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Una panoramica storica delle relazioni internazionali, partendo dalla Pace di Westfalia del 1648 e descrivendo come la politica internazionale moderna ha acquisito una ampia globalità. Vengono trattate le differenze e le somiglianze con le politiche internazionali precedenti, oltre alla nascita delle relazioni internazionali moderne e la loro evoluzione nel corso del Novecento. Il testo illustra le grandi tradizioni teoriche delle relazioni internazionali, come l'idealismo, il realismo, le teorie radicali e il marxismo.
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La nostra società è nata approssimativamente tra il XVI e il XVII secolo, dopo un lungo processo genetico per tutto il medioevo. Le caratteristiche della nostra società sono peculiari, e la differenziano da altre politiche internazionali che troviamo in epoche storiche precedenti. E questo significa che probabilmente nel futuro ne avremo di nuove. In realtà nelle epoche precedenti le relazioni internazionali erano abbastanza diverse da quelle a cui siamo abituati. In altre epoche storiche sono esistite comunità politiche indipendenti, tanto coesi al loro interno da poter distinguere la sfera interna e la sfera esterna, e quindi sviluppare una politica interna e una estera. Anche in queste stagioni, abbiamo avuto, in senso lato, delle relazioni internazionali. Queste politiche internazionali presentano somiglianze con la nostra politica internazionale, ma per molti aspetti, soprattutto quelli fondamentali, erano molto diverse. (es. diverso il modo di condurre la diplomazia, di condurre la guerra, le istituzioni). Ecco perché noi ci occupiamo della politica internazionale moderna , che per convenzione possiamo datare al 1648, la Pace di Wstfalia. Trattato firmato in Germania nell’omonima città che mise fine alla guerra dei trent’anni, ragion per cui gli studiosi parlano di modello westfaliano di politica internazionale riferendosi alla politica internazionale moderna. La politica internazionale moderna si distingue per due caratteristiche fondamentali:
Statualità La politica westfaliana è il prodotto della graduale statalizzazione della politica. È un processo caratterizzato dall’assoluto protagonismo dello stato. La sovranità esterna è il primo elemento importante della statualità. Significa che lo stato moderno non riconosce autorità politiche la di sopra di sé. Lo stato è un centro di decisione originaria. Il singolo stato, ovviamente, può avere sopra di sé stati che possano costringerlo a fare determinate azioni. Ma questo rimane una cosa de facto , non de jure. Nell’Europa medievale esistevano regni grandi e potenti che occupavano lo spazio europeo che riconoscevano in punto di diritto alcune autorità superiori, come l’imperatore o il Papa. Tutte le comunità politiche erano più o meno indipendenti, ma sottostavano a questa struttura gerarchica dicefala che oggi è scomparsa. La sovranità interna è il secondo elemento distintivo dello stato moderno. Lo stato detiene il monopolio dell’uso della violenza legittima all’interno dei suoi confini. Ciò significa che lo stato ha smilitarizzato tutti quei soggetti che, in ragione di accordi, avevano diritto ad utilizzare la violenza legittima (es. il diritto di faida). La pretesa di lealtà esclusiva è il terzo elemento distintivo dello stato moderno. Lo stato può esigere dalla popolazione persino il sacrificio estremo della vita. La territorialità è il quarto elemento distintivo dello stato moderno. Lo stato è un’entità politica a base territoriale.
Relazioni Internazionali Le relazioni internazionali di oggi derivano da una serie di correnti e tradizioni di pensiero e dallo scontro fra queste correnti. Le relazioni internazionali hanno una storia molto lunga, ma la disciplina delle Relazioni Internazionali nasce nel ‘900 come disciplina accademica. Questo fatto è molto importante perché la disciplina risente profondamente della storia del ‘900. È proprio rispetto al ‘900 che i teorici hanno formulato le loro idee sulle relazioni internazionali. La disciplina nasce dai grandi traumi del ‘900, che hanno sollevato interrogativi di grande importanza e hanno incoraggiato l’adozione di certe chiavi di lettura della politica internazionale. Abbiamo almeno 5 grandi tradizioni teoriche delle relazioni internazionali:
Quali sono, secondo gli idealisti, le 3 cause fondamentali della malattia della guerra?
tempo bisognerebbe istituire un organismo di sicurezza collettiva da utilizzare contro lo stato che trasgredisce le regole. L’idealismo è una corrente progressivo-illuminista e fortemente liberale, perché si fonda sul buon governo, le buone istituzioni. Vi è poi una visione progressista della storia, percepita come una continua evoluzione dei popoli. Ancora oggi l’idealismo permea fortemente la visione moderna delle relazioni internazionali. Oggi si dà una grande importanza al tipo di regime politico e si vede la democrazia come la principale responsabile della pace. L’idealismo è conosciuto come scuola kantiana delle relazioni internazionali proprio perché vede la democrazia come elemento fondamentale per spiegare l’ordine internazionale. Si continua a credere, inoltre, che l’apertura economica tende a favorire la convergenza politica e la risoluzione dei conflitti attraverso la diplomazia. Se pensiamo al Mercato Unico Europeo, è nato non tanto per necessità economiche, ma per evitare una nuova guerra dopo la WWII. Ulteriore elemento dell’eredità idealista che merita di essere menzionato, è la necessità del rafforzamento del diritto internazionale. l’idealismo è espressione della GB e degli USA, paesi che per via della loro storia sono tendenzialmente ottimisti verso l’economia. Il Realismo Nasce come una sorta di contrappunto alle tesi dell’idealismo. Nella storia riconoscono l’esistenza di lunghi periodi di stabilità, ma poi avviene sempre una ricaduta che porta al conflitto. Innanzitutto, i realisti denunciano il fallimento della Società delle Nazioni (anni ’30 il giappone invade manciuria), lo scoppio della WWII e poi della GF. Altro che guerra come malattia che possiamo curare. I realisti rifiutano la guerra come anacronismo e cominciano a vederla come un dato ineliminabile della realtà politica internazionale.
Per i realisti, quindi, il problema non è superare definitivamente la guerra, ma provare a limitare le guerre ed evitare le guerre evitabili. Anche il realismo affonda le sue radici in una tradizione culturale- filosofica preesistente. Contiene elementi liberali e del realismo politico, nel quale possiamo inquadrare i grandi realisti dell’antichità. Il realismo viene definito visione Hobbesiana della politica internazionale , perché affonda le sue radici nel pensiero di Hobbes. Il realismo recupera, da queste voci preesistenti, uno spiccato pessimismo antropologico sulla politica in generale, prima ancora che su quella internazionale. I realisti sostengono che l’uomo è una struttura carente, un animale dalla natura difettosa, o comunque debole e per questo, per paura, è una creatura meschina e aggressiva. Per i realisti parlare di politica significa riconoscere queste qualità. Per loro, poi, la storia non è un percorso di graduale e continuo sviluppo, ma è l’”eterno ritorno dell’uguale”(Nietshce), la vedono come un ciclo che si ripete in continuazione. I realisti tendono a credere che la realtà umana sia talmente complessa da avere moltissimi obiettivi diversi, stili di vita diversi, a volte inconciliabili, per cui non sempre è possibile risolvere queste differenze attraverso scambi commerciali o attraverso il diritto. In queste occasioni solo i rapporti di forza stabiliscono quale modo di vita prevale sugli altri. Anche perché la politica è fondata sul potere. Trasferendo questi spunti nell’ambito della politica internazionale, i realisti ci dicono che la guerra tra gli stati è un fenomeno ineliminabile. Dobbiamo vedere gli Stati come uomini in grande scala, che riproducono vizi e difetti dei singoli uomini in carne ed ossa, quindi l’egoismo, la cupidigia, la brama di dominio. I realisti, però, affermano anche che la condizione anarchica in cui operano gli Stati nell’arena internazionale acuisce la paura reciproca degli stati, spingendoli all’aggressività come forma di difesa preventiva.
Il realismo è stato periodicamente sfidato dagli altri approcci, ma è sempre riuscito a riguadagnarsi il centro della scena. I nomi più importanti per quanto riguarda la nascita delle relazioni internazionali moderne sono proprio realisti. Moltissimi uomini delle amministrazioni americane del periodo tra le due guerre e poi durante la guerra fredda erano esponenti del realismo politico. Molti dei dibattiti teorici più rilevanti che hanno attraversato la disciplina delle relazioni internazionali sono avvenuti tra i realisti. Una linea di frattura importante fra i realismi è quella fra realismo offensivo e realismo difensivo. Il primo sostiene che gli Stati abbiano una fame di potere insaziabile, quindi tendono ad installare l’egemonia nel sistema internazionale. Il secondo, invece, sostiene che gli Stati tendano ad accontentarsi di una certa quantità di potere, sufficiente a mantenere la sicurezza. Le grandi potenze del continente europeo continentale sono state centrali nella politica di potenza europea, di conseguenza è ovvio che qui nascono le riflessioni più cupe e aspre sulla realtà politica internazionale. Detto questo è anche vero che nel clima complessivo di disincanto della WWII e poi dell’inizio della GF il realismo è approdato anche nel paese dell’ottimismo per eccellenza, ovvero gli USA, dove ha giocato un ruolo importante negli ambienti intellettuali. A partire dagli anni ’30 e ’40 molti studiosi europei di formazioni realista sono approdati in America esportando la loro tradizione. La geopolitica nasce e rimane a lungo come forma di evoluzione del realismo politico. Le Teorie Radicali È un filone che nasce negli anni ’60 sulla scia della decolonizzazione, soprattutto per quanto riguarda il sottosviluppo del Terzo Mondo dopo la decolonizzazione.
L’interrogativo che stimola e alimenta queste teorie è il perché di questo perdurante sottosviluppo. E ancora, come possiamo portarli alla parità? Come nel caso del realismo c’è una preesistente tradizione culturale che fa da punto di riferimento, ovvero il marxismo. Marx non ha mai formulato esplicitamente una teoria compiuta della politica internazionale, ma fu giornalista a Londra per un giornale americano e sviluppò un interesse per le grandi questioni internazionali. Dagli scritti di Marx comprendiamo che il capitalismo è inteso come un fenomeno esclusivamente internazionale. Sulla scia della decolonizzazione una nuova generazioni di studiosi torna a riflettere sui nessi tra economia capitalistica e la politica internazionale attraverso una visione marxista. Nell’ambito di questo revival del marxismo, le teorie radicali prendono due indirizzi:
Sulla base degli spunti delle teorie radicali, il realismo di seconda generazione ha cercato di ragionare con maggiore profondità sul rapporto tra economia e politica internazionale. Inoltre hanno proposto una politica della politica internazionale basata sulla divisione nord-sud, e non est-ovest come si era abituati a fare durante la GF. Ecco che durante gli anni 2000, dopo l’eclissi avvenuta negli anni ’80, si è tornato a guardare a questa tradizione neomarxista per ottenere chiavi di lettura interessanti. L’Istituzionalismo Entra in scena alla fine degli anni ’70 e ha fortemente influenzato gli anni ’80 e ’90. È una voce nata e cresciuta nell’Occidente, soprattutto negli USA. Anche in questo caso abbiamo un trauma storico, ovvero la percezione diffusa di un imminente declino del potere politico-economico degli USA. Questi timori sono dovuti alla sconfitta in Vietnam, la prima sconfitta militare statunitense. Sono anche gli anni della crisi del sistema finanziario di Bretton Woods voluta dagli USA dopo la WWII, poiché Nixon pose fine alla convertibilità del dollaro in oro e questo viene letto come un segnale di debolezza dell’America. Sono, inoltre, gli scandali del Watergate, gli scandali della CIA, segnale del deterioramento delle istituzioni americane e del declino della capacità degli USA di fornire un modello per gli altri Stati. Oggi sappiamo che le previsioni erano sbagliate, la leadership americana è riuscita a rilanciarsi nella seconda metà degli anni ’80, e a questo seguì dalla vittoria della GF. Non a caso il testo politologico più importante di questi anni si intitola after egemony. Il problema che si pongono gli internazionalisti è che cosa succederà in Occidente dopo il venir meno dell’egemonia americana. È grazie alla leadership americana se in Europa, nel secondo dopoguerra, si era creato un sistema politico-economico stabile.
Per i realisti non c’era da aspettarsi nulla di buono, perché se cambia la struttura del potere non potrà essere evitata la crisi del sistema impostato dagli USA. Gli istituzionalisti non sono convinti da questi ragionamenti e si pongono una domanda che i realisti non si pongono: possono le istituzioni nate nel secondo dopoguerra sopperire alle funzioni di stabilizzazione svolte dalla leadership americana? E da qui un altro interrogativo: qual è il ruolo delle istituzioni nella vita politica internazionale? possono recitare un ruolo autonomo, indipendente dagli assetti di potere? E se sì, in che misura e attraverso quali meccanismi? Un realista risponderebbe di no, perché le istituzioni si fondano sul potere. Gli istituzionalisti non sono convinti da questa tesi e propongono che invece le istituzioni possono essere un fattore indipendente della realtà politica internazionale e incoraggiare la cooperazione eliminando il principale ostacolo alla cooperazione internazionale, ovvero la paura che gli Stati hanno, convivendo in situazioni di anarchia, di essere ingannati dai loro partner. Riconoscono che le istituzioni vengono sempre create dagli Stati più potenti per perseguire i loro interessi egoistici, i quali controllano le istituzioni e le utilizzano come uno strumento di influenza internazionale. (ONU, NATO e Bretton Woods nascono proprio dietro spinta degli USA). Sostengono, però, che con il passare del tempo le istituzioni possono consolidarsi e distaccarsi dal potere degli Stati che li hanno creati, giocando un ruolo più autonomo nella realtà internazionale. Gran parte della riflessione istituzionalista verte attorno ai modi in cui le istituzioni internazionali possono riuscire a creare un clima di fiducia tra gli attori, che è la base per la cooperazione e l’ordine internazionale. Le istituzioni, inoltre, possono svolgere un ruolo cruciale anche attraverso la funzione di raccolta e diffusione delle informazioni sul rispetto degli accordi internazionali.
caduta del Muro, la riunificazione della Germania e lo scioglimento della federazione sovietica. Aggiungiamo la divisione della Jugoslavia, il divorzio tra Rep. Ceca e Slovacchia. Pensiamo alla nascita dell’UE, un’entità che non si riesce a definire. Non dobbiamo sorprenderci se questi eventi epocali hanno suscitato un’impressione di estrema malleabilità della realtà politica internazionale: tutto può succedere. Tutto questo spinge i costruttivisti a mettere in discussione la tesi del realismo. In questa critica i costruttivisti attingono alla teoria sociologica del costruttivismo , che sostiene che la realtà politica non è mai data una volta per tutte. Ogni elemento della realtà sociale è solamente una costruzione della realtà sociale. Il modo in cui tutti noi ci comportiamo è il prodotto della loro identità, del loro ruolo sociale e da come definiscono sé stessi, gli altri e il mondo. È proprio da questo che definiscono i loro interesse e le loro minacce ai loro interessi. Poiché le identità cambiano nel tempo, allora anche gli interessi sono mutabili, e ugualmente le minacce che provengono dalla società. Dicono che la gloria, il potere, il denaro non siano sempre e comunque gli unici valori perseguiti dagli uomini, ma dipendono dal contesto sociale. Non possiamo attribuire, quindi, agli attori della politica internazionale degli interessi fissi e immutabili. Quello che vogliono gli attori della politica internazionale dipende moltissimo da come questi attori definiscono sé stessi e gli altri. Quando quest’identità cambia, e cambia perché non è un dato naturale ma una costruzione sociale , allora cambiano anche gli obiettivi e gli interessi degli Stati, così come i loro codici di condotta. Secondo il costruttivismo quando studiamo la politica internazionale dobbiamo sganciarci dal materialismo che contraddistingueva gli approcci precedenti.
I costruttivisti sostengono che contino soprattutto i valori immateriali, i fattori ideazionali , ovvero il modo in cui diamo un significato alla realtà. Quindi non si deve volgere l’attenzione solo alla struttura anarchica del sistema internazionale, ma deve concentrarsi soprattutto sulla struttura culturale, che agisce al livello più profondo, in quanto concorre a generare le identità e quindi le necessità e i comportamenti. Le Relazioni Internazionali devono diventare una scienza interpretativa dei linguaggi sociali e delle ideologie, delle culture. Non bisogna pensare alla realtà come frutto di fenomeni meccanici e universali, di causa ed effetto, ma deve analizzarla come una struttura di significati sociali.