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Tecniche di Comunicazione: Esercizi e Quiz, Study notes of Educational Psychology

stili e metodi comunicativi in ambito educativo

Typology: Study notes

2018/2019

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Tecniche di comunicazione
LA COMUNICAZIONE
Oggi è data per scontata l’importanza del dialogo in ogni rapporto umano. Ma non sempre dialogando si arriva ad una reciproca comprensione. E’
necessario apprendere a comunicare.
Comunicazione, viene dal latino “comunico”, significa mettere in comune, ovvero condividere.
Comunicare = interagire, mettere in comune, mettere in relazione
Non significa quindi "mandare messaggi", nel qual caso al massimo parleremmo di informazioni.
La comunicazione quindi non è solo passaggio unidirezionale di notizie e di informazioni, non è divulgazione. Comunicazione è invece interazione e
feedback, è condivisione di significati, di punti di vista per affrontare problematiche comuni.
GLI ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE
1. EMITTENTE
E’ il soggetto o l'oggetto che emette il messaggio. Alcuni studiosi associano una forma di
intenzionalità all'emittente, escludendo dunque la possibilità che esso possa essere un oggetto, e lo definiscono come una persona che ha un obiettivo,
una ragione per entrare in comunicazione.
2. RICEVENTE
E' il soggetto o l'oggetto che riceve il messaggio. Anche nella situazione comunicativamente più estrema, quando un solo soggetto parla e l'altro
ascolta (come può essere a volte una conversazione professore-alunno), il ricevente non è mai solamente passivo: in realtà genera numerosi e continui
messaggi di feedback che vengono registrati dall'emittente e che influenzano il modo in cui il suo discorso si sviluppa.
Krippendorf (1989, 1991) ha focalizzato l'importanza del ricevente, o meglio della
"comprensione" da parte del ricevente, all'interno dell'atto comunicativo. Partendo dalla
considerazione che il significato di ogni messaggio viene interpretato da parte del ricevente sulla base del proprio sistema cognitivo, Krippendorf
sostiene che l'elemento centrale della comunicazione è proprio il modo in cui il ricevente comprende il messaggio, comprensione che è sempre in una
certa misura imprevedibile e incontrollabile.
3. CANALE
E' il mezzo attraverso cui l'emittente veicola, o attraverso cui il ricevente ottiene, il messaggio.
Leonardi (1961) lo definisce come "il veicolo di natura fisica, sollecitato da un tramite
fisiologico o tecnologico, che costituisce il mezzo attraverso il quale i messaggi sono trasmessi nella sfera sociale"
Può essere inteso sia come il mezzo sensoriale coinvolto nella comunicazione (principalmente udito e vista) sia come il mezzo tecnico esterno al
soggetto con cui il messaggio arriva (telefono, fax, posta ecc.).
MARSHALL McLUHAN
3
Parlando di canale non si può non citare la celeberrima frase di Marshall McLuhan, "medium is the message". Il mezzo attraverso cui arriva una
comunicazione sarebbe esso stesso il messaggio. Questa osservazione suggerisce come i diversi tipi di canale si differenziano non solo sulla base dei
contenuti che veicolano, ma anche sulla base del modo in cui risvegliano o alterano i pensieri e i sensi del ricevente. E' molto diverso il processo
percettivo che attiva una persona di fronte a un libro (canale visivo), ascoltando la radio (canale uditivo), di fronte a uno spettacolo televisivo
(entrambi) o assistendo a una lezione universitaria, dove sono stimolati contemporaneamente la vista, l'udito, e tutti gli altri sensi attivi nella
comunicazione interpersonale
4. CODICE
Il codice è il sistema di segni dai significati condivisi che ci permette di comunicare. I
significati, ovvero le cose che vogliamo comunicare, sono inizialmente solo all'interno della
nostra mente. Per poter uscire all'esterno, debbono essere codificati, ovvero tradotti in suoni, gesti, segni che possiedano un significato condiviso.
Se non fossimo in grado di associare a una serie di segni discreti dei significati (ed è la società che ci porta a conoscere questi codici insegnandoceli
fin dai primi giorni di vita) non potremmo comunicare nulla, o quasi nulla. L'uomo dispone di una complessa serie di codici di cui può fare un uso
creativo: ad esempio il linguaggio, o i gesti, ecc.
5. CODIFICA E DECODIFICA
Gli studiosi descrivono con l'espressione "codificare" l'attività che l'emittente compie per
emettere un messaggio che sia effettivamente significativo per l'ascoltatore. La codifica si
riferisce al processo attraverso il quale l'emittente trasforma le sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro genere, nel tentativo di renderle
comprensibili agli altri. Dunque, le idee vengono codificate in messaggi, i quali vengono inviati al ricevente, il quale compie il corrispondente
processo di decodifica.
La decodifica è la trasformazione delle parole e degli altri simboli ricevuti dal ricevente in un significato, che può essere simile, esattamente uguale o
anche completamente differente rispetto al significato iniziale, quello che l'emittente aveva in mente quando ha codificato la sua idea.
L'attività di codifica è resa non banale dal fatto che il codice non è sempre condiviso, e dunque la decodifica non è sempre corretta. Quando un medico
descrive una patologia al paziente utilizzando il suo gergo tecnico, non si rende conto che il messaggio non è correttamente decodificabile da parte del
ricevente, poiché solo l'emittente conosce il codice utilizzato.
6. FEEDBACK, o retrocomunicazione
E' la retrocomunicazione che il ricevente invia all'emittente mentre la comunicazione sta
avvenendo.
E' una informazione di ritorno che permette all'emittente, mentre sta comunicando, di percepire se il messaggio è stato ricevuto, capito, approvato,
ecc. e dunque di reagire, cercando la via più efficace per raggiungere il risultato che si è prefisso.
Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso di feed-back per "aggiustare la mira"
rispetto a quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincere qualcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo periodicamente
l'interlocutore per cercare segnali che ci assicurino che stia ascoltando, che stia seguendo il ragionamento, che abbia capito. Se riceviamo segnali di
senso
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contrario, ripetiamo alcune cose, o scegliamo un altro esempio, o alziamo il tono di voce, fino a quando non riusciamo a raggiungere il nostro
obiettivo (o decidiamo di rinunciare).
7. CONTESTO
E' il "luogo" (fisico o relazionale) in cui avviene lo scambio comunicativo, ovvero la
"situazione" in cui l'atto comunicativo si inserisce (e a cui si riferisce).
Il contesto è parte integrante del messaggio, e può cambiare il significato del messaggio stesso: la frase "bene, molto bene" pronunciata da un
insegnante significa cose molto diverse se detta al termine di una interrogazione in cui lo studente ha dato buona prova di sé, oppure appena dopo che
l'insegnante ha scoperto lo stesso studente copiare durante un compito in classe. Quando inviamo messaggi come la frase "questo mi sembra ok", è il
contesto che permette di comprendere che la parola "questo" si riferisce a un determinato oggetto e non a un altro.
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Tecniche di comunicazione

LA COMUNICAZIONE

Oggi è data per scontata l’importanza del dialogo in ogni rapporto umano. Ma non sempre dialogando si arriva ad una reciproca comprensione. E’ necessario apprendere a comunicare. Comunicazione, viene dal latino “comunico”, significa mettere in comune, ovvero condividere. Comunicare = interagire, mettere in comune, mettere in relazione Non significa quindi "mandare messaggi", nel qual caso al massimo parleremmo di informazioni. La comunicazione quindi non è solo passaggio unidirezionale di notizie e di informazioni, non è divulgazione. Comunicazione è invece interazione e feedback, è condivisione di significati, di punti di vista per affrontare problematiche comuni. GLI ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE

1. EMITTENTE E’ il soggetto o l'oggetto che emette il messaggio. Alcuni studiosi associano una forma di intenzionalità all'emittente, escludendo dunque la possibilità che esso possa essere un oggetto, e lo definiscono come una persona che ha un obiettivo, una ragione per entrare in comunicazione. 2. RICEVENTE E' il soggetto o l'oggetto che riceve il messaggio. Anche nella situazione comunicativamente più estrema, quando un solo soggetto parla e l'altro ascolta (come può essere a volte una conversazione professore-alunno), il ricevente non è mai solamente passivo: in realtà genera numerosi e continui messaggi di feedback che vengono registrati dall' emittente e che influenzano il modo in cui il suo discorso si sviluppa. Krippendorf (1989, 1991) ha focalizzato l'importanza del ricevente, o meglio della "comprensione" da parte del ricevente, all'interno dell'atto comunicativo. Partendo dalla considerazione che il significato di ogni messaggio viene interpretato da parte del ricevente sulla base del proprio sistema cognitivo, Krippendorf sostiene che l'elemento centrale della comunicazione è proprio il modo in cui il ricevente comprende il messaggio, comprensione che è sempre in una certa misura imprevedibile e incontrollabile. 3. CANALE E' il mezzo attraverso cui l'emittente veicola, o attraverso cui il ricevente ottiene, il messaggio. Leonardi (1961) lo definisce come "il veicolo di natura fisica, sollecitato da un tramite fisiologico o tecnologico, che costituisce il mezzo attraverso il quale i messaggi sono trasmessi nella sfera sociale" Può essere inteso sia come il mezzo sensoriale coinvolto nella comunicazione (principalmente udito e vista) sia come il mezzo tecnico esterno al soggetto con cui il messaggio arriva (telefono, fax, posta ecc.). MARSHALL McLUHAN 3 Parlando di canale non si può non citare la celeberrima frase di Marshall McLuhan, "medium is the message". Il mezzo attraverso cui arriva una comunicazione sarebbe esso stesso il messaggio. Questa osservazione suggerisce come i diversi tipi di canale si differenziano non solo sulla base dei contenuti che veicolano, ma anche sulla base del modo in cui risvegliano o alterano i pensieri e i sensi del ricevente. E' molto diverso il processo percettivo che attiva una persona di fronte a un libro (canale visivo), ascoltando la radio (canale uditivo), di fronte a uno spettacolo televisivo (entrambi) o assistendo a una lezione universitaria, dove sono stimolati contemporaneamente la vista, l'udito, e tutti gli altri sensi attivi nella comunicazione interpersonale 4. CODICE Il codice è il sistema di segni dai significati condivisi che ci permette di comunicare. I significati, ovvero le cose che vogliamo comunicare, sono inizialmente solo all'interno della nostra mente. Per poter uscire all'esterno, debbono essere codificati, ovvero tradotti in suoni, gesti, segni che possiedano un significato condiviso. Se non fossimo in grado di associare a una serie di segni discreti dei significati (ed è la società che ci porta a conoscere questi codici insegnandoceli fin dai primi giorni di vita) non potremmo comunicare nulla, o quasi nulla. L'uomo dispone di una complessa serie di codici di cui può fare un uso creativo: ad esempio il linguaggio, o i gesti , ecc. 5. CODIFICA E DECODIFICA Gli studiosi descrivono con l'espressione "codificare" l'attività che l 'emittente compie per emettere un messaggio che sia effettivamente significativo per l'ascoltatore. La codifica si riferisce al processo attraverso il quale l'emittente trasforma le sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro genere, nel tentativo di renderle comprensibili agli altri. Dunque, le idee vengono codificate in messaggi, i quali vengono inviati al ricevente, il quale compie il corrispondente processo di decodifica. La decodifica è la trasformazione delle parole e degli altri simboli ricevuti dal ricevente in un significato, che può essere simile, esattamente uguale o anche completamente differente rispetto al significato iniziale, quello che l'emittente aveva in mente quando ha codificato la sua idea. L'attività di codifica è resa non banale dal fatto che il codice non è sempre condiviso, e dunque la decodifica non è sempre corretta. Quando un medico descrive una patologia al paziente utilizzando il suo gergo tecnico, non si rende conto che il messaggio non è correttamente decodificabile da parte del ricevente, poiché solo l'emittente conosce il codice utilizzato. 6. FEEDBACK, o retrocomunicazione E' la retrocomunicazione che il ricevente invia all' emittente mentre la comunicazione sta avvenendo. E' una informazione di ritorno che permette all'emittente, mentre sta comunicando, di percepire se il messaggio è stato ricevuto, capito, approvato, ecc. e dunque di reagire, cercando la via più efficace per raggiungere il risultato che si è prefisso. Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso di feed-back per "aggiustare la mira" rispetto a quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincere qualcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo periodicamente l'interlocutore per cercare segnali che ci assicurino che stia ascoltando, che stia seguendo il ragionamento, che abbia capito. Se riceviamo segnali di senso 4 contrario, ripetiamo alcune cose, o scegliamo un altro esempio, o alziamo il tono di voce, fino a quando non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo (o decidiamo di rinunciare).

7. CONTESTO

E' il "luogo" (fisico o relazionale) in cui avviene lo scambio comunicativo, ovvero la "situazione" in cui l'atto comunicativo si inserisce (e a cui si riferisce). Il contesto è parte integrante del messaggio , e può cambiare il significato del messaggio stesso: la frase "bene, molto bene" pronunciata da un insegnante significa cose molto diverse se detta al termine di una interrogazione in cui lo studente ha dato buona prova di sé, oppure appena dopo che l'insegnante ha scoperto lo stesso studente copiare durante un compito in classe. Quando inviamo messaggi come la frase "questo mi sembra ok", è il contesto che permette di comprendere che la parola "questo" si riferisce a un determinato oggetto e non a un altro.

Bateson (1978) osserva che "senza contesto, le parole e le azioni non hanno nessun significato". In ogni situazione comunicativa reale sono coinvolti molti contesti contemporaneamente, che spesso si sovrappongono. Questo può creare imbarazzo: è ciò che accade se partecipate a una festa in cui sono presenti sia i vostri amici (che richiederebbero da voi un certo linguaggio, un certo tipo di contenuti e un certo comportamento) sia i vostri genitori (che ne richiedono ben altri)

8. MESSAGGIO

E' il contenuto di ciò che si comunica. E' strettamente legato al concetto di informazione, e può essere un dato, una notizia o più semplicemente una sensazione, veicolata attraverso segni significativi (frasi, singole parole o suoni, gesti, espressioni, immagini, ecc.) E' la parte "attiva" dell'atto comunicativo, quella che genera l'effetto di inviare all'ambiente esterno pensieri o informazioni prima contenute solo all'interno della mente dell'individuo che le emette. Il concetto di "messaggio", apparentemente scontato, è in realtà difficile da afferrare. Se definiamo il termine messaggio dal punto di vista dell' emittente , esso è il mezzo attraverso cui viene veicolata o resa disponibile una informazione, e dunque ricercata un'influenza sociale, un effetto sul ricevente. Se lo definiamo dal punto di vista del ricevente, il messaggio è invece l'interpretazione che il ricevente fa dello stimolo proveniente dall'emittente. Il significato emerge solo dalla lettura contestuale del messaggio e di tutti gli altri elementi della comunicazione. 5

MODELLO LINEARE E CIRCOLARE DELLA COMUNICAZIONE

Comunicazione verbale e non verbale F 0 D 8 Comunicazione verbale : utilizza la parola parlata o scritta F 0 D 8 Comunicazione non verbale : è il tipo di comunicazione che avviene mediante il corpo, attraverso i gesti, la postura del corpo, gli atteggiamenti, l’espressione del volto, la tonalità della voce, la distanza tra le persone, ecc. Il linguaggio non verbale spessissimo viene utilizzato come "codice di controllo" della comunicazione verbale. La comunicazione non verbale è meno controllata quindi tradisce gli effettivi sentimenti, gli stati d'animo, le opinioni degli individui che comunicano ASSIOMI COMUNICAZIONE La scuola di Palo Alto Il nostro principale riferimento teorico è rappresentato dalla Scuola di Palo Alto, o meglio dal suo gruppo di ricerca che, nelle persone di Gregory Bateson , Paul Watzlawick , Janet Helmick Beavin , Don D. Jackson ed altri, negli anni sessanta definì la funzione pragmatica della comunicazione, vale a dire la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l’esperienza comunicativa, intesa sia nella sua forma verbale che in quella non-verbale. L’interazione umana può essere definita come sequenze di mosse rigidamente governate da regole, delle quali i comunicanti possono essere consapevoli o meno. LINEARE: Comunicazione come trasmissione, passaggio di informazioni: CIRCOLARE: Comunicazione come relazione, mettere in comune, comprensione: 6 I CINQUE ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE UMANA Primo Assioma E’ IMPOSSIBILE NON COMUNICARE Il primo assioma sancisce l'impossibilità di non comunicare: qualsiasi comportamento, ogni parola, ogni sguardo, ogni mancata risposta, ogni nostro atteggiamento comunica e molto spesso comunica più di quanto noi stessi immaginiamo. Di conseguenza, quale che sia l'atteggiamento assunto da un qualsivoglia individuo (poiché non esiste un non-comportamento), questo diventa immediatamente portatore di significato per gli altri: ha dunque valore di messaggio. Anche i silenzi, l’indifferenza, la passività e l’inattività sono forme di comunicazione al pari delle altre, poiché portano con sé un significato al quale gli altri individui non possono non rispondere. Ad esempio, non è difficile che due estranei che si trovino per caso dentro lo stesso ascensore si ignorino totalmente e, apparentemente, non comunichino; in realtà tale indifferenza reciproca costituisce uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui lo è un’animata discussione.

Secondo Assioma OGNI COMUNICAZIONE HA UN ASPETTO DI CONTENUTO E UNO DI RELAZIONE, ED IL SECONDO CLASSIFICA IL PRIMO Ogni comunicazione, oltre a trasmettere un messaggio, implica un impegno tra i comunicanti e definisce la natura della loro relazione. Il modo in cui una cosa viene comunicata definisce relazioni molto diverse. Ad esempio la frase “Sono le dieci del mattino” potrebbe apparire con un significato univoco, ma il modo ed il contesto in cui viene pronunciata chiariscono il messaggio sotteso ed il tipo di relazione esistente tra i comunicanti. Infatti, può essere una semplice risposta data da uno sconosciuto ad un passante che ha chiesto che ore sono; può essere l’esclamazione in tono di rimprovero del capo ufficio che nota il ritardo del suo impiegato; può essere il contenuto di una telefonata di un amico a cui avevamo dato l’incarico di svegliarci; può essere la voce di una persona cara che ci porta la colazione a letto; e tante altre cose. In altre parole, la validità e l’efficacia di una comunicazione è decisa non solo da ciò che diciamo, ma anche e soprattutto dalla relazione all’interno

della quale avviene la trasmissione del contenuto. Contenuti molto validi spesso rimangono inefficaci perché non c’è chiarezza sulla relazione: motivi futili e contenuti più o meno banali, infatti, possono innescare spirali di conflittualità quando alla base c’è una lotta (anche inconsapevole) tra i partners in interazione per la definizione della relazione (ad es. quando il vero problema è chi comanda, chi deve avere l’ultima parola, chi è più bravo, etc.)

Terzo assioma LA NATURA DI UNA RELAZIONE DIPENDE DALLA PUNTEGGIATURA DELLE SEQUENZE DI COMUNICAZIONE TRA I COMUNICANTI La natura di una relazione dipende anche dalla punteggiatura (punto di vista da cui io faccio dipendere la mia comunicazione nei tuoi confronti) delle sequenze di scambi comunicativi tra i comunicanti. Questa tende a differenziare la relazione tra gli individui coinvolti nell’interazione e a definire i loro rispettivi ruoli: essi punteggeranno gli scambi in maniera che questi risultino organizzati entro modelli di interazione più o meno convenzionali. Infatti, poiché la comunicazione è un continuo alternarsi di flussi comunicativi da una direzione all'altra e le variazioni di direzione del flusso comunicativo sono scandite dalla punteggiatura, il modo di leggerla sarà determinato dal tipo di relazione che lega i comunicanti. Per quanto riguarda le manifestazioni patologiche collegate alla distorsione di questo concetto, i problemi insorgono quando si presentano delle discrepanze relative alla punteggiatura (in sostanza delle visioni diverse della realtà), determinate dal fatto che i comunicanti non possiedono lo stesso grado d'informazione senza tuttavia saperlo o che, dalla stessa informazione, traggano conclusioni diverse; in questi casi si creano una sorta di malintesi che inevitabilmente portano a circoli viziosi che incidono pesantemente sulla natura della relazione. Indicare il punto di inizio di una comunicazione è abbastanza soggettivo. Un’evidenza di questo tipo si ha nei litigi, quando i contendenti affermano: “Hai cominciato tu!”, e l’altro risponde: “No, ti sbagli sei stato tu a cominciare!” e così via. In una relazione negativa, i partecipanti si percepiscono ambedue come “costretti” dal comportamento dell’altro a determinati comportamenti, per cui ognuno dei due quando si presenta come colui che risponde ad un attacco, ma non come colui che ha

Dimostra un'attenzione prevalente a se

stessi

Subisce le decisioni altrui lasciandosi

condizionare

Dimostra un'attenzione sia a se stessi sia agli

altri

Tendenza a comandare sugli altri

Evita il conflitto, non manifesta il dissenso Rispetta i diritti altrui e propri, ammette i

propri errori, si assume le proprie

responsabilità

Tendenza a condizionare gli altri Tende ad imitare gli altri

Esprime desideri, dissenso, sentimenti, etc

Tende a generalizzare e a giudicare

Non affronta i problemi, ne rimanda la

soluzione

Tendenza a cooperare ed ad essere

propositivi

E’ attuato da chi è a disagio, ha dei

preconcetti sull'interlocutore, vuole

prevenire attacchi da parte degli altri, vuole

evitare la fatica di comprendere l'altro

E’ attuato da chi ha paura delle

conseguenze di un comportamento diverso,

non riconosce i propri diritti, ha paura di

apparire aggressivo

E’ attuato da chi possiede stima di sé, che lo

porta ad ascoltare, ad affermare le proprie

convinzioni, ad affrontare le critiche

Può sottintendere questi obiettivi: tendere

ad acquisire potere sociale, apparire forte,

far paura, mettere soggezione, manipolare

Può sottintendere questi obiettivi: tendere

ad essere accettati da una persona o gruppo,

evitare di attirare l'aggressività altrui o il

conflitto

Può sottintendere questi obiettivi:

manifestare stima dell'altro senza sminuire

l'autostima, ottenere un successo di sé

assieme agli altri

Si manifesta attraverso molti

comportamenti, tra cui: comandare,

imporre la leadership in un gruppo, non

mettere in discussione il proprio modo di

vedere, sminuire i meriti altrui, criticare,

manipolare,non lasciare esprimere l'altro

essere violenti

Si manifesta con molti comportamenti,

tra cui: lasciare che gli altri decidano; non

assumersi dei rischi; stare in disparte; dare

ragione al più forte; cercare l'approvazione

altrui

Si manifesta con molti comportamenti, tra

cui: ascoltare attivamente, chiedere,

approfondire la conoscenza dei bisogni

altrui, ma anche dei propri, assumersi le

proprie responsabilità, prendere decisioni,

esprimersi liberamente (opinioni, emozioni,

fare apprezzamenti, critiche, ecc.), saper

rifiutare e proporre, ammettere i propri

sbagli, accettare critiche

EMPATIA

L’empatia nasce con Carl Rogers negli anni ‘ L’empatia è la capacità di mettersi nei panni dell’altro, pensare e sentire “come se” si fosse l’altro, mantenendo nel contempo il contatto con se stesso e con le proprie emozioni. Tale capacità prende le mosse dalla consapevolezza che ogni individuo ha la sua storia e percepisce la realtà in maniera soggettiva, in base ai propri modelli interni di riferimento. L’ascolto empatico rappresenta una struttura psicologica di accoglienza, nel senso che l’empatia comporta il “sentire” e “l’essere consapevole” delle proprie emozioni, ma anche il “sentire” e “l’essere consapevole” delle emozioni dell’altro

Empatia capire i bisogni dell’altro es. un bambino al supermercato che piange in un centro commerciale significa che probabilmente si è perso. L’empatia è una delle condizioni necessarie e sufficienti per facilitare la comunicazione. Le altre due sono la congruenza del facilitatore e l’accettazione incondizionata dell’altro. La congruenza è lo stato di accordo interno; il facilitatore sa cosa prova ed è in contatto con i propri sentimenti. E’ consapevole di sé. L’accettazione incondizionata dell’altro: presuppone una visione alterocentrica (non egocentrico) della vita, secondo la quale si dà per scontato che ogni persona è diversa dall’altra. L’empatia si attua con: Ascolto passivo e ascolto attivo L’ ASCOLTO: è l’unità di base del dialogo è la struttura portante della comunicazione. Interagire con l’altra persona siamo sintonizzati su 2 emittenti (l’altro = quello che ci dice e noi che parliamo). Non si trasmette un messaggio se non c’è qualcuno disposto ad ascoltarlo.

  • Non poche difficoltà nelle relazioni interpersonali hanno origine o stentano a trovare una soluzione costruttiva perché i partners in interazione non riescono ad ascoltarsi.
  • L’ascolto è un’ attività complessa: quando noi ascoltiamo una persona siamo simultaneamente sintonizzati su due emittenti; l’ altro e noi stessi.
  • Spesso le difficoltà al dialogo non nascono dalla mancanza di disponibilità o di buona volontà ma principalmente dalla mancanza di una “ educazione all’ascolto ”.

Perché un ascolto sia valido deve innanzitutto recepire con correttezza il messaggio dell’ altro: ascolto corretto. Alcuni modi per favorire questa caratteristica sono: F 0 B 7F 0 2 0 Non interrompere l’altro mentre ci parla E’ ricorrente la situazione di chi ascolta pensando alla risposta e profitta di una pausa di colui che parla per presentare e sostenere il punto di vista. Quando interrompiamo l’ altro – magari pensando di avere capito a volo quello che vuol dirci – ci esponiamo al rischio di fraintendere il pensiero dell’altro, che in realtà non sempre è prevedibile ed inoltre comunichiamo indirettamente all’ altro che sta dicendo delle cose scontate. 12 F 0 B 7F 0 2 0 Far precedere ogni risposta dal riepilogo del messaggio dell’altro perché dà dignità e rispetto a ciò che si è detto L’ASCOLTO PASSIVO F 0 A 8F 0 2 0è caratterizzato dall’attenzione e dal silenzio. Vi è un’abilità di mostrare attenzione che significa dare valore all’altro e il silenzio che serve a centrarsi sull’altro, per poi centrarsi su di sé, per entrare in contatto con quei pensieri e sentimenti che l’altro, parlando, ha suscitato nell’ascoltatore. F 0 A 8F 0 2 0dà valore all’altro, a ciò che egli dice e non dice (l’attenzione mostrata dà all’altro il senso di sentirsi ascoltato e valorizzato, creando , così, un’atteggiamento interno di apertura alla comunicazione) F 0 A 8F 0 2 0si avvale della comunicazione non verbale ( postura, distanza personale, contatto oculare, cenni del capo, espressione del viso) e dalla comunicazione verbale (esprimere con parole e suoni riconoscimento e accettazione)

L’ASCOLTO ATTIVO

Utilizza la comunicazione verbale e anche di quella non verbale. Si avvale delle seguenti tecniche: la riflessione del contenuto di ciò che dice il parlante, la riflessione del sentimento sottostante al messaggio (ossia l’abilità di tirar fuori il sentimento sottostante al contenuto e rimandarlo al parlante) e il confronto attraverso il messaggio in prima persona. La riflessione del contenuto o la parafrasi consiste nell’abilità di parafrasare ciò che dice il parlante, usando parole diverse e frasi sintetiche. Prendiamo ad esempio la seguente frase: “il nuovo coordinatore non lo capisco proprio, così rigido, con le sue regole immodificabili…” Parafrasi “stai dicendo che non riesci a cogliere il senso del suo comportamento?” La parafrasi e la riflessione del sentimento creano un clima di fiducia. In questo clima di fiducia è possibile poi confrontarsi con l’altro, esprimere il proprio punto di vista, attraverso l’uso del messaggio in prima persona. Ciò facilita la convergenza tra i partners della relazione, portandoli verso la soluzione del problema. I casi in cui conviene ricorrere all’ascolto attivo sono i seguenti: F 0 B 7F 0 2 0Quando ricevete segnali verbali e – o non verbali che indicano che la persona ha un problema F 0 B 7F 0 2 0Volete veramente aiutare la persona F 0 B 7F 0 2 0La persona non vi irrita F 0 B 7F 0 2 0Siete in grado di dare attenzione alla persona Non conviene invece ricorrere all’ascolto attivo quando: F 0 B 7F 0 2 0Non ci sono problemi da risolvere, perché magari la persona vuole da voi soltanto informazioni F 0 B 7F 0 2 0Non volete essere di aiuto in quella circostanza F 0 B 7F 0 2 0La persona vi irrita F 0 B 7F 0 2 0Siete presi da altri problemi e non vi va di dare attenzione all’altro 13 F 0 B 7F 0 2 0La persona esprime le proprie idee in modo così chiaro che non c’è bisogno di ulteriori chiarimenti

IL PROBLEM SOLVING NELLA COMUNICAZIONE

Problem solving è il termine inglese che indica l'insieme dei processi per analizzare, affrontare e risolvere positivamente situazioni problematiche; è un'attività del pensiero che un organismo o un dispositivo di intelligenza artificiale mette in atto per raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data. Fa parte di un più ampio processo costituito anche dal problem finding. F 0 B 7F 0 2 0il problem finding , da intendersi come capacità di riconoscere una situazione come problemica; F 0 B 7F 0 2 0il problem posing , da intendersi come capacità di impostare e dare corretta configurazione cognitiva al problema riconosciuto; F 0 B 7F 0 2 0il problem talking, da intendersi come capacità di descrivere, spiegare e comunicare il problema Risolvi ed analizza Questa metodologia viene utilizzata in ambito informatico per circoscrivere i problemi e costruire delle metodologie specifiche per gli utenti che si basano sull'esperienza comune e sulla condivisione delle conoscenze. I principi fondamentali sono 3: F 0 B 7F 0 2 0Cercare la responsabilità di una situazione problematica rallenta la soluzione dello stesso senza portare benefici evidenti F 0 B 7F 0 2 0Se si trova una soluzione bisogna rendere disponibile una descrizione dettagliata del problema e del metodo per risolverlo F 0 B 7F 0 2 0Se non si trova una soluzione è comunque importante dettagliare bene il problema e descrivere accuratamente i passi da seguire affinché il problema si ripresenti Le operazioni da seguire sono le seguenti:

importante che la scuola dell'infanzia offra ai suoi alunni scambi comunicativi adeguati all'età dei soggetti, accrescendo in loro curiosità conoscitiva e relazionale. Ruolo fondamentale nello scambio comunicativo è quello dell'insegnante, il quale deve trasmettere ai bambini non solo informazioni 16 didattiche ma norme riapplicabili nella società, ad esempio dovrebbe saper insegnare loro a comunicare efficacemente per risolvere in maniera corretta le problematiche o disaggi, senza ricorrere a violenze verbali o fisiche. Quali sono le strategie per implementare un buon intervento comunicativo? Il primo passo, per approdare ad un buon intervento comunicativo è sicuramente quello di utilizzare nei confronti del piccolo un " ascolto attivo ", che consiste nel riflettere sul messaggio del fanciullo recependolo solamente, senza emettere messaggi personali. L'ascolto è fondamentale per divenire individui capaci di apprendere informazioni ed emettere messaggi appropriati alle situazioni. Non vi devono essere accavallamenti di voce o espressioni di dissenso, si ascolta per comprendere in tal modo il bambino si sentirà accolto e libero di esprimersi. Ovviamente, alla fine si rende necessario un feedback da parte dell'adulto, su ciò che ha compreso e ascoltato. Questo tipo di comunicazione non crea ruoli up o down, si rende necessario quindi insegnare l'ascolto, tacendo ed ascoltando. Il silenzio viene inteso come spazio importante per sostenere l'altro e non come semplice pausa del linguaggio. L'ascolto attivo permette quindi la crescita e un buon sviluppo dell'autostima, favorendo anche una maggiore autonomia, è uno strumento che favorisce l'instaurarsi di un colloquio di comprensione e di chiarezza implementando un agire efficace. Spinge così l'interlocutore a parlare e a esprimere le proprie idee, i propri bisogni e necessità senza difficoltà, gettando così le basi per la costruzione di un rapporto solido e duraturo. Gli allievi sono spronati a chiarirsi sia cognitivamente che emotivamente su ciò che dicono, riuscendo a gestire situazioni di differente natura. Si può quindi continuare affermando che, l'ascolto attivo non si ferma alla ricezione e alla decodifica del messaggio, ma consta di un altro passaggio fondamentale quello che vede l'incoraggiamento e il supporto dell'adulto. Affinché si verifichi un buon ascolto attivo è necessario anche tener presente alcune componenti che rientrano nella comunicazione non verbale come: La Postura; può riferire informazioni importanti riguardo l'interlocutore, ad esempio chiusura, timidezza, paura. È importante che le due persone che parlano non si trovino tropo vicine l'una dall'altra per non creare disagio. Per ciò che concerne ad esempio le collocazioni delle sedie è consigliato che non ricreino posizioni formali (es, interrogazione) ma situazioni rilassanti per consentire uno scambio adeguato. Il contatto oculare; guardarsi durante una conversazione è una cosa piuttosto frequente bisogna però evitare di creare disagio o imbarazzo fissando costantemente l'interlocutore. È importante osservare comportamenti e atteggiamenti pur sempre rispettando lo spazio vitale dell'altro, evitando l'invadenza soprattutto con i bambini. Mimica ed espressioni facciali; il volto degli individui trasmette a prescindere dalla loro volontà, pensieri,sentimenti,emozioni celati consciamente. Tenere in conto dell'espressione e degli atteggiamenti dell'alunno che parla porta l'insegnante ad una comprensione globale e puntuale. Un'ulteriore strategia, prevede l'utilizzo da parte del docente del "messaggio- io": in questo caso la comunicazione adulto-bambino è basata sull'assenza della valutazione o giudizio, ma pone il bambino di fronte agli effetti e ai sentimenti che il suo atto procura negli altri. Utilizzando il messaggio- io l'insegnante potrà riuscire a gestire una situazione faticosa. Si dovrebbe per tanto 17 sostituire al messaggio-tu, che vede posto al centro dell'attenzione l'allievo, es "sei sempre tu" espressione di giudizio, il messaggio-io dove al centro vi è posto l'insegnante con i suoi bisogni e le sue emozioni: es" Quando ti comporti così mi fai arrabbiare e perdo la calma", effetti del suo gesto. Quindi il fulcro dell'attenzione non è più il bambino difficile, con il suo comportamento problematico, ma l'insegnante con il suo mondo interiore. Utilizzando il messaggio-io l'insegnante non ammonisce, al contrario si mette in gioco in prima persona, insegnando un nuovo modo di relazionarsi con l'altro. Thomas Gordon, sostenitore della comunicazione efficace e dell'importanza dell'ascolto attivo, ritiene vi siano delle barriere alla comunicazione.

ATTEGGIAMENTI MENTALI E COMPORTAMENTI NELLA COMUNICAZIONE

La comunicazione con noi stessi costituisce senza dubbio una premessa indispensabile per poter comunicare meglio con gli altri. Infatti, molti dei nostri conflitti interni vengono spesso involontariamente proiettati sugli altri, provocando incomprensioni, disagi ed inevitabili blocchi della comunicazione. Illustriamo cinque diversi atteggiamenti da evitare quando parliamo con noi stessi. Riconoscerli significa compiere il primo passo verso il miglioramento del dialogo che abbiamo con noi stessi. Vediamoli qui in dettaglio: Focalizzarsi sul problema : questa è l’essenza del lamento. Ci identifichiamo con il problema, non con la soluzione. E’ invece opportuno presupporre che molti problemi abbiano una soluzione e chiedersi: ”Come voglio che questa situazione cambi?” Catastrofizzare : ogni situazione negativa che ci si presenta è un orribile disastro. Invece bisogna essere più realistici nelle valutazioni e non allarmarsi inutilmente. E’ vero che accadono ogni giorno imprevisti, eventi sfortunati, errori, ma non necessariamente si tratta di traumi, tragedie o disastri. Aspettarsi il peggio:E se non le piaccio? E se non supero quell’esame?”. Aspettarsi il peggio non ci aiuta affatto a comportarci in modo efficace, ma stimola solo l’ansia. Invece, formulate delle domande che presuppongano un risultato positivo, ad esempio “Come posso fare una buona impressione? Come posso preparami al meglio per l’esame?” Pensare per stereotipi : incasellando gli altri (e noi stessi) in categorie preconcette, evitiamo di pensare alla gente in termini di individui distinti. Ciò porta a relazioni innaturali, e ci conferisce un immeritato senso di superiorità o inferiorità, privandoci inoltre della possibilità di conoscere e comprendere i lati migliori di coloro che sono oggetto dei nostri pregiudizi. Invece è necessario ricordarsi che siamo tutti esseri umani, con personalità uniche, ciascuno con i suoi pregi e difetti. Pensare in termini di doveri : “ dovrei”, “sarebbe necessario che”..., “devo”, “è opportuno che...” sono tutte espressioni che, usate eccessivamente ed in modo sconsiderato, presuppongono delle regole e degli standard di comportamento che non esistono nella realtà. Implicano generalmente delle conseguenze negative se non ci si adegua. Questo è del tutto plausibile nel caso in cui si “debba” rispettare i limiti di velocità sulle strade o pagare altrimenti una multa. Il problema sorge però quando questo tipo di ragionamento si applica anche ad altre situazioni di vita che non lo richiederebbero affatto, come quando diciamo a noi stessi “dovrei essere più intelligente” o “a quest’età dovrei già essere sposata”. In questi casi è necessario sostituire la parola “dovrei” con la parola “potrei”, dando così a noi stessi una possibilità di scelta. 18

I segreti della comunicazione positiva La critica costruttiva La critica costruttiva è un abilità complessa e delicata che comprende assertività, empatia, comunicazione, ascolto, gestione delle emozioni, motivazione. E’ un abilità di comunicazione, necessaria sia in campo relazionale che lavorativo, espressione della nostra capacità di esprimere i propri pensieri ed idee, di identificare ed esprimere le proprie sensazioni, di definire e rispettare i limiti nostri ed altrui, di comunicare ed ascoltare in modo aperto, diretto ed onesto. Saper criticare costruttivamente è una espressione di intelligenza emozionale , concetto espresso per la prima volta da Daniel Goleman come un "modo particolarmente efficace di trattare se stessi e gli altri", la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d'animo "evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare." Il ruolo di manager, insegnanti, genitori implica dover valutare ed/o intervenire sugli errori commessi da altri ed anche saper evidenziare ed esprimere i meriti o gli aspetti positivi. Molti di noi non sanno come farlo, si sentono

a disagio e evitano il confronto, fino a quando la situazione degenera ed esplode. All’opposto ci sono persone che comunicano essenzialmente attraverso una critica costante e comprensiva di tutti e tutto. Poche persone sanno criticare senza essere aggressivi o offensivi, pochi sanno ascoltare un commento su loro stessi senza sentirsi feriti ed colpiti nella propria autostima. La critica costruttiva, adeguatamente utilizzata, serve per migliorare le prestazioni, relazioni e, in generale, il senso della nostra efficacia. La critica costruttiva è: F 0 B 7F 0 2 0Specifica e non generica F 0 B 7F 0 2 0E' specifica, osserva un dato di fatto F 0 B 7F 0 2 0Non è generica, non è un'accusa o un giudizio emotivo F 0 B 7F 0 2 0Mira a correggere, a migliorare, non a mortificare F 0 B 7F 0 2 0Tende a risolvere problemi F 0 B 7F 0 2 0Si rivolge al comportamento di una persona, non alla persona stessa

Le critiche che rivolgiamo agli altri sono costruttive solo se si riferiscono a specifici comportamenti che ci aspettiamo che gli altri modifichino e/o mettano in pratica. In sostanza, attraverso questo genere di critiche spieghiamo agli altri come esattamente possono modificare il loro atteggiamento per renderlo più in sintonia con i nostri desideri o esigenze. Lo scopo di una critica costruttiva NON è: -ferire l’altro; -indebolirlo; -attribuirgli etichette negative; -colpevolizzarlo; -difendersi nel caso ci si senta vulnerabili; -vendicarsi; -dare sfogo alle proprie frustrazioni, ecc… Non bisogna quindi assolutamente utilizzare le critiche come un’arma in situazioni di forte emotività, ma come un’occasione di crescita e miglioramento della nostra relazione con gli altri. Alcuni atteggiamenti sono da evitare assolutamente nel formulare delle critiche essi sono:

1. Criticare l’altro in pubblico. La presenza di altre persone può indurre negli altri ansia, imbarazzo, vergogna o anche rabbia e renderli pertanto meno ricettivi verso gli aspetti positivi delle nostre critiche. 19 2. Fare una critica in risposta ad un’altra critica o durante un litigio. Questo non fa che “surriscaldare” inutilmente la conversazione, creando una spirale di attacchi e difese, che non aiutano assolutamente l’altro a migliorare.

  1. Fare una critica in un momento poco adatto , ad esempio quando gli altri non sono nello stato d’animo di recepirle. 4. Fare più critiche contemporaneamente. Meglio concentrasi su di un unico argomento per volta. Diversamente, gli altri potrebbero sentirsi “aggrediti” e disposti a contrattaccare.
  2. Formulare critiche che contengano generalizzazioni eccessive ( “mai”, “sempre”, “niente”, “tutto” ), come ad esempio “Non mi accontenti mai” “Con il tuo atteggiamento rovini sempre tutto” ecc… Queste critiche sono vaghe e comunicano solo il risentimento della persona che le formula. E’ preferibile indicare pacatamente lo specifico comportamento da migliorare.
  3. Criticare la persona e non il comportamento. Etichette negative del tipo “sei il solito egoista” “sei un buono a nulla” “sei falso” servono solo ad indebolire l’autostima degli altri e non a favorire un cambiamento. In quanto rivolte alla persona nella sua globalità sono offensive, poichè chi le riceve si sente probabilmente ferito o offeso; sono inoltre generiche, in quanto non è specificato il comportamento/atteggiamento da correggere.
  4. Dimostrare incomprensione verso le difficoltà che hanno gli altri nel recepire la nostra critica. In particolare è necessario rendere quanto più specifica la critica; tollerare un iniziale atteggiamento difensivo da parte del nostro interlocutore; per il resto, non aspettarsi che l’altro ammetta esplicitamente i propri sbagli e cambi completamente in tempi troppo rapidi.
  5. Criticare aspetti che gli altri non possano controllare. Il fatto ad esempio che un nostro amico sia troppo alto/basso, abbia una famiglia che non ci piace, sia troppo estroverso/introverso, troppo emotivo o troppo riservato ecc… non è certo sotto il suo controllo, e quindi è perfettamente inutile criticarlo per questo. Ugualmente non ha senso criticare il nostro amico per qualcosa che ha compiuto in passato, e che per questo non si può più correggere. Formulare critiche su aspetti/ avvenimenti che non si possono cambiare contribuisce solo a mortificare l’altro.
  6. Formulare la nostra critica usando il tono sbagliato. Esprimere sentimenti di rabbia, ostilità, disprezzo o disapprovazione attraverso il tono ed il volume della voce, le espressioni facciali, il movimento e la postura non depone certo a favore dell’efficacia della nostra critica. Per facilitare la ricezione del nostro messaggio è opportuno usare un volume di voce non elevato, un tono che dimostri cortesia, apertura e disponibilità al dialogo, un’espressione facciale serena ed una postura rilassata. Se questo non fosse possibile, sarebbe meglio rinviare la critica a quando si saranno “calmate le acque”. Il silenzio Il silenzio è fortemente comunicativo è opportuno distinguere diverse “funzioni o qualità del silenzio”vi è il silenzio dell’interlocutore che permette all’altro di parlare. L’approfondimento di questo silenzio è la premessa dell’ascolto e della “comprensione”. Lasciar parlare l’altro, tacere per lasciare spazio alla sua parola, è una premessa indispensabile per fare spazio dentro di sé ed aprirsi alla comprensione dell’altro, per partecipare al discorso. Vi è il silenzio come intolleranza , come chiusura, come volontà di non ascoltare ciò che l’altro dice, un sistema di spossessare l’altro del suo ruolo. C’è il silenzio come protesta , come rifiuto di un ruolo umano e comunicativo che non si ritiene accettabile. C’è poi il silenzio interno alla parola : la pausa che permette una buona articolazione del linguaggio per renderlo più comprensibile e più gradevole. 20 C’è anche il silenzio pre-espressivo , quel momento di vuoto e di esitazione da cui parte un discorso, si formula un pensiero compiuto nell’improvvisazione. Tutti questi silenzi si dicono “imperfetti” perché si definiscono rispetto al linguaggio ad una categoria diversa appartiene il silenzio mistico che è comprensione attraverso la meditazione. L’opposto del silenzio non è il linguaggio, ma il rumore , il disturbo del canale informativo che rende impossibile sia il linguaggio sia il silenzio.

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