946)
In Germania anno zero, Rossellini, si immerge in maniera diretta nella materia della distruzione portata dalla guerra. Berlino viene raffigurata come una città cadavere e le sue macerie sono una metafora delle macerie dell’esistenza individuale. I frantumi di Berlino rappresentano la terribile memoria del passato e la morsa altrettanto insopportabile del presente.
Viene rappresentato un mondo incenerito e capovolto dove i bambini lavorano al posto dei grandi, i maestri insegnano il male, i fratelli accettano la prostituzione delle sorelle e i genitori sono colpevoli di non aver fermato in tempo il cataclisma. In mezzo alla perversione dei maestri, alla mancanza di protezione degli adulti, allo sguardo sinistro dei ruderi, il protagonista, Edmund, attraversa Berlino come un ininterrotto calvario, in cui incontra soltanto segni di morte. Il film, ambientato in Germania, con i suoi contrasti buio-luce, tipici di Rossellini, riprende l’espressionismo tedesco.
La morte è rappresentata con le case e le macerie, ma anche attraverso i personaggi e i loro dialoghi, in particolare il padre di Edmund e il maestro nazista. Tra i personaggi sono presenti due figure paterne: il padre naturale di Edmund, uomo paralitico che rappresenta metaforicamente l’immobilità della generazione che ha permesso l’avvento del nazismo e il padre elettivo, il maestro nazista e pederasta, la sua perversione sessuale sottolinea la malvagità del personaggio. Edmund è un bambino che ha sulle sue spalle le colpe delle sue due figure paterne ma viene comunque raffigurato con l’innocenza della sua età, egli infatti cerca spesso il gioco persino un momento prima del suicidio. Il protagonista assume quindi un ruolo mostruoso e angelico allo stesso tempo. Rossellini ci mostra Edmund sempre nell’atto di camminare tra le macerie, senza una meta precisa, sperduto e solo.
Nel finale la macchina da presa segue il protagonista, Edmund, nel suo girovagare senza senso alla ricerca di una comprensione e di un conforto da parte di un mondo che lo ha spinto ad uccidere il padre. Senza appigli, aiuti, o risposte decide di buttarsi nel vuoto. Dopo il suicidio, lo sguardo di Rossellini, raccoglie il corpo di Edmund a terra e lo consacra a vittima sacrificale ponendogli accanto la figura di una madonna per ricreare l’iconografia della pietà.
Ladri di biciclette narra il viaggio per le strade di Roma di un uomo con suo figlio, alla ricerca della bicicletta che gli era stata rubata. Il viaggio di conquista alla ricerca
dell’oggetto magico si trasforma in un itinerario di disorientamento progressivo e di ripetute sconfitte. La città viene raffigurata come lo spazio della dispersione e dello smarrimento dell’individualità.
Nel loro film De Sica e Zavattini cercano di far sparire l’intreccio della narrazione classica e romanzesca, procedendo con una narrazione minimalista basata su piccoli gesti di ogni giorno e analizzando i fatti minimi del quotidiano. In questa narrazione anti-classica scompaiono gli eroi e gli eventi importanti. De Sica riesce ad ottenere dai suoi attori presi dalla strada memorabili e irripetibili interpretazioni e entusiasma il pubblico per la capacità di rendere avventurosa e drammatica una storia all’apparenza insignificante.
Il racconto procede per associazioni di microeventi che si caricano di senso e di pathos perché lo spettatore è da subito coinvolto nella storia del protagonista, alla ricerca della bicicletta che gli è stata rubata. La narrazione è chiusa nel linguaggio di gesti e sguardi che il protagonista scambia con il figlio Bruno, ed è tenuta in tensione dalla sproporzione tra causa ed effetti del dramma sociale che si sviluppa a partire dal furto di una semplice bicicletta, strumento necessario alla sopravvivenza dell’operaio.
A differenza di Rossellini, Zavattini e De Sica lavorano minuziosamente sulla sceneggiatura rispettandola punto per punto in fase di ripresa. Il film ha infatti la struttura, solo apparentemente casuale, di un vagabondaggio nel tessuto urbano. Bazin afferma che il film è un’unione paradossale tra illusione del caso e sceneggiatura minuziosa seguita alla lettera, attraverso l’ordine artistico viene infatti messo in scena il disordine della realtà.
In Ladri di biciclette il dramma sociale della disoccupazione nel dopoguerra si coniuga con il dramma personale, messo in evidenza dal legame del protagonista con il bambino. I personaggi di De Sica e Zavattini non gravitano attorno ad un ideale collettivo come quelli di De Santis o di Visconti in La terra trema, ma sono sempre soli alle prese con un mondo ostile.
Nel 1948 Ladri di biciclette sarà tra i primi film neorealisti a raggiungere maggior il successo mondiale anche grazie ad un Oscar.
Il film, tratto da “I Malavoglia” di Giovanni Verga, fu commissionato a Visconti dal PC, al quale fu chiesto di rappresentare lo sfruttamento e la lotta di classe.
Riso amaro segna il massimo successo di De Santis sul piano nazionale e internazionale. Il film di De Santis fu, infatti, uno dei capolavori neorealisti ad avere più successo al botteghino.
Cultura alta e cultura popolare si mescolano alla ricerca di un pubblico di massa, De Santis tenta di fare un cinema accessibile a tutti e non solo agli intellettuali, per questo venne accusato di populismo dalla critica dell’epoca.
Appare come un ibrido tra i grandi modelli cinematografici, i codici del fotoromanzo, del cineromanzo e della cultura popolare. In Riso amaro è infatti presente un’eterogeneità di genere cinematografici; dal neorealismo canonico al cinema classico americano riprendendo in particolare i generi del Western e del Musical.
Il film viene definito completamente in fase di sceneggiatura. A differenza di molti film neorealisti, Riso amaro, si servì di una sceneggiatura di ferro come da prassi nel cinema americano. De Santis vuole compiere una critica, in maniera non esplicita, denunciando la corruzione della cultura americana dell’epoca insediata in Italia. I personaggi sono fortemente caratterizzati e sono sempre animati da pulsioni e desideri elementari come la ricchezza, l’eros, il possesso e la vendetta. La Mangano rappresenta, ad esempio, la figura della mondina che si fa portare sulla strada della perdizione affascinata dal denaro e dalla corruzione della cultura americana.
Il regista cerca di comunicare servendosi di tutti i mezzi espressivi e drammaturgici del linguaggio cinematografico. Lo stile di de Santis è infatti ricco di tecnicismi, sono presenti ampi movimenti di macchina, mai fini a se stessi, e numerosi movimenti di gru dal particolare al generale, il regista vuole infatti mettere in sintonia l’elemento singolo con l’ambiente circostante in cui opera. Uno degli elementi fondamentali è l’attenzione al linguaggio del corpo e al suo rapporto con il paesaggio. A differenza di molti altri film neorealisti, Riso amaro, non è ambientato in una città ma in una zona rurale.
Con questo film cambia il ruolo della donna nel cinema italiano, con l’affermazione di Silvana Mangano, infatti, si aprirà la strada al divismo delle maggiorate degli anni cinquanta.
Negli anni ’30 il genere principale è la commedia comico-sentimentale. Questo genere era legato a trame stereotipate caratterizzate dal lieto fine come, ad esempio, l’amore tra persone di ceti diversi. I film venivano girati all’interno di teatri di posa, gli attori venivano dal teatro e anche la recitazione era stereotipata, questo fu uno dei motivi per cui il Neorealismo manifestò la necessità di rinnovare il corpo attoriale.
Nel cinema italiano degli anni’30 i protagonisti erano impiegati, piccolo borghesi, dattilografe, segretarie, tutti i personaggi erano profondamente ancorati ai cliché che caratterizzavano il loro ruolo nella società e venivano mostrati i modelli di benessere e pacificazione sociale voluti dal regime fascista. Viene quindi indagato il tema della scalata sociale, caratterizzando le varie classi e evidenziando le loro differenze.
La commedia di questo periodo viene chiamata commedia “dei telefoni bianchi”, il nome proviene dalla presenza di telefoni bianchi, sintomatica di benessere sociale, nelle sequenze di alcuni film di questo periodo.
Elementi essenziali di questi film sono i particolari oggetti di arredamento e lo scenario grandioso, con scalinate monumentali, statue greche, tendaggi trasparenti. I film erano caratterizzati dalla presenza di una forte luce bianca che ingrandiva le sale e inondava le scenografie. Veniva rappresentato un mondo ricco e agiato, molto distante dalla vita della gente comune. Attraverso il cinema dei Telefoni Bianchi il Fascismo prevedeva di risollevare l’animo degli Italiani ed annebbiare la loro capacità critica, servendosi di commedie briose dalle atmosfere euforiche e spensierate.
Gli autori più rilevanti di questo periodo furono senza dubbio Alessandro Blasetti, Mario Mattioli e Mario Camerini. È in questo periodo che si impone il giovane attore Vittorio De Sica, reso celebre da Mario Camerini nel film del 1932 “Gli uomini che mascalzoni”.
Il film di Castellani fa parte di una trilogia, la “trilogia della povera gente”, che ha come protagonisti i giovani. Viene raccontata una lotta tra generazioni nella quale, la gioventù, vuole crearsi un futuro al di fuori delle norme imposte dalla famiglia. I giovani protagonisti sono mossi dalla forza della natura, l’uno verso l’altro, senza interrogarsi sul futuro. La protagonista femminile, Carmela, attraverso la sua forza e la sua irriverenza rappresenta tutti i caratteri tipici della giovinezza. La giovinezza, assumendo tratti eversivi, diventa quindi l’agente del cambiamento in un’Italia ancora arretrata e tradizionalista che sta affrontando in maniera traumatica il passaggio da un’economia di tipo agricolo ad un’economia industriale, da un sistema di valori contadino ad uno cittadino e tendenzialmente cosmopolita. L’Italia di “Due soldi di speranza” non è un luogo idilliaco e armoni ma uno spazio conflittuale descritto da Castellani mediante continui scatti ironici e grotteschi. La struttura narrativa del film è composta da tanti piccoli episodi legati tra loro dal voice over che ha una funzione narrativa.
Due soldi di speranza presenta alcuni tratti tipici dei film neorealisti come l’uso del dialetto e l’impiego di attori non professionisti, d’altra parte però inaugura un nuovo sottogenere: il Neorealismo rosa. Il film fu accusato dalla critica marxista dell’epoca di “qualunquismo” e “bozzettismo”, in quanto mancava dell’atteggiamento critico tipico del Neorealismo. Altri critici come Moravia affermarono, riferendosi a “Due soldi di speranza”, che la commedia era una naturale evoluzione del Neorealismo. Nonostante l’opera non sia caratterizzata da una forte ideologia o spirito critico tipici del neorealismo, rimangono immutate la tensione emotiva e visiva puramente neorealiste che fanno di quest’opera una delle più capaci di parlare al pubblico italiano degli anni cinquanta.
“Due soldi di speranza” di Castellani presenta numerosi elementi in comune con “La terra trema” di Visconti. In entrambe i film è presente una teatralizzazione della messa in scena, inoltre tutti e due raffigurano uno scontro tra vecchi e giovani e vengono analizzati problemi di cuore legati anche a problemi economici. I film si occupano dei problemi del sud attraverso gli occhi degli intellettuali del nord e gli attori sono tutti forniti dal paese in cui il film è girato. Ciò che lega i due film è anche l’uso del dialetto alternato al commento in italiano. Nel film di Visconti viene mostrata la purezza incomprensibile del dialetto, il dialetto di Castellani è invece comprensibile a tutti.
La rivista “Cinema” fu fondata nel 1936 da Luciano De Feo. Inizialmente i numerosi intellettuali e critici di questa rivista si scagliavano contro il modello del cinema comico-sentimentale italiano degli anni trenta.
Dal ’38 il direttore di “Cinema” diventa Vittorio Mussolini, il quale rimase in carica fino al ’43. Con la direzione di Vittorio Mussolini viene dato spazio, all’interno della rivista, a giovani intellettuali che diventeranno successivamente autori e registi neorealisti, fortemente antifascisti, come ad esempio Antonioni, De Santis e Visconti. All’interno del primo film di Visconti, “Ossessione”, collaborano molti intellettuali della rivista cinema.
Anche Cesare Zavattini scrisse per “Cinema”, nel suo articolo del 1940 “Sogni migliori” egli comincia a sviluppare i suoi pensieri sul cinema che verranno teorizzati in seguito durante il dopoguerra. Zavattini invoca, in maniera provocatoria, lo sguardo di un cieco, che è capace di oltrepassare la superficie standardizzata dello schermo e di alimentare nuove forme di immaginazione creativa. Per Zavattini il cinema avrebbe dovuto avere come protagonista l’uomo ripreso nella sua quotidianità, nell’articolo “Sogni migliori” egli afferma infatti che il cinema avrebbe dovuto “contemplare il nostro simile nelle sue azioni elementari”.
La rivista “Cinema”, scagliandosi contro il cinema italiano degli anni trenta, diede una forte spinta di rinnovamento e un forte impulso alla nascita del Neorealismo. I critici di “Cinema”, infatti, manifestavano l’urgenza di portare sullo schermo le contraddizioni del tempo presente, che il fascismo aveva sempre rimosso dal mezzo cinematografico, inoltre questi intellettuali una grande volontà di uscire dai teatri di posa e di mostrare l’ambiente in cui vivevano gli italiani, tutti elementi che si discostavano completamente dal cinema precedente e che furono ripresi nel cinema neorealista.
“Pane, amore e fantasia”, secondo alcuni critici, determina la fine del Neorealismo.
mondo e del reale in forma di spettacolo dove i personaggi sembrano essere frutto di uno scavo nell’inconscio.
Viene messa in evidenza la caricatura dei personaggi che rende possibile un giudizio diretto sulle varie figure, dovuto alla loro deformazione e, allo stesso tempo compie un rimando favolistico all’infanzia e all’inconscio.
Il circo rappresenta per Fellini l’archetipo dello spettacolo, nel quale risulta evidente il dualismo tra essere e apparire.
Un elemento fondamentale del film è il fenomeno dell’erranza, grazie a questo espediente tipicamente neorealista, Fellini abbandona il linguaggio della narrazione classica basato su rapporti di causa ed effetto. La narrazione avviene attraverso una sorta di procedimento a stazioni durante la quale i personaggi, caratterizzati da una profonda solitudine, viaggiano alla ricerca di se stessi.
Il film venne fortemente strumentalizzato dalla Chiesa, in particolare per quanto riguarda “la teoria del sassolino” enunciata dal personaggio del Matto, il quale in una scena, rivolgendosi alla protagonista, afferma che anche un sassolino ha un ruolo importante nel mondo.
“La strada” venne fortemente criticato dalla critica comunista poiché accusato di essere una deviazione dal Neorealismo, non vengono narrati infatti operai, lavoratori o personaggi ordinari tipicamente neorealisti, bensì i protagonisti sono personaggi straordinari.
I personaggi hanno una forte valenza simbolica: la protagonista, Gelsomina, è un personaggio clownesco che ha però un forte legame con la natura e può essere considerata un personaggio francescano. Gelsomina comprende il linguaggio della natura , i linguaggi dei matti ma le risulta difficile la comunicazione con le persone normali. Zampanò è un uomo rude, istintivo e che non riflette, egli ha una visione puramente materialistica ed è fortemente legato ai gusti tangibili della vita. La sua visione iper-realistica e anaffettiva lo conduce a essere solo.
Nel “Grido”, Antonioni, nonostante non conosca affatto la società operaia e abituato a descrivere la società borghese, decide di mettere in scena un operaio. Per farlo si
documenta svolgendo numerose inchieste prima delle riprese e facendosi aiutare da veri operai per scrivere i dialoghi.
Per la critica, il film, lascia i problemi sociali esterni al racconto e la descrizione del mondo operaio elaborata da Antonioni presenta un forte distacco psicologico/sociale. Il personaggio del protagonista è un operaio dal punto di vista sociale ma è psicologicamente borghese, e viene quindi accusato di essere poco credibile.
Il film ha una struttura a stazioni e la narrazione ha uno sviluppo circolare, il viaggio del protagonista termina infatti dove è cominciato: sulla torre dello zuccherificio in cui lavorava. È presente il tema del vagabondaggio. Il motivo dell’erranza dei personaggi diventa il fulcro intorno a cui ruota la dispersione del racconto.
I personaggi sono ombre in continuo vagabondaggio lungo una superficie bidimensionale. Questa astrazione pittorica dello spazio comunica un senso allucinato e una percezione di straniamento tra paesaggio e figure, le quali sembrano muoversi su un fondale onirico. Il grido sancisce la rivisitazione del paesaggio padano, piatto e nebbioso, attraversato dalla coppia padre-figlia come un luogo di spettri.
Il tempo perde la continuità lineare, tutto si svolge attraverso continue ripetizioni. Lo spazio è caratterizzato da una continua orizzontalità, la verticalità è presente solo all’inizio e nel finale nel quale il protagonista si lancia nel vuoto dalla torre dello zuccherificio, riacquistando, con una caduta a picco, la dimensione spaziale della profondità.
Il protagonista è un proletario incapace di stabilire un giusto rapporto con la vita, sopraffatto dai sentimenti e senza alcun tipo di integrazione sociale. Il viaggio del protagonista comincia dopo la perdita di un oggetto di desiderio, una donna di nome Irma. Il suo errare è scandito dalla presenza di tre figure femminili: l’ex fidanzata, la benzinaia, e la prostituta, le quali non riescono però a riempire il vuoto lasciato da Irma, conducendo il protagonista verso l’inevitabile suicidio.
I “Soliti ignoti” è il film capostipite della commedia all’italiana e determina il passaggio definitivo dalla commedia del Neorealismo rosa alla commedia satirica a sfondo tragico.
abilità, Monicelli, introduce lo spettatore, attraverso i due protagonisti, nel mediocre ed impotente universo dell’esercito, dove si manifestano tutti i limiti di uno stato guidato da autorità capaci di fronteggiare la tragedia della guerra soltanto attraverso subalterni impreparati e totalmente demotivati. La drammaticità della guerra è descritta a 360 gradi con tutte le sue contraddizioni.
Il film ottenne un grande successo di pubblico vincendo inoltre il Leone d’oro.
I personaggi principali sono quello interpretato da Gassman, anarchico e ribelle e quello interpretato da Sordi, vigliacco e pavido. I protagonisti rappresentano uomini comuni che incarnano i difetti tipici dell’italianità. Questi anti-eroi grazie alle loro ultime azioni diventano però eroi nel finale, morendo per la propria patria.
La struttura narrativa è episodica e frammentaria, scandita da didascalie che, accompagnate da canti popolari, danno un taglio epico alla narrazione.
Si passa dal comico al tragico molto velocemente attraverso anche introduzioni repentine al tema della morte. Questo film segna infatti la svolta della commedia verso l’acquisizione di una nuova identità, agli attori comici si chiede una nuova modulazione del proprio ruolo, un’espansione delle competenze che gli consenta di attivare una serie di registri che possano giungere fino a note di drammaticità.
Viene utilizzata la profondità di campo per inserire i personaggi nell’ambiente e per mettere in evidenza lo sfondo, dove spesso si svolgono delle azioni. Inoltre sono presenti numerosi piani sequenza e movimenti di carrello.
“Tutti a casa” racconta il viaggio sia fisico che spirituale di un gruppo di soldati che, dopo l’armistizio di Badoglio nel 1943, stanchi della guerra, tentano di tornare a casa.
Secondo lo stesso Comencini, il film, ha anche una finalità didattica, raffigurando in maniera esemplare un momento particolare della storia italiana.
La figura del personaggio interpretato da Alberto Sordi cambia rispetto a “La grande guerra”. Sordi non interpreta più un vigliacco, il suo personaggio è un ufficiale che tiene immensamente al proprio grado e che fino alla fine cerca di compiere quello che ritiene il proprio dovere. La memorabile interpretazione di Sordi ci consegna il ritratto di un italiano lasciato in balia di se stesso dall’armistizio firmato da Badoglio. Sordi incarna l'ufficiale improvvisamente costretto a prendere decisioni di sua iniziativa, mentre fino a quel momento il fascismo gli aveva insegnato ad obbedire senza porsi domande. Durante il suo viaggio, nel ritrovare la strada di casa, il personaggio di Sordi, viene a contatto con una serie di situazioni ed eventi che contribuiscono alla sua crescita morale e spirituale che lo porterà nel finale a compiere un atto eroico.
Come in “La grande guerra”, ci troviamo dinanzi alle peripezie comiche del soggetto proiettato contro uno sfondo fortemente drammatico che non riesce a dominare. Si tratta di un particolare intreccio tra epico e comico che mantiene individuo e sfondo su frequenze contrapposte. La morte dei protagonisti in questi film è un forte segnale dell’impatto dell’epico e del tragico su un soggetto qualunque. La peripezia comica dei protagonisti di questo film ha un esito tragico perché il soggetto subisce la fatalità della Storia, alla quale vuole dare il suo contributo.
Nel film di Comencini i toni drammatici superano quelli comici. Il regista costruisce un film che gioca costantemente sui cambiamenti di tono, oscillando tra il dramma e la farsa. Gli improvvisi mutamenti di registro restituiscono in modo del tutto adeguato gli aspetti grotteschi o ridicoli presenti anche nelle situazioni più dolorose.
Il regista Marco Ferreri si insinua in maniera del tutto particolare nel genere della commedia all’italiana, poiché pur utilizzandone gli stessi attori, dà ai suoi film una forte connotazione autoriale.
Ferreri, mantenendo un sottofondo realistico e analizzando alcuni aspetti simbolici della realtà, ci porta in un universo che a tratti va oltre il reale, anche attraverso l’uso del grottesco. Il suo occhio pone uno sguardo sui rapporti umani cogliendone elementi latenti o mascherati. Il regista forza le tinte della realtà comune, decifrandola
Il tema principale è quello del viaggio, i protagonisti viaggiano senza meta, dando importanza al viaggiare in se e non alla destinazione, ed esprimendo in questo modo il vitalismo frenetico dell’epoca.
L'intreccio del film è costituito da una serie di episodi legati magistralmente gli uni agli altri grazie ai quali viene lentamente delineato il carattere dei personaggi. I caratteri psicologici dei personaggi sono associabili alla distinzione di Nietzsche di apollineo e dionisiaco; uno legato alla ragione, l'altro al puro istinto.
I protagonisti del film sono eroi sempre fuori tempo, il fallimento è infatti un tema ricorrente. Il personaggio interpretato da Gassman è un eterno bambino con un matrimonio fallimentare alle spalle. L’altro coprotagonista assume invece il ruolo di narratore e, grazie al voice over, viene esplicitato il suo monologo interiore che funge da commento e ci rivela i suoi pensieri. Il suo pensiero rimane però sempre senza azione, lo stimolo ad agire gli verrà dato proprio dal viaggio che però si conclude con un tragico epilogo. Durante il viaggio, il protagonista e narratore, compie un percorso interiore che lo porterà sempre più ad assomigliare e ad emulare il personaggio di Gassman, staccandosi lentamente dalle convenzioni e dal perbenismo della società borghese da cui proviene, e da tutti i valori che la contraddistinguono.
Pietro Germi è un autore che esordisce nel con un film neorealista, “Il testimone”. La sua regia è solitamente legata ad una narrazione tradizionale e di tipo classico ma, nel dittico composto da “Sedotta e abbandonata” e “Divorzio all’italiana”, il regista, utilizza una narrazione di tipo grottesco e vengono affrontate importanti tematiche sociali.
Il film si poneva in maniera molto critica nei confronti della legge italiana sulle violenze sessuali che, fino al 1981, stabiliva che l’autore della violenza su una donna poteva essere assolto nel caso in cui, dopo l’abuso, avesse deciso di sposarla.
Viene analizzata la dimensione familiare che viene vista da Germi come un luogo di inganno, truffa e illecito, e inoltre un luogo in cui, in nome dei valori, si reprimono le pulsioni e le aspirazioni dei soggetti, soprattutto femminili.
“Sedotta e abbandonata” può essere considerata una commedia erotica poiché non si occupa soltanto di drammi sociali ma , attraverso l’eros, racconta usi e costumi della Sicilia dell’epoca, mettendo in evidenza i traumi vissuti dal soggetto femminile. Uno dei temi del film è, infatti, proprio l’alienazione femminile.
Nel racconto scompare qualsiasi personaggio positivo, persino la protagonista viene vista talvolta in maniera negativa.
La fotografia è ricca di contrasti come ad esempio il paesaggio bianco attraversato da figure in nero. Sono presenti numerosi zoom e rapidi allontanamenti e avvicinamenti della macchina da presa che danno al film un ritmo che ne esaspera la violenza e la corporalità dei personaggi. Germi lavora inoltre con obbiettivi grandangolari poiché questi si adattano perfettamente con la deformazione grottesca che vuole ottenere. Il lato visionario ed estremo del film è sottolineato anche dal particolare utilizzo della musica.
“Io la conoscevo bene” è un film che, concentrandosi sul mondo dello spettacolo, mette in scena tutto l’immaginario e la frenesia del boom economico, nonostante esca nelle sale quando il boom economico è già finito.
Le commedie di Pietrangeli sono, per la maggior parte, incentrate sul personaggio femminile, il regista affronta in oltre il tema dello scontro tra i sessi in un momento di grande trasformazione della società italiana.
Il film compie anche un ritratto spietato della società dello show business, che viene vista da Pietrangeli come un ambiente volgare e cinico, popolato da maschere viscide e patetiche.