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Riassunto Internazionale Privato Barel, Essays (university) of International Law

Riassunto Internazionale Privato Barel

Typology: Essays (university)

2020/2021

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PARTE GENERALE – IL SISTEMA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO
CAP. I –
NOZIONE, FUNZIONE ED EVOLUZIONE STORICA 1.
Nozione della materia
Il diritto internazionale privato costituisce una specifica branca della legislazione e un’autonoma disciplina giuridica, il
cui scopo è la regolamentazione delle fattispecie di natura privatistica che presentano elementi:
di estraneità rispetto al territorio e/o alla popolazione dello Stato del foro, o comunque dello Stato dal cui punto di
vista ci si pone per esaminare il caso;
di collegamento con il territorio e/o la popolazione di altri Stati.
Gli elementi di estraneità hanno carattere relativo, nel senso che dipendono dalla prospettiva da cui si pone l’operatore
chiamato ad applicare le norme di diritto internazionale privato (giudice o altro pubblico ufficiale, ma anche privato
cittadino).
La ragione d’essere di questa disciplina è costituita dal carattere di naturale mobilità delle relazioni umane, che,
storicamente, si sono sempre sviluppate trasversalmente al territorio e alle popolazioni delle varie organizzazioni
politiche territoriali.
Fino ad un recente passato, facevano parte del diritto internazionale privato solo le norme sul diritto applicabile (che,
prima della riforma del 1995, salvo alcune disposizioni contenute in leggi speciali, erano contenute negli artt.17-31
delle disposizioni preliminari al c.c.), mentre quelle sulla giurisdizione e quelle sul riconoscimento degli atti e dei
provvedimenti stranieri (fatte salve alcune disposizioni presenti in leggi speciali) erano contenute nel codice di
procedura civile. Con la riforma del 1995, l’ambito del sistema del diritto internazionale privato è stato esteso fino a
ricomprendere tutte le norme, di diversa natura, che regolano situazioni con elementi di estraneità, e cioè:
disposizioni (processuali) sulla competenza giurisdizionale;
disposizioni (sostanziali) sul diritto applicabile;
disposizioni (a seconda dei casi, processuali o sostanziali) sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti
stranieri.
Tutte queste disposizioni formano il diritto internazionale privato in senso ampio; il diritto internazionale privato in
senso stretto comprende solo le disposizioni sul diritto applicabile.
Questo diritto è detto “privato” perché regola situazioni che ricadono nell’ambito del diritto privato, e vengono
identificate per mezzo di istituti privatistici (successioni, obbligazioni contrattuali, diritti reali, divorzio…);
“internazionale” perché la disciplina ha ad oggetto fattispecie collegate con più ordinamenti giuridici (più
precisamente, queste fattispecie vengono dette transnazionali, perché non riguardano relazioni tra Stati [internazionali]
ma tra individui che scelgono di operare a contatto con ordinamenti giuridici diversi).
N.B. Non si devono confondere le norme di diritto internazionale privato con quelle di diritto internazionale pubblico,
che regolano i rapporti non tra privati, bensì tra i soggetti della comunità internazionale.
Le norme di diritto internazionale privato appartengono al diritto interno di ogni Stato, e quindi variano da paese a
paese, anche se un certo grado di uniformità è garantito dal fatto che alcune di queste norme sono contenute in trattati
internazionali e in atti di diritto comunitario.
L’espressione diritto internazionale privato del foro designa il sistema di diritto internazionale privato vigente
nello Stato del giudice che dovrà decidere la controversia (o dall’ordinamento dal cui punto di
vista ci si pone per esaminare il caso.
La possibilità di applicare il diritto straniero è limitata al settore privatistico; il diritto pubblico invece ha carattere
territoriale, perché si applica a tutte le vicende, ma limitatamente al territorio dello Stato di provenienza. Ciò non toglie
che se un determinato istituto privatistico, poiché presenta profili di interferenza anche con interessi di carattere
generale, è disciplinato nell’ordinamento straniero con norme di diritto pubblico (in tutto o in parte), le relative norme,
ove richiamate dalla norma di conflitto del foro, possono essere applicate anche dal giudice italiano, in conformità al
principio dell’applicazione globale del diritto straniero (es. legge svizzera di diritto internazionale privato).
2. Il trattamento dello straniero
Il diritto internazionale privato ha ragion d’essere a condizione che l’ordinamento del foro riconosca la possibilità per
gli stranieri di esercitare diritti e azioni. Nel nostro ordinamento, le questioni relative alla cittadinanza e al trattamento
degli stranieri sono regolate (al di fuori del diritto internazionale privato) dal leggi speciali e dall’art.16 disp. prel. c.c.,
il quale stabilisce il cd. principio di reciprocità: lo straniero (a cui per il comma sono equiparate le persone
giuridiche) è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino, a condizione che analoghi diritti siano previsti dal
suo ordinamento di appartenenza a favore del cittadino italiano.
Tale principio è finalizzato alla ritorsione promozionale degli interessi degli italiani all’estero, ed opera sul piano
sostanziale (come limite al godimento dei diritti da parte dello straniero residente in Italia), non su quello
internazionalprivatistico (come limite all’efficacia del richiamo del diritto straniero operato dalle norme di diritto
internazionale privato). La condizione di reciprocità presuppone la possibilità per il cittadino italiano di godere nel
paese straniero di diritti analoghi a quelli che lo straniero intende esercitare in Italia (compresi i poteri e le libertà: ad
es. libertà professionale, contrattuale, potere di costituire società…) e l’assenza di discriminazioni. Il principio di
reciprocità viene inteso dalla giurisprudenza come una condizione di efficacia delle norme che attribuiscono diritti agli
stranieri. La portata del principio di reciprocità è stata ridimensionata:
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PARTE GENERALE – IL SISTEMA DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

CAP. I –

NOZIONE, FUNZIONE ED EVOLUZIONE STORICA 1.

Nozione della materia Il diritto internazionale privato costituisce una specifica branca della legislazione e un’autonoma disciplina giuridica, il cui scopo è la regolamentazione delle fattispecie di natura privatistica che presentano elementi:  di estraneità rispetto al territorio e/o alla popolazione dello Stato del foro, o comunque dello Stato dal cui punto di vista ci si pone per esaminare il caso;  di collegamento con il territorio e/o la popolazione di altri Stati. Gli elementi di estraneità hanno carattere relativo, nel senso che dipendono dalla prospettiva da cui si pone l’operatore chiamato ad applicare le norme di diritto internazionale privato (giudice o altro pubblico ufficiale, ma anche privato cittadino). La ragione d’essere di questa disciplina è costituita dal carattere di naturale mobilità delle relazioni umane, che, storicamente, si sono sempre sviluppate trasversalmente al territorio e alle popolazioni delle varie organizzazioni politiche territoriali. Fino ad un recente passato, facevano parte del diritto internazionale privato solo le norme sul diritto applicabile (che, prima della riforma del 1995, salvo alcune disposizioni contenute in leggi speciali, erano contenute negli artt.17- delle disposizioni preliminari al c.c.), mentre quelle sulla giurisdizione e quelle sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri (fatte salve alcune disposizioni presenti in leggi speciali) erano contenute nel codice di procedura civile. Con la riforma del 1995, l’ambito del sistema del diritto internazionale privato è stato esteso fino a ricomprendere tutte le norme, di diversa natura, che regolano situazioni con elementi di estraneità, e cioè:  disposizioni (processuali) sulla competenza giurisdizionale ;  disposizioni (sostanziali) sul diritto applicabile ;  disposizioni (a seconda dei casi, processuali o sostanziali) sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri. Tutte queste disposizioni formano il diritto internazionale privato in senso ampio; il diritto internazionale privato in senso stretto comprende solo le disposizioni sul diritto applicabile. Questo diritto è detto “privato” perché regola situazioni che ricadono nell’ambito del diritto privato, e vengono identificate per mezzo di istituti privatistici (successioni, obbligazioni contrattuali, diritti reali, divorzio…); “internazionale” perché la disciplina ha ad oggetto fattispecie collegate con più ordinamenti giuridici (più precisamente, queste fattispecie vengono dette transnazionali , perché non riguardano relazioni tra Stati [internazionali] ma tra individui che scelgono di operare a contatto con ordinamenti giuridici diversi). N.B. Non si devono confondere le norme di diritto internazionale privato con quelle di diritto internazionale pubblico, che regolano i rapporti non tra privati, bensì tra i soggetti della comunità internazionale. Le norme di diritto internazionale privato appartengono al diritto interno di ogni Stato, e quindi variano da paese a paese, anche se un certo grado di uniformità è garantito dal fatto che alcune di queste norme sono contenute in trattati internazionali e in atti di diritto comunitario.  L’espressione diritto internazionale privato del foro designa il sistema di diritto internazionale privato vigente nello Stato del giudice che dovrà decidere la controversia (o dall’ordinamento dal cui punto di vista ci si pone per esaminare il caso. La possibilità di applicare il diritto straniero è limitata al settore privatistico; il diritto pubblico invece ha carattere territoriale, perché si applica a tutte le vicende, ma limitatamente al territorio dello Stato di provenienza. Ciò non toglie che se un determinato istituto privatistico, poiché presenta profili di interferenza anche con interessi di carattere generale, è disciplinato nell’ordinamento straniero con norme di diritto pubblico (in tutto o in parte), le relative norme, ove richiamate dalla norma di conflitto del foro, possono essere applicate anche dal giudice italiano, in conformità al principio dell’applicazione globale del diritto straniero (es. legge svizzera di diritto internazionale privato).

2. Il trattamento dello straniero Il diritto internazionale privato ha ragion d’essere a condizione che l’ordinamento del foro riconosca la possibilità per gli stranieri di esercitare diritti e azioni. Nel nostro ordinamento, le questioni relative alla cittadinanza e al trattamento degli stranieri sono regolate (al di fuori del diritto internazionale privato) dal leggi speciali e dall’art.16 disp. prel. c.c., il quale stabilisce il cd. principio di reciprocità : lo straniero (a cui per il 2° comma sono equiparate le persone giuridiche) è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino, a condizione che analoghi diritti siano previsti dal suo ordinamento di appartenenza a favore del cittadino italiano. Tale principio è finalizzato alla ritorsione promozionale degli interessi degli italiani all’estero, ed opera sul piano sostanziale (come limite al godimento dei diritti da parte dello straniero residente in Italia), non su quello internazionalprivatistico (come limite all’efficacia del richiamo del diritto straniero operato dalle norme di diritto internazionale privato). La condizione di reciprocità presuppone la possibilità per il cittadino italiano di godere nel paese straniero di diritti analoghi a quelli che lo straniero intende esercitare in Italia (compresi i poteri e le libertà: ad es. libertà professionale, contrattuale, potere di costituire società…) e l’ assenza di discriminazioni. Il principio di reciprocità viene inteso dalla giurisprudenza come una condizione di efficacia delle norme che attribuiscono diritti agli stranieri. La portata del principio di reciprocità è stata ridimensionata:

 dall’entrata in vigore della Costituzione, che ha sottratto da questa condizione i diritti fondamentali inviolabili (libertà personale, salute, diritti dei lavoratori…) e gli altri diritti previsti dalla Carta;  dalle leggi sull’immigrazione, che contengono disposizioni protettive nei confronti dello straniero;  dal diritto dell’Unione europea, il quale vieta ogni discriminazione fondata sulla nazionalità (art. TFUE).

4. Il sistema di diritto internazionale privato e processuale italiano: sguardo d’insieme sulla l. 218/ Il testo fondamentale (anche se non esclusivo) del diritto internazionale privato italiano è la l. 218/1995 , che ha riformato la materia per ispirarla ai valori accolti nell’ambito del diritto sostanziale (es. parità uomo-donna) e tenendo conto dei modelli offerti dal diritto internazionale privato di altri paesi e delle convenzioni internazionali. Con la riforma, il diritto internazionale privato viene concepito come “sistema” (insieme di norme reciprocamente correlate e preordinate a disciplinare tutti gli aspetti [sostanziali e processuali] delle fattispecie di carattere privatistico aventi carattere di estraneità rispetto all’ordinamento interno); in ogni caso, l’art.2 ricorda che la l. 218/1995 non pregiudica le convenzioni internazionali vigenti in materia, con le quali perciò deve sempre essere coordinata. Le norme di d.i.p. sostanziale (sostitutive di quelle contenute negli artt.17-31 disp. prel.) sono contenute nel capo 2° del titolo 3°:  sono quasi tutte disposizioni di carattere formale, che non dettano una disciplina di carattere materiale ma “pongono i criteri per l’individuazione del diritto applicabile”, perciò vengono dette norme di conflitto (o norme sulla scelta di legge), perché con la scelta della legge risolvono il conflitto tra gli ordinamenti candidati a regolare la fattispecie con cui sono in qualche modo collegati.  Ci sono anche norme di d.i.p. sostanziale dette norme di d.i.p. materiale , che, con un metodo alternativo a quelle di conflitto, regolamentano le fattispecie transnazionali mediante una disciplina ad hoc. Dato che la giurisdizione costituisce un presupposto del processo, alle norme sulla giurisdizione viene riconosciuta natura processuale. Alle norme sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri viene riconosciuta natura processuale nella misura in cui prevedono un procedimento giudiziale (cioè in caso di contestazione del riconoscimento, mancata ottemperanza dell’organo che deve provvedere all’attualizzazione del provvedimento, e quando deve esserne dichiarata l’esecutività), e natura sostanziale quando prevedono il riconoscimento automatico (come avviene di regola per l’efficacia dichiarativa e costitutiva). Nonostante l’esistenza di norme di d.i.p. processuale, l’art.12 stabilisce che al processo si applica la legge processuale italiana, che tra l’altro contiene particolari disposizioni dettate in considerazione del carattere transnazionale della fattispecie. Nel capo 1° del titolo 3° sono state introdotte nel sistema di d.i.p. anche una serie di regole cd. di funzionamento, che stabiliscono attraverso quali modalità, condizioni e limiti può avvenire l’applicazione, da parte del giudice interno, del diritto straniero designato dalle norme di conflitto. Il titolo 5° contiene delle disposizioni transitorie e finali. La legge si applica a tutte le controversie sorte dopo la sua entrata in vigore (1° settembre 1995). Esistono anche norme di d.i.p. al di fuori della l. 218/1995: la navigazione (artt.4-14 disp. prel. cod. nav.), le situazioni dello stato civile dello straniero in Italia e dell’italiano all’estero (d.P.R. 396/2000), il trattamento dello straniero (art. disp. prel. c.c.), il fallimento e le altre procedure di insolvenza (r.d. 267/1942), i contratti di assicurazione (d.lgs. 209/2005). Altre volte, le disposizioni integrano la disciplina di materie già regolate nella l. 218/1995: quelle riguardanti l’adozione internazionale (l.184/1983 e succ. modificazioni), le società costituite all’estero (artt.2507-2510 c.c.), lo scioglimento del matrimonio (l.898/1970 e succ. modificazioni), il matrimonio del cittadino all’estero e dello straniero in Italia (artt.115-116 c.c.), le notificazioni all’estero (art.142 c.p.) e le assunzioni di prove all’estero (art.204 c.p.c.). 5. L’uniformità del diritto internazionale privato Molti Stati si sono adoperati per favorire l'adozione di una regolamentazione uniforme delle situazioni e dei rapporti giuridici non totalmente interni in determinate materie. L'uniformità del d.i.p. viene promossa sia a livello convenzionale, sia a livello di diritto europeo. L' uniformità convenzionale può essere conseguita in tre modi:  attraverso la creazione di norme uniformi sulla giurisdizione e/o sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri;  attraverso l'adozione di norme uniformi di conflitto ;  ricorrendo alla tecnica di regolare la materia con norme uniformi di carattere materiale che pongono una disciplina completa della fattispecie, che si sostituisce alla normativa stabilita dai vari ordinamenti nazionali, prevenendo così la possibilità del conflitto di leggi; si distinguono a seconda che si applichino a tutte le situazioni, o solo a quelle caratterizzate da elementi di estraneità.

 il Reg. 44/2001 in tema di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (cd. Reg. Bruxelles I), che sostituisce la Convenzione di Bruxelles;  il Reg. 1206/2001 sull’assunzione di prove all’estero;  il Reg. 2201/2003 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale (cd. Reg. Bruxelles II bis, che sostituisce il Reg. 1347/2000 detto Bruxelles II);  il Reg. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (cd. Reg. Roma I) che sostituisce la Convenzione di Roma;  il Reg. UE 1259/2010 (cd. Reg. Roma III) sulla cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, per quegli Stati che partecipano a questa cooperazione rafforzata (tra cui l’Italia);  il Reg. CE 4/2009 su legge applicabile, giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di obbligazioni alimentari nella famiglia. Si noti come i più importanti regolamenti contenenti norme di conflitto si applicano anche se la fattispecie sottoposta all’esame di un giudice di uno Stato UE presenta collegamenti con Stati non facenti parte dell’Unione, così come molte convenzioni pretendono di essere applicate anche alle fattispecie collegate con Stati che non vi hanno aderito. Ciò determina una corrispondente erosione delle disposizioni della l. 218/1995, che resta applicabile in via residuale solo alle fattispecie che non rientrano nell’ambito di applicazione dei regolamenti (e delle convenzioni) sull’unificazione del d.i.p. Dato che la Convenzione di Roma e quella di Bruxelles sono state sostituite da dei regolamenti, ci si domanda se il richiamo a queste convenzioni contenuto nella l. 218/1995 debba ora essere esteso anche alle corrispondenti norme regolamentari. Sul punto, la Cassazione si è espressa in modo contrario, affermando che il rinvio attiene solo alla Convenzione di Bruxelles, e non al Reg. CE 44/2001. Nonostante questa soluzione appaia in totale contraddittorietà con l’obiettivo di uniformità che aveva ispirato il legislatore della riforma, non si può non tener conto dell’orientamento della Corte; anzi, è probabile che, sulla stessa linea di ragionamento, anche il rinvio alla Convenzione di Roma venga limitato a questa e non esteso al Reg. Roma I che l’ha sostituita. Il Trattato di Lisbona (in vigore dal 1° dicembre 2009) ha confermato e consolidato la competenza dell’Unione europea in materia di armonizzazione del d.i.p.; l’esigenza di applicazione uniforme del d.i.p. europeo è garantita dalla competenza interpretativa, che è riconosciuta in via esclusiva alla Corte di Giustizia comunitaria.

7. La nascita della scienza del diritto internazionale privato: la dottrina degli statuti Ben presto però il sistema feudale venne soppiantato (soprattutto in Italia e nel Sud della Francia) dallo sviluppo delle città e dal progressivo incremento delle relazioni commerciali. Si assiste così alla creazione di veri e propri sistemi di d.i.p.; alcuni sono emanati dalle autorità centrali o locali, altri sono di elaborazione giurisprudenziale o dottrinale. Si distinguono:  regole per la ripartizione delle giurisdizione ( forum rei sitae per gli immobili, foro del domicilio per le questioni attinenti alla persona e ai beni mobili, ecc.);  regole sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni prese da magistrati di altre autorità territoriali, che trovano il proprio fondamento nell’appartenenza delle varie città ad un’entità politica superiore;  regole sul conflitto di leggi che, a seconda dei casi, sono ispirate a due diverse concezioni, tuttora riscontrabili nei moderni sistemi di d.i.p.: in Italia e nel Sud della Francia, dove hanno carattere dottrinale, le regole sono aperte alla possibilità di applicazione della legge straniera; nel Nord della Francia e in Olanda, dove sono elaborate dalla giurisprudenza delle corti territoriali, e perlopiù incentrate sulla coincidenza tra forum e ius. A fianco di questo sistema, esisteva il diritto mercantile, composto da norme speciali uniformi, di origine prevalentemente consuetudinaria, che regolavano i contratti posti in essere da e con i mercanti e venivano applicate dai giudici del commercio, le cui decisioni erano riconosciute anche nelle altre città e persino all’estero. Il processo di sviluppo del d.i.p. non ha riguardato, almeno in un primo momento, l’Inghilterra, poiché in questo paese, dopo la conquista normanna del 1066, vi era stata l’unificazione della common law con la conseguente esautorazione del diritto locale da parte di quello normanno; inoltre, la posizione insulare e l’accentuato carattere territoriale del diritto favorirono l’applicazione generalizzata della lex fori anche ai rapporti caratterizzati da elementi di estraneità. In Italia e nel Sud della Francia furono i giuristi delle libere università ad elaborare le regole sul conflitto di leggi, dando così inizio alla scienza del d.i.p.. Le soluzioni elaborate dalla dottrina si sono diffuse nella pratica grazie al genere letterario dei consilia , i pareri che le parti o il magistrato comunale chiedevano al tecnico del diritto nelle situazioni più complesse. La scienza internazionalprivatistica sorge in concomitanza con la riscoperta del diritto romano, che, a partire dal X sec., viene poco a poco fatto riemergere ed applicato al tempo presente come lex communis omnium , cioè come diritto universale e unitario dell’Impero. Quest’opera si deve ai giuristi, in particolare alla Scuola di Bologna (o dei Glossatori) sorta alla fine del IX sec. e la Scuola dei Commentatori, che ne proseguì l’opera a partire della metà del XIII sec. La scienza del d.i.p. ha potuto svilupparsi anche nel contesto della riscoperta del diritto romano perché, nonostante le affermazioni di principio, il diritto romano non era l’unico sistema giuridico vigente sul territorio imperiale, si affiancava invece ai diritti di varie altre entità politiche. In effetti il diritto romano, se nei sec. X e XI era concepito come diritto universale, già a partire dal XII sec. veniva piuttosto teorizzato come ius commune , cioè come elemento di un sistema organizzato di fonti in cui coesisteva e si coordinava con i diritti degli ordinamenti particolari ( iura propria , cioè il diritto delle monarchie nazionali in Europa, e

in Italia dei ducati, contee, marchesati, comuni, corporazioni…). Se nella prima fase (XII sec.) il diritto romano (comune) era visto come gerarchicamente superiore, già a partire dalla fine del XIII sec. gli ordinamenti particolari rivendicarono il potere di darsi proprie leggi e di applicarle con preminenza rispetto al diritto romano, con la conseguenza che il diritto comune acquistò carattere sussidiario, e veniva applicato solo dove non c’era un ordinamento particolare. Durante la fase della preminenza del diritto comune, conflitti di legge non si ponevano, se non nelle materie non disciplinate dal diritto romano-comune, e comunque venivano risolti attraverso l’applicazione della lex fori ; è durante la fase del diritto comune sussidiario che maturarono le condizioni per la possibilità di conflitti di leggi, e di conseguenza per lo sviluppo della scienza del d.i.p., chiamata a fornire soluzioni ai conflitti più elaborate. Gli ordinamenti particolari che potevano entrare in conflitto erano gli statuti nell’Italia dei Comuni, e le consuetudini ( coutumes ) in Francia. I giuristi medioevali elaborarono le soluzioni ai problemi internazionalprivatistici non dal punto di vista di un singolo ordinamento particolare, ma da quello, superiore e generale, dello ius commune , secondo una prospettiva che mirava a garantire l’uniformità di regolamento di una certa situazione all’interno di tutto il territorio sottoposto allo ius commune. Comunque, le soluzioni a cui si perveniva non erano sempre rigorose, perché a volte si assumeva come prospettiva quella dell’efficacia dello statuto all’interno e all’esterno del territorio comunale, mentre talvolta si elaboravano veri e propri criteri di collegamento per le singole materie. Come già detto, i giuristi ricercavano le soluzioni ai conflitti di legge nel diritto romano: così si elaborò la regola del carattere personale degli statuti. Ma questo principio non poteva risolvere tutti i conflitti, e ben presto venne affiancato da una serie di altre regole, il cui punto di partenza è costituito dalla regola di Jacopo Balduini sulla distinzione tra legge del processo (quella del giudice) e legge del merito (può essere una legge straniera): la regola di Jacopo Balduini, in quanto postula la possibilità di applicazione della legge straniera, costituisce la base per un vero e proprio sistema di d.i.p. Spetta a Bartolo di Sassoferrato il merito di aver riunito in una trattazione sistematica le varie regole che erano state formulate prima di lui, la maggior parte delle quali viene elaborata partendo dalla prospettiva dell’ambito di efficacia degli statuti (distinti a seconda della materia regolata) all’interno e all’esterno del territorio.

  1. Lo statuto personale vale solo per i sudditi (perché non si può concepire un obbligo per un non suddito), e li segue ovunque siano, anche al di fuori del territorio;
  2. lo statuto della forma regola gli atti compiuti nel territorio dove vige lo statuto e si applica anche nei confronti degli stranieri (senza recare un vulnus alla regola dello statuto personale, perché non impone obblighi per le persone).
  3. Lo statuto reale concerne solo le cose presenti sul territorio.
  4. Lo statuto dei contratti si applica (anche nei confronti degli stranieri) sul territorio dove il contratto è stato stipulato. Accanto alle regole sull’efficacia degli statuti, furono elaborate vere e proprie norme di conflitto , fondate su criteri di collegamento distinti a seconda della materia. Nel XVI sec. la dottrina degli statuti ebbe un seguito in Francia, dove venne seguita per dirimere le controversie tra le diverse coutumes delle varie province. Nello stesso periodo, con Dumoulin, si afferma il principio che in materia di contratti si applica la legge scelta dalle parti. Nel XVII sec., in Olanda si sviluppò la Scuola olandese, favorevole all’applicazione tendenziale della lex fori. Gli autori olandesi ritenevano però che un paese come l’Olanda, che aspirava a primeggiare nei commerci internazionali, dovesse rispettare i cittadini degli Stati con cui intratteneva relazioni commerciali ed acconsentire che, in determinati casi, essi potessero contare sull’applicazione della propria legge; per salvare le prerogative statali, si disse così che ciò veniva giustificato da ragioni di cortesia internazionale ( comitas gentium ). La comitas gentium divenne quindi il fondamento del d.i.p. in luogo del diritto romano. La tesi contiene l’importante intuizione che l’applicazione del diritto straniero non si impone per forza propria, ma perché è una legge dello Stato ad imporla.

8. La nazionalizzazione dei sistemi di diritto internazionale privato Tra il XVI e il XVII sec., in Gran Bretagna, Spagna e Francia si assiste alla nascita dello Stato moderno. È un nuovo modello di organizzazione politica della società umana, basato su tre elementi costitutivi: due di carattere materiale ( territorio e popolazione ) e uno di carattere formale ( sovranità , intesa come potere esclusivo di governare il territorio e la popolazione). La nascita dello Stato moderno determinò la progressiva nazionalizzazione delle norme di d.i.p.; i problemi riguardo ai conflitti di legge e di giurisdizione cominciavano ad essere risolti autonomamente dagli stati, senza alcuna concertazione (infatti, nell’800 la distinzione statuaria dell’efficacia delle leggi in relazione al loro oggetto venne meno).

Anche per le norme di d.i.p. materiale l’elemento di estraneità è specifico, e coincide con l’ambito di applicazione contemplato nella fattispecie delle norme medesime. Dato che non contengono la previsione di elementi di estraneità specifici, le norme di conflitto e quelle sulla giurisdizione trovano applicazione in presenza di qualunque elemento di estraneità della fattispecie; l’estraneità va valutata rispetto al territorio e alla popolazione, che sono gli elementi materiali sui quali si esercita la sovranità dello Stato. Gli elementi di estraneità sono costituiti dalle stesse circostanze che vengono utilizzate, in astratto, come criteri di collegamento e di giurisdizione. Gli elementi di estraneità coincidono infatti con i criteri di collegamento quando, in concreto, sono localizzati in uno Stato diverso da quello del foro. ES. Art. 29.1 l. 218/1995: “I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune ”. Qui, lo stesso elemento costituito dalla comune cittadinanza straniera dei coniugi, se da un lato è utilizzato come criterio di collegamento per la scelta dell’ordinamento destinato a regolare la fattispecie, dall’altro rivela l’estraneità della fattispecie rispetto all’ordinamento del foro. Però, questi elementi di estraneità, pur essendo costituiti dalle stesse circostanze che vengono utilizzate come criteri di collegamento o di giurisdizione nel sistema di d.i.p., possono anche, in concreto, non coincidere con i criteri di collegamento e di giurisdizione: ciò avviene quando la fattispecie presenta qualche collegamento con uno Stato diverso da quello del foro, ma le circostanze utilizzate come criterio di collegamento o di giurisdizione sono localizzate nello Stato del foro. ES. In tema di giurisdizione, può essere l’elemento di estraneità costituito dalla cittadinanza straniera di una delle parti in una materia (es. contratti) in cui i criteri di giurisdizione sono fondati sul domicilio e sul luogo di esecuzione dell’obbligazione. Un ulteriore possibile elemento di estraneità della fattispecie è costituito dalla volontà dei privati , cui le norme di d.i.p. attribuiscono il potere di decidere sulla controversia (o di deferirla ad un arbitrato internazionale) e, per certe categorie di rapporti espressamente indicate, la legge applicabile; infatti, dato che si ritiene che la scelta della legge o della giurisdizione straniera possano, entro certi limiti, avvenire anche con riguardo a una fattispecie i cui elementi materiali siano localizzati interamente all’interno dell’ordinamento, in questi casi bisogna ritenere che la volontà costituisca un elemento sufficiente ad assicurare l’internazionalità della fattispecie.

3. Le norme di conflitto Le fattispecie che presentano caratteri di estraneità rispetto all’ordinamento interno sono regolati prevalentemente dalle norme di conflitto, il cui scopo è prevedere dei criteri per l’individuazione del diritto applicabile (art.1 l. 218/1995). Queste norme si chiamano così perché figurativamente risolvono il conflitto tra i vari ordinamenti cui la fattispecie è collegata e che perciò sarebbero, in astratto, idonei a regolarla; ma sarebbe più corretto chiamarle “norme di scelta di legge”, perché quello che fanno è operare una scelta tra i vari ordinamenti collegati alla fattispecie. Le norme di conflitto hanno dunque natura strumentale , perché non disciplinano direttamente la fattispecie, ma fungono da strumento per assegnare questo compito ad altre norme. Le norme di conflitto contenute nella l. 218/1995 sono raggruppate per materie similmente a quanto fa il c.c. (persone e famiglia, successioni, diritti reali, obbligazioni e contratti, società) e hanno ad oggetto i vari istituti privatistici. Vi è una norma di conflitto diversa per ogni istituto ritenuto meritevole di autonoma considerazione dal punto di vista della legge applicabile (cioè, di un criterio di collegamento appropriato); perciò, l’ampiezza degli istituti contemplati dalle norme di conflitto varia a seconda della materia regolata. Ancora prima dell’entrata in vigore dell’attuale sistema di d.i.p., la dottrina sosteneva il riconoscimento automatico dell’operatività nel foro delle situazioni giuridiche che trovano fonte in atti della pubblica autorità estera , indipendentemente dal fatto che fossero state determinate per legge, per sentenza, per atto

amministrativo, ecc. Ciò implicava riconoscere gli effetti sostanziali (non quelli processuali) dei provvedimenti stranieri in base alle norme di conflitto, e non a quelle sul riconoscimento; le materie per cui era stato teorizzato il riconoscimento automatico delle situazioni create da atti della pubblica autorità erano quelle attinenti alla persona, ai rapporti di famiglia e ai diritti reali su immobili siti all’estero. Si parla al riguardo di riconoscimento internazionalprivatistico. Con l’art. 65 della l. 218/1995 il legislatore della riforma ha recepito la dottrina del riconoscimento internazionalprivatistico dei provvedimenti stranieri, estendendolo anche agli effetti processuali. Infatti, è previsto che in materia di capacità, diritti della personalità e rapporti di famiglia il riconoscimento dei provvedimenti stranieri avvenga sulla base delle norme di conflitto, salva la verifica del rispetto dell’ordine pubblico e dei diritti della difesa. L’art. 66 estende il riconoscimento in base alle norme di conflitto anche ai provvedimenti di volontaria giurisdizione (i quali hanno anch’essi ad oggetto status personali e familiari). Rispetto al riconoscimento internazionalprivatistico teorizzato dalla dottrina, l’art. 65 non contempla i diritti reali su immobili siti all’estero; si discute se un riconoscimento in base alle norme di conflitto, limitatamente agli effetti sostanziali dei provvedimenti stranieri, possa ancora avvenire o no. La struttura delle norme di conflitto si differenzia da quella delle norme tradizionali (“se A allora B”), in quanto per ciascuna materia, individuata per mezzo delle categorie giuridiche del diritto privato, la norma indica alcune particolari circostanze fondate su connessioni di tipo personale o territoriale che il legislatore ha ritenuto idonee a localizzare la vicenda all’interno di un determinato ordinamento giuridico (cd. norme di collegamento), che viene designato per la regolamentazione della fattispecie. Anche se tradizionalmente si parla di “legge applicabile”, il richiamo internazionalprivatistico in realtà concerne non una legge determinata, ma un ordinamento nel suo complesso. Si ritiene che, in alcune materie (quelle in cui più frequentemente incidono sulle fattispecie atti dell’autorità pubblica, piuttosto che dalla legge, come ad es. la capacità matrimoniale), il richiamo delle norme di conflitto non sia limitato alla disciplina normativa, ma viene esteso anche alle situazioni che derivano da atti della pubblica autorità. Le norme di conflitto sono collocate su tre diversi livelli di fonti :  livello interno : le norme interne di conflitto sono contenute negli artt. 20-63 (tranne art. 22 parz., 32, 37, 40, 41, 42, 44 e 50 parz.) della l. 218/1995; ci sono anche alcune rare norme di conflitto al di fuori della l. 218.  Livello convenzionale : una delle principali convenzioni internazionali contenenti norme di conflitto uniformi è la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, richiamata dall’art. 57 della l. 218/1995, ora sostituita dal Reg. CE 593/2008.  Livello comunitario : norme uniformi di conflitto sono contenute nel Reg. CE 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, nel Reg. CE 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, e nel Reg. CE 4/2009 sulle obbligazioni alimentari nella famiglia.

4. Funzione delle norme di conflitto Ci sono diverse tesi sulla funzione delle norme di conflitto:  la tesi della funzione unilaterale introversa dice che il compito delle norme di conflitto è quello di delimitare l’ambito di applicazione del diritto interno, mentre nei casi non sottoposti alla legge italiana si deve applicare quel diritto straniero che afferma la propria competenza;  la tesi della funzione laterale estroversa dice che le norme di conflitto hanno il compito di rendere applicabile il diritto straniero, mentre l’applicabilità della legge italiana avviene per forza propria (e non in conseguenza dell’operare delle norme di conflitto);  infine, la tesi della funzione bilaterale dice che le norme di conflitto possono rendere applicabile indifferentemente il diritto interno o straniero a seconda del modo di porsi, in concreto, delle circostanze assunte come criteri di collegamento. Le norme di conflitto di fonte convenzionale e comunitaria hanno sempre funzione bilaterale, dato che non si pongono dal punto di vista di un particolare ordinamento nazionale; quindi, la disputa riguarda solo le norme di conflitto interne. Anche qui, la tesi che sembra adattarsi meglio alla l. 218/1995 è quella della funzione bilaterale, perché quasi tutte le norme di conflitto contenute nella legge possono condurre indifferentemente all’applicazione del diritto italiano o del diritto straniero, a seconda di come sarà in concreto la circostanza assunta come criterio di collegamento. È vero che esistono anche nella l. 218/1995 alcune norme di conflitto unilaterali , strutturate in modo tale da designare solamente la legge italiana per la regolamentazione delle fattispecie transnazionali; questo perché, secondo il legislatore, la lex fori garantisce un determinato risultato materiale ritenuto imprescindibile rispetto

lOMoARcPSD| di rilevare d’ufficio gli elementi di estraneità della fattispecie applicando (anche d’ufficio) il diritto materiale designato dal sistema di d.i.p. equivarrebbe a rendere facoltativa l’applicazione della stessa norma di conflitto, e ciò non è condivisibile.

7. Limiti al funzionamento delle norme di conflitto Esistono delle norme che pongono determinati limiti al funzionamento delle norme di conflitto: a) limiti preventivi : norme che disciplinano materialmente (in tutto o in parte) le fattispecie transnazionali, prevenendo alla radice il conflitto di leggi. Ne esistono due categorie: o norme di d.i.p. materiale , aventi ad oggetto solo le fattispecie con elementi di estraneità; o norme cd. di applicazione necessaria , contemplate da un’apposita norma di funzionamento (art. 17 l. 218/1995) in applicazione del metodo delle considerazioni materiali: consistono in norme interne che, in ragione del loro oggetto o del loro scopo, richiedono di essere comunque applicate (per forza propria e non in virtù della designazione operata dalle norme di conflitto) non solo, ma anche alle fattispecie con elementi di estraneità. b) Limite successivo (stabilito dall’art. 16 l. 218/1995): è costituito dall’ ordine pubblico , che opera come una barriera destinata a impedire l’applicazione del diritto straniero, pur designato dalle norme di conflitto, quando esso contrasti con i principi e i valori fondamentali su cui si basa il nostro ordinamento. 8. I criteri di collegamento: natura giuridica e classificazione I criteri di collegamento funzionano “come un ponte, che collega una fattispecie a un determinato ordinamento giuridico” (Raape). Vengono detti criteri di collegamento:  le circostanze oggettive o soggettive contemplate nella fattispecie astratta delle (e solo delle) norme di conflitto bilaterali;  idonee ad esprimere un collegamento significativo tra l’elemento della fattispecie da regolare (individuato dalla norma di conflitto mediante riferimento ad un istituto giuridico) e un determinato Stato, dove la vicenda viene localizzata;  al fine di trarre dall’ordinamento dello Stato con cui la fattispecie è collegata la legge applicabile al caso, secondo il metodo della localizzazione spaziale. Nella prassi recente, a volte il legislatore rinuncia a individuare un collegamento specifico per una determinata situazione, valorizzando il legame che questa presenta con una fattispecie più ampia: si parla in questo caso di collegamento accessorio. I criteri di collegamento si distinguono in personali (esprimono una connessione con la popolazione dello Stato) e territoriali (con il suo territorio). Un criterio a parte è quello della volontà delle parti , perché rimanda direttamente all’ordinamento prescelto dalle parti.  Unico criterio personale è quello della cittadinanza.  I criteri territoriali si distinguono in: o soggettivi : quando la localizzazione territoriale si riferisce a dei soggetti (es. domicilio del rappresentante); o oggettivi : quando si riferisce ad altri elementi della fattispecie da regolare (es. luogo di situazione dei beni); o un criterio misto è quello della prevalente localizzazione della vita matrimoniale, perché costituisce una sintesi di vari criteri territoriali, soggettivi e oggettivi. Si distinguono poi:  criteri di fatto : attengono ad elementi presenti in natura, riscontrabili mediante l’esperienza;  criteri giuridici : espressi mediante concetti giuridici, valutabili secondo un unico parametro. Il rapporto tra criteri di collegamento ed elementi di estraneità della fattispecie all’ordinamento italiano è il seguente:  quando la circostanza (concreta) è elemento di estraneità all’ordinamento italiano, e viene utilizzata anche come criterio di collegamento (astratto), si applica la legge straniera designata dalla norma di collegamento;  quando l’elemento di estraneità della fattispecie è una circostanza diversa da quella utilizzata come criterio di collegamento, ciò significa che il criterio designa la legge italiana. 9. Concorso di criteri di collegamento Ci sono due casi in cui le norme di conflitto designano una pluralità di criteri di collegamento:  si parla di concorso alternativo quando la scelta viene effettuata in relazione al risultato a cui mira il legislatore, in attuazione del metodo della considerazioni materiali per la soluzione dei conflitti di leggi.

lOMoARcPSD|  Si parla di concorso successivo (o criteri sussidiari) quando esiste una graduatoria dei vari criteri di collegamento, per cui, solo se i primi criteri designati non funzionano, vi subentrano i secondi. La gerarchia dei criteri è basata sul maggiore o minore grado di significatività del collegamento che essi presentano con la fattispecie contemplata dalla norma di conflitto.

10. Le norme di diritto internazionale privato materiale Le norme di d.i.p. materiale stabiliscono direttamente la disciplina materiale della fattispecie con elementi di estraneità, pertanto, ai fini della loro applicazione devono prevedere espressamente nella fattispecie l’elemento di estraneità. Le norme di d.i.p. materiale sono poco diffuse a livello interno, ma molto di più in quello convenzionale; una disciplina materiale uniforme di alcune categorie di fattispecie transnazionali si rinviene anche nelle norme di diritto privato dell’Unione europea che regolano fattispecie specifiche. Presentano una certa affinità con le norme di d.i.p. materiale le disposizioni di lex mercatoria (serie eterogenea di regole contrattuali di carattere non statuale, diffuse nel commercio internazionale). Rientrano nell’ambito della lex mercatoria sia i principi Unidroit, sia particolari modelli (es. leasing, factoring, performance bond) e clausole contrattuali specifiche che derivano dalla prassi consuetudinaria o sono elaborati da associazioni di categoria o da organizzazioni non governative. Si tratta di una regolamentazione uniforme, diretta a superare il particolarismo delle leggi nazionali. I procedimenti arbitrali , proprio perché sono espressione di una giustizia privata, costituiscono la sede privilegiata per l’applicazione della lex mercatoria (ciò vale specialmente per gli arbitrati amministrati, i cui regolamenti consentono che le parti non solo possano scegliere la legge, ma più ampiamente le regole di diritto applicabili). Però, al di fuori dell’arbitrato, sembra inevitabile ritenere che la lex mercatoria possa avere rilievo solo se le sue disposizioni sono contemplate dall’ordinamento richiamato dalla norma di conflitto, con la posizione gerarchica che in quell’ordinamento è loro riconosciuta. Le norme di d.i.p. materiale hanno la precedenza sulle norme di conflitto; si deve però tenere presente che spesso queste norme non disciplinano interamente la fattispecie, nel qual caso per gli aspetti non regolati bisogna ricorrere alle norme di conflitto. 11. Le norme sulla competenza giurisdizionale Le norme sulla giurisdizione (o competenza giurisdizionale o internazionale ) hanno natura processuale , in quanto designano il giudice competente a pronunciarsi sulle fattispecie caratterizzate da elementi di estraneità rispetto all’ordinamento interno. In generale, la competenza del giudice può essere esterna o interna: quella regolata dalle norme di d.i.p. processuale è quella esterna , e designa il potere dei giudici di uno Stato di decidere determinate cause (mentre la competenza interna è la frazione di giurisdizione che spetta all’uno o all’altro dei vari giudici all’interno dello Stato). Le norme sulla giurisdizione contengono la previsione di determinate circostanze, di carattere soggettivo o oggettivo ( criteri di giurisdizione ), idonee a esprimere una connessione, di tipo personale o territoriale, tra la fattispecie astratta e lo Stato, ritenuta così significativa da giustificare l’attribuzione della competenza giurisdizionale al giudice del foro (benché la fattispecie presenti collegamenti anche con altri Stati). Le norme sulla giurisdizione possono dettare criteri che valgono in generale , oppure criteri speciali , che valgono solo per le fattispecie che attengono a determinate materie. Anche le norme sulla giurisdizione si articolano su tre livelli di fonti in cui è strutturato il d.i.p. italiano:  a livello interno: hanno carattere unilaterale , cioè delimitano unicamente la competenza del giudice italiano (ad es., gli artt. 3-12 l. 218/1995 dettano criteri di carattere generale, mentre gli artt. 22, 32, 37, 40, 42, 44 e 50 dettano criteri per materie specifiche);  a livello comunitario: designano il giudice competente tra quelli degli Stati destinatari del regolamento (solitamente designano direttamente il giudice territorialmente competente). Contengono norme di questo tipo i Reg. CE 1346/2000, 44/2001, 2201/2003, 1896/2006, 861/2007 e 4/2009;  a livello convenzionale: designano il giudice competente tra quelli degli Stati parti della convenzione (ma attraverso un’indicazione generica, non menzionano direttamente gli Stati). Alcune norme speciali in tema di giurisdizione sono previste anche al di fuori della l. 218/1995. 12. I criteri di giurisdizione Essi sono circostanze idonee ad esprimere un collegamento della fattispecie con un determinato Stato (più precisamente con i suoi elementi materiali costituiti dal territorio e dalla popolazione), ritenuto significativo al fine dell’attribuzione al giudice della competenza giurisdizionale. Esistono criteri di giurisdizione personali o territoriali , a seconda che il collegamento con lo Stato avvenga a livello di popolazione o di territorio. Un criterio a parte è quello della volontà delle parti , che non richiede un collegamento personale o territoriale della fattispecie con lo Stato.

CE 44/2001, dal Reg. CE 2201/2003 (in misura più limitata, e solo relativamente alla responsabilità genitoriale), dal Reg. CE 4/2009 (in misura più limitata, in materia di obbligazioni alimentari della famiglia). Il Reg. CE 593/2008 (che sostituisce la Convenzione di Roma, richiamata “in ogni caso” dalla l. 218/1995) deferisce alla legge che sarebbe applicabile se l’atto fosse valido anche le questioni relative all’esistenza e alla validità dell’atto con cui si compie la scelta di legge. L’esistenza e la validità dell’atto di scelta del foro competente sono sottoposte alla legge designata dalla Convenzione di Roma (in virtù del richiamo della l. 218/1995). L’aspetto della capacità giuridica è regolato da delle norme di conflitto (art. 20 e 23 l. 218/1995)

16. Le norme sul riconoscimento e l'esecuzione degli atti e dei provvedimenti stranieri Le norme sul riconoscimento e l’esecuzione degli atti giuridici stranieri (in particolare, le sentenze ) hanno duplice natura:  processuale : quando subordinano il riconoscimento e/o l’attuazione ad un procedimento giudiziale;  sostanziale : quando prevedono in modo automatico l’estensione nel nostro ordinamento dell’efficacia dell’atto o provvedimento straniero (che ha quindi la stessa operatività che aveva nel paese d’origine). In base all’efficacia, le sentenze si distinguono in: dichiarative (accertano qualcosa), costitutive (es. divorzio), di condanna. Queste ultime si distinguono dalle prime due perché gli effetti della sentenza di condanna si producono nella realtà materiale, perciò è necessario un titolo esecutivo che dia attuazione pratica alla regola stabilita nella sentenza da eseguire; il riconoscimento del titolo esecutivo è dunque funzionale al riconoscimento dell’efficacia esecutiva. Il riconoscimento dell’efficacia dichiarativa e costituiva avviene di norma automaticamente ; invece, l’esecuzione normalmente ha bisogno di un particolare procedimento giurisdizionale volto a concederla. Le norme sul riconoscimento si possono distinguere in generali (dettano criteri di riconoscimento che operano indipendentemente dalla materia su cui incide l’atto) o speciali (contengono anche l’indicazione della materia a cui si riferiscono). Anche le norme sul riconoscimento si articolano nei tre livelli in cui è strutturato il d.i.p. italiano:  interno : le norme sono contenute nella l. 218/1995, e al di fuori di essa in alcune leggi speciali (ad es. in materia di adozione);  comunitario : ci sono importanti regolamenti che disciplinano anche il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e degli atti equiparati provenienti dagli Stati membri (Reg. CE 1346/2000, 44/2001, 1206/2001, 2201/2003, 805/2004, 1896/2006, 861/2007 e 4/2009);  convenzionale : vi sono numerose convezioni in materia, tra cui è importante segnalare la Convenzione di Bruxelles (sostituita dal Reg. 44/2001). Le norme su riconoscimento necessitano di prevedere le condizioni da cui dipendono il riconoscimento e l’ esecutività degli atti. Le varie disposizioni indicano come requisiti per il riconoscimento:  il rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa;  la definitività del provvedimento da riconoscere;  il rispetto di determinate regole di competenza giurisdizionale;  l’assenza di litispendenza e la non contrarietà di altre decisioni relative alle medesime parti;  la non contrarietà delle disposizioni del provvedimento straniero con l’ordine pubblico dello Stato che lo deve riconoscere. Si parla di attuazione del provvedimento quando esso, per produrre gli effetti cui è preordinato, richiede l’esercizio di un potere pubblico. Quando l’attuazione si concreta in un’ esecuzione forzata , il riconoscimento dell’efficacia esecutiva è subordinato alla previa verifica che il provvedimento possegga i requisiti per il riconoscimento: le norme di d.i.p. demandano il controllo a un organo giurisdizionale, che in Italia è la Corte di appello del luogo dove deve avvenire l’attuazione. In casi particolari previsti dai Reg CE, il riconoscimento dell’esecuzione può avvenire automaticamente, bastando una certificazione dell’autorità di origine. 17. Le regole di funzionamento Le regole di funzionamento (o di sistema) servono a stabilire attraverso quali modalità , condizioni e limiti può avvenire l’applicazione da parte del giudice italiano del diritto straniero , nel caso in cui lo stesso venga designato dalle norme di conflitto italiane. Esse stabiliscono:  quando la designazione della legge straniera si riferisca a norme sostanziali, e quando a norme di conflitto (le quali, a loro volta, potrebbero operare un richiamo ad un’altra legge: problematica del rinvio , art. 13 l. 218/1995);

 come deve essere ricercata, interpretata e applicata la legge straniera designata dalle norme di conflitto, e cosa deve fare il giudice se non riesce a pervenire a conoscenza di questa legge ( conoscenza, interpretazione e applicazione della legge straniera , artt. 14-15 l. 218/1995);  in quali casi la legge straniera designata dalle norme di conflitto non può essere applicata per contrasto coi principi fondamentali dell’ordinamento italiano, e cosa deve fare il giudice in questi casi ( limite dell’ordine pubblico , art. 16 l. 218/1995);  quali sono le norme dell’ordinamento italiano da considerare irrinunciabili, e quindi da applicare nonostante il richiamo alla legge straniera fatto dalle norme di conflitto ( norme di applicazione necessaria , art. 17 l. 218/1995);  come deve essere individuato il diritto straniero applicabile nei casi in cui nell’ordinamento straniero designato coesistano più sistemi legislativi ( problematica degli ordinamenti plurilegislativi , art. 18 l. 218/1995);  come si determina la legge nei casi in cui il collegamento di cittadinanza non funziona perché la persona è apolide, rifugiata, o ha più cittadinanze ( problematica degli apolidi, dei rifugiati, e delle persone con più cittadinanze , art. 19 l. 218/1995).

18. L'interpretazione delle norme di diritto internazionale privato Tutte le norme di d.i.p. utilizzano delle espressioni giuridiche sia per determinare il loro ambito di applicazione, sia per rappresentare i criteri di collegamento e di giurisdizione, sia per il riconoscimento. In tutti questi casi, è necessario interpretare i concetti giuridici utilizzati da queste norme; il problema è quello di stabilire qual è, tra i vari ordinamenti collegati con la fattispecie, quello da cui devono essere tratti i principi da utilizzare per l’interpretazione. 19. Segue : la qualificazione Con l’espressione “qualificazione” la dottrina può intendere tre diverse operazioni intellettuali:

  1. l’ interpretazione dei concetti giuridici utilizzati per definire l’ambito di applicazione del d.i.p.;
  2. la vera e propria qualificazione giuridica della fattispecie concreta (riconduzione della fattispecie nell’ambito di una delle categorie giuridiche di riferimento);
  3. la sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito di una norma astratta di d.i.p. L’operazione di qualificazione può condurre ad esiti diversi, proprio perché presuppone un parametro normativo di riferimento, alla stregua del quale determinare il significato delle categorie giuridiche utilizzate per circoscrivere l’ambito di applicazione delle norme di d.i.p. La legge di d.i.p. italiano non si pronuncia su quale ordinamento debbano essere tratti i principi per la qualificazione, lasciando spazio a diverse teorie. La tesi maggioritaria sostiene che la qualificazione deve essere compiuta nell’ambito del sistema giuridico cui la norma di d.i.p. appartiene, pur ammettendo l’utilizzo di alcuni principi contemplati dagli ordinamenti stranieri cui la fattispecie è collegata (norme di d.i.p. di fonte comunitaria o convenzionale). Secondo un’altra tesi (non convincente), la qualificazione andrebbe operata alla luce dell’ordinamento competente a regolare la fattispecie ( lex causae ). Secondo un’ulteriore tesi (non convincente), la qualificazione andrebbe svolta mediante gli strumenti della comparazione giuridica e della giurisprudenza analitica, ricercando una sorta di significato comune dei concetti e delle norme di d.i.p. idoneo a ricomprendere il significato che essi hanno nei vari ordinamenti nazionali. La qualificazione della fattispecie concreta è funzionale all’individuazione della norma di d.i.p. applicabile; ma, quando la norma applicabile è una norma di conflitto straniera, si pone il problema di qualificarla secondo le norme dell’ordinamento straniero (problema della seconda qualificazione, descritto da Vitta). L’ art. 13 della l. 218/1995 introduce, in determinate materie, l’istituto del rinvio. Esso attribuisce rilievo al richiamo internazionalprivatistico operato dalla norma di conflitto dell’ordinamento straniero (designata dalla norma del foro), e comporta la necessità di compiere ulteriori qualificazioni oltre a quella eseguita in base al sistema di d.i.p. vigente nel foro, in base al principio posto dall’art. 15 della l. 218/1995, per cui il diritto straniero va interpretato secondo le categorie giuridiche sue proprie. 20. Segue : l'interpretazione dei criteri di connessione e dei requisiti per il riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri Una volta compiuto il processo di qualificazione, si pongono altri problemi di interpretazione: infatti, anche le circostanze assunte dalle norme di d.i.p. come criteri di collegamento o di giurisdizione, o come requisiti per il riconoscimento, possono consistere in elementi di fatto, ma più spesso consistono in concetti giuridici. In alcuni casi, le norme di d.i.p. esplicitano alla stregua di quale ordinamento deve essere fatta la valutazione, mentre per i casi non regolati (che sono la maggior parte), come per la qualificazione si ritiene che

qualunque sia il giudice adito. Questo obiettivo si potrebbe raggiungere solo se il giudice del foro ragionasse come il giudice straniero, secondo la “foreign court theory” (avanzata dai giuristi inglesi ma mai accolta dal nostro legislatore) che consiste nell'applicare la legge che avrebbe applicato il giudice del Paese richiamato dalle norme di conflitto del foro se fosse stato investito della questione. L’art. 13.1 l. 218/1995 ammette il rinvio in due casi: a) rinvio oltre accettato dal diritto dello Stato terzo; se non è accettato, la soluzione che emerge a contrariis dalla lettera della legge sembrerebbe essere quella di applicare le disposizioni materiali dell’ordinamento richiamato dalle norme di conflitto del foro, senza tener conto del rinvio (Picone); b) rinvio indietro al diritto italiano, di cui, per evitare rimbalzi di competenza senza fine, si applicano solo le disposizioni materiali e non quelle di conflitto. Secondo alcune tesi minoritarie, la disposizione dell’art. 13 andrebbe interpretata nel senso che, se il secondo Stato non accetta il rinvio, sarebbe concepibile una pluralità di rinvii fino a raggiungere un ordinamento che lo accetti (cioè che utilizzi un criterio di collegamento che rinvia a quello stesso ordinamento) o che rinvii al nostro. Secondo un orientamento intermedio, la pluralità di rinvii sarebbe ammissibile solo con riferimento al rinvio indietro, perché l’art. 13.1 lett. b) non pone limitazioni al riguardo. L’art. 13.2 stabilisce i seguenti casi di esclusione del rinvio : a) nei casi in cui è ammessa la scelta di legge : quando le parti hanno scelto di applicare il diritto materiale di un ordinamento straniero, non si tiene conto delle norme di d.i.p. di quell’ordinamento (salvo ovviamente che la scelta non cada proprio sulle norme di d.i.p. straniero); b) in materia di forma degli atti , perché il rinvio potrebbe vanificare la pluralità di collegamenti previsti in funzione del favor validitatis (è sufficiente che una sola legge tra quelle designate dai vari criteri di collegamento consideri l’atto valido per affermarne la validità, mentre è necessario che tutte lo considerino invalido per dichiararne l’invalidità); c) in materia di obbligazioni non contrattuali (disposizioni del capo 11° del titolo 3° l. 218/1995), perché i criteri di collegamento posti dalle norme di conflitto sono già preordinati alla ricerca della connessione più stretta. Gli ultimi due commi dell’art. 13 stabiliscono due ulteriori modalità di funzionamento del rinvio:  il 3° comma stabilisce che in materia di filiazione (art. 33 l. 218/1995), legittimazione (art. 34) e riconoscimento di figlio naturale (art. 35), il rinvio è ammesso solo se consente lo stabilimento della filiazione (cd. rinvio di favore );  per le fattispecie regolate da convenzioni internazionali richiamate dalla l. 218/1995, il 4° comma stabilisce che per il problema del rinvio si segue sempre la soluzione adottata dalla convenzione (se manca una regola espressa, la si dovrà dedurre in via di interpretazione). È dato riscontrare che le convenzione e i regolamenti di unificazione del d.i.p. perlopiù escludono il rinvio; con un certo margine di approssimazione, si può dire che le materie per le quali vale il rinvio sono: persone e famiglia (esclusi separazione e divorzio, protezione dei minori e obbligazioni alimentari nella famiglia), diritti della personalità, persone giuridiche ed altri enti, successioni, diritti reali, donazioni regolate dalla l. 218/1995, titoli di credito (le convenzioni richiamate dall’art.59 ammettono il rinvio per quanto riguarda la capacità ad obbligarsi). Secondo un autorevole orientamento dottrinale (non ci sono precedenti giurisprudenziali), dal combinato disposto degli artt. 13 e 15 (secondo cui la legge straniera è interpretata e applicata secondo i criteri stabiliti dall’ordinamento di appartenenza) si evince che, una volta operata la qualificazione della fattispecie in base alle categorie del sistema giuridico in cui la norma di d.i.p. è inserita, e dopo aver individuato la norma di conflitto del foro applicabile e l’ordinamento straniero da essa designato, se si tratta di materia per cui è previsto il rinvio occorre procedere alla ri- qualificazione della fattispecie in base ai principi dell’ordinamento straniero. Successivamente, si dovrà operare la sussunzione della fattispecie nell’ambito delle norme di d.i.p. dell’ordinamento straniero richiamato, le quali, a loro volta, potranno ritenere competente l’ordinamento cui appartengono, o rinviare “indietro”, o rinviare “oltre” (nel qual caso, bisognerà procedere ad una terza qualificazione secondo i principi del terzo ordinamento richiamato). Si parla in questo caso di rinvio di qualificazione.

2. Conoscenza e applicazione del diritto straniero L’ ambito del diritto straniero richiamato dalle norme di conflitto copre:  le norme materiali competenti a regolare la fattispecie (anche quelle di fonte consuetudinaria, e anche quando esse avessero natura pubblicistica nell’ordinamento da cui provengono);  le norme di d.i.p. materiale e quelle di applicazione necessaria;

le norme contenute nelle convenzioni internazionali efficaci nell’ordinamento straniero (purché ricorrano i presupposti in presenza dei quali il giudice straniero le applicherebbe);  le norme di conflitto, nelle materie in cui è ammesso il rinvio;  le norme costituzionali e le altre norme pubblicistiche che abbiano effetti anche privatistici (es. norme sulle fonti di diritto, sulle espropriazioni, quelle che subordinano la validità del negozio ad autorizzazioni o a oneri fiscali);  in determinate materie, il richiamo delle norme di conflitto si estende anche alle situazioni giuridiche create mediante atti o sentenze della pubblica autorità nell’ordinamento designato (cd riconoscimento internazionalprivatistico dei provvedimenti); N.B. Le decisioni giudiziarie e gli atti pubblici stranieri sono invece oggetto delle disposizioni sul riconoscimento degli atti e dei provvedimenti stranieri. L’art. 14 l. 218/1995 sancisce il principio dell’accertamento d’ufficio del diritto straniero. L’accertamento è funzionale all’ applicabilità d’ufficio del diritto straniero designato dalle norme di conflitto, al quale viene riconosciuta natura di valore giuridico. Si ritiene che l’obbligo di applicare d’ufficio il diritto straniero presupponga l’ obbligo di applicare d’ufficio le norme di conflitto , da cui dipende l’applicabilità del diritto straniero. Si discute se l’obbligo di applicare d’ufficio il diritto straniero valga anche per le norme (straniere) che vengono in rilievo non in forza del richiamo operato dalle norme di conflitto, ma al fine della valutazione della reciprocità di trattamento richiesta dall’art. 16 disp. prel. c.c. Si è sempre ritenuto che, nei limiti in cui il principio di reciprocità è ancora valido (cioè sostanzialmente riguardo i negozi commerciali), spetti alla parte interessata provare che l’ordinamento straniero non discrimina il cittadino italiano; questo principio è stato recentemente affermato dalla Cassazione (anche se, in precedenza, la stessa Cassazione aveva affermato che era il giudice che aveva l’obbligo di accertare d’ufficio il contenuto della legge straniera anche ai fini della reciprocità). Per la conoscenza del diritto straniero , l’art. 14 dice che il giudice può avvalersi della propria scienza o utilizzare vari mezzi di accertamento; naturalmente però, è in primo luogo onere delle parti quello di fornire la massima collaborazione al giudice per reperire elementi utili alla ricerca della legge straniera applicabile. Nell’ipotesi in cui non si riesca ad accertare il contenuto della legge straniera richiamata dalla norma di conflitto, l’art. 14 stabilisce di applicare un’altra legge straniera indicata dai criteri di collegamento eventualmente posti in alternativa per la disciplina della medesima fattispecie, o, ma solo in mancanza, la lex fori (italiana). Nelle materie in cui è previsto il rinvio, le regole sulla conoscenza del diritto straniero si applicano anche alle norme di d.i.p. degli ordinamenti stranieri richiamati dalle norme di conflitto. L’art. 15 l. 218/1995 stabilisce che “la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo”. La disposizione viene intesa con un significato più ampio, ritendendola espressione del principio per cui il diritto straniero deve essere ricercato, interpretato e applicato nella sua globalità , come “sistema giuridico”, facendo ricorso a tutti i criteri ermeneutici utilizzati nell’ordinamento di cui si tratta compresa l’analogia, e tenendo conto delle soluzioni dottrinali e giurisprudenziali, ma senza obbligo per il giudice di acquisirle (Cass.). Con riguardo all’applicazione, il principio del richiamo globale impone di tener conto di tutte le regole sull’applicazione del diritto, nel tempo e nello spazio, nonché sulla sua validità ed efficacia. La Relazione ministeriale sulla l. 218/1995 precisa che il giudice italiano deve risolvere eventuali questioni di costituzionalità del diritto straniero richiamato dalle norme di conflitto valutandone la legittimità rispetto ai principi dell’ordinamento in cui esse sono inserite; ciò avviene operando direttamente il controllo (se il Paese di cui si tratta prevede un controllo di costituzionalità diffuso), oppure rispettando le decisioni dell’organo a ciò deputato (nei Paesi con controllo di costituzionalità accentrato). L’eventuale contrasto della norma straniera designata dalle norme di conflitto con la Costituzione italiana non dà invece luogo a controllo di costituzionalità, perché la norma straniera non è ricompresa tra quelle per le quali l’art. 134 Cost. prevede il sindacato della Corte Costituzionale. Il principio dell’applicazione globale del diritto straniero ha conseguenze anche con riguardo alla qualificazione della fattispecie concreta: innanzitutto, una volta qualificata la fattispecie in base al sistema del foro, per il principio di globalità il diritto straniero designato dalla norma del foro può essere applicato in base ad un titolo diverso da quello per cui era stato richiamato. In secondo luogo, nelle materie in cui è ammesso il rinvio il principio dell’applicazione globale comporta la ri-qualificazione della fattispecie alla stregua delle categorie giuridiche dell’ordinamento richiamato dalle norme di conflitto del foro (cd. rinvio di qualificazione ), per poi

Il legislatore rimette al giudice la prudente valutazione di quali siano i principi di ordine pubblico da tutelare, tenendo presente che la normativa straniera, per essere contraria, deve pregiudicare l’armonia complessiva dell’ordinamento interno. L’individuazione dei principi di ordine pubblico, essendo una questione di diritto, è sindacabile dalla Cassazione. I principi che rientrano nell’area coperta dall’ordine pubblico sono in continua evoluzione ( relatività dell’ordine pubblico ), perché seguono l’evoluzione delle concezioni morali e sociali, e valgono al momento della pronuncia (Cass.). per identificare in concreto i principi di ordine pubblico, oltre ai valori su cui si fonda la comunità nazionale ci si deve basare anche su quelli condivisi dalle nazioni e previsti in appositi trattati internazionali (Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ecc.) Nel caso in cui l’applicazione della norma straniera richiamata da una norma di conflitto interna si riveli contraria all’ordine pubblico, l’art. 16 prevede in primo luogo l’ applicazione di criteri di collegamento alternativi o successivi ; in mancanza (o se anch’essi conducono all’applicazione di una legge contraria all’ordine pubblico) si applica la lex fori. Nel caso in cui è ammesso il rinvio, se la norma di conflitto straniera produce effetti contrari all’ordine pubblico o designa una legge che li produce, si ritiene che debba trovare applicazione il diritto straniero richiamato per primo, senza tener conto del rinvio.

5. Le norme di applicazione necessaria Le norme di applicazione necessaria, previste dall’art. 17 l. 218/1995, costituiscono un limite preventivo al richiamo del diritto straniero da parte delle norme di conflitto: si tratta di norme interne che, in considerazione del loro oggetto o del loro scopo, sono ritenute irrinunciabili per l’ordinamento italiano, e come tali devono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera eventualmente operato dalla norma di conflitto. La ratio dell’istituto induce a ritenere che non sia necessario l’intervento delle norme di applicazione necessaria se le norme straniere garantiscono un risultato uguale o superiore a quello voluto dalle norme di applicazione necessaria. Ciò costituisce un temperamento all’idea che le norme di applicazione necessaria escludano il funzionamento del sistema di d.i.p. Le norme di applicazione necessaria sono singole disposizioni di carattere sostanziale , che si applicano indifferentemente alle fattispecie interne e a quelle caratterizzate da elementi di estraneità. La loro individuazione è rimessa all’interprete (in particolare al giudice), che deve riguardare l’oggetto e lo scopo della disposizione, che deve perseguire un fine di fondamentale importanza per lo Stato del foro (di solito perché tutelano interessi che trascendono quelli dei singoli). Le norme di applicazione necessaria prevalgono non solo rispetto al diritto straniero richiamato dalle norme di conflitto interne , ma anche rispetto a quello designato dalle norme di conflitto comunitarie e convenzionali (salvo ove non sia diversamente disposto). Dato che l’art. 17 parla solo di norme italiane di applicazione necessaria, ci si chiede se sia possibile rinvenire questo carattere anche in analoghe norme straniere. Distinguiamo che si tratti di norme della legge straniera richiamata o di norme di un Paese terzo che abbia uno stretto legame con la fattispecie. a) Il principio dell’applicazione globale del diritto straniero consente di riconoscere l’esistenza di norme di applicazione necessaria appartenenti all’ ordinamento della lex causae (legge, individuata dalle norme sul conflitto di leggi, che disciplina la causa nel merito) anche in materia diversa da quella che ha operato il richiamo, salvo che, per loro natura o per il fatto che richiedano interventi della pubblica autorità, esse escludano di poter essere applicate anche al di fuori dell’ordinamento giuridico a cui appartengono. b) La possibilità di applicare norme imperative di un ordinamento straniero, diverso dalla lex causae , che abbia uno stretto legame con la fattispecie è espressamente prevista per le obbligazioni contrattuali dalla Convenzione di Roma del 1981, richiamata in ogni caso dall’art. 57 l. 218/1995. Il Reg. CE 593/2008, che sostituisce la Convenzione di Roma, prevede la possibilità di applicare norme di applicazione necessaria di un Paese terzo in modo più limitato, stabilendo che “può essere data efficacia anche alle norme di applicazione necessaria del paese in cui gli obblighi derivanti dal contratto devono essere o sono stati eseguiti, nella misura in cui tali norme di applicazione necessaria rendono illecito l adempimento del contratto. Per decidere se vada data efficacia a queste norme, si deve tenere conto della loro natura e della loro finalità nonché delle conseguenze derivanti dal fatto che siano applicate, o meno”. Per le materie in cui è previsto il rinvio, si ritiene debbano essere tenute in considerazione le norme di applicazione necessaria dell’ordinamento rinviante , le quali potrebbero inibire il funzionamento del sistema di conflitto. **CAP. VII – IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO DEI BENI

  1. Il possesso e i diritti reali su beni mobili e immobili** La disciplina di d.i.p. sostanziale (legge applicabile) del possesso e dei diritti sui beni immobili è contenuta, a livello interno, negli artt. 51-55 l. 218/1995 (disciplina di carattere generale) e nell’art. 6 disp. prel. cod. nav. (in materia di diritti reali su navi e aeromobili). A livello comunitario, sono previste leggi speciali per determinati tipi di beni. La disciplina della giurisdizione in materia è molto articolata, e comprende:

 a livello interno, le disposizioni degli artt. 3 e seg. l. 218/1995;  a livello comunitario, il Reg. 44/2001;  a livello convenzionale, la Convenzione di Bruxelles e la Convenzione di Lugano (oggi sostituita dalla Convenzione Lugano II). Per quanto riguarda il riconoscimento dei provvedimenti stranieri, trova applicazione la disciplina comune. L’ambito dei diritti reali nel d.i.p. comprende:  il diritto di proprietà ;  i diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, servitù);  i diritti reali di garanzia (pegno, ipoteca, privilegi speciali su beni immobili);  il possesso e la detenzione ;  il trust , regolato dalla Convenzione dell’Aja del 1985 sul riconoscimento e la legge applicabile. La disciplina di conflitto generale delle situazioni reali è posta dall’art. 51 l. 218/1995, il cui ambito di azione ricomprende: il contenuto del diritto, l’idoneità del bene a costituire oggetto del diritto reale, le modalità di esercizio, i modi di acquisto e di perdita, gli strumenti di protezione gli eventuali vincoli di indisponibilità e la riserva di proprietà, che concerne gli effetti reali del contratto di compravendita. Restano esclusi dall’ambito di applicazione i diritti reali su beni in transito, i diritti reali su navi e aeromobili (art. 6 disp. prel. cod. nav.), l’usucapione dei beni immobili (art. 53 l. 218/1995), i diritti sui beni immateriali (art. 54 l. 218/1995) e le forme di pubblicità (art. 55 l. 218/1995). In materia opera il rinvio. L’art. 51.1 l. 218/1995 designa la legge dello Stato in cui i beni si trovano ( criteri del luogo di situazione della cosa , o lex rei sitae ). Nel caso in cui l’acquisto o la perdita dei diritti reali riguardino la materia successoria, o nel caso in cui l’attribuzione dipenda da un rapporto di famiglia o da un contratto, l’art. 51.2 riconduce la relativa disciplina alla lex causae (la legge del giudice investito della causa), e non alla lex rei sitae. Pertanto, si ricava che la lex rei sitae regola il contenuto e l’esercizio del diritto reale e i modi di acquisto a titolo originario, mentre la lex causae regola i modi di acquisto a titolo derivativo. Le leggi designate dai criteri di collegamento non trovano applicazione, secondo i principi generali, in presenza di norme di applicazione necessaria (es. norma sulla non commerciabilità delle opere d’arte), o quando produrrebbero effetti contrari all’ ordine pubblico. Ai sensi dell’art. 6 disp. prel. cod. nav., navi ed aeromobili sono regolati dalla legge della bandiera sotto la quale viaggiano (coincidente con la legge dello Stato di immatricolazione). La disciplina della giurisdizione in materia risulta dalla combinazione delle regole valevoli in generale per la materia civile e commerciale, con alcune regole più specifiche, che si affiancano o in certi casi sostituiscono le regole generali. In forza della Convenzione di Bruxelles, nella l. 218/1995 è stato recepito un criterio di giurisdizione alternativo in materia di trust, che prevede la competenza del giudice del luogo nel quale è localizzato il domicilio del trust per tutti i rapporti relativi alla sua costituzione o funzionamento. L’art. 5 l. 218/1995 detta poi la regola secondo cui la giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all'estero. A livello comunitario, se l’immobile si trova in uno Stato dell’Unione europea viene in considerazione l’ art. 22 n. Reg. 44/2001 che, per i diritti reali su beni immobili, attribuisce la competenza ai giudici dello Stato in cui l’immobile è situato. Se invece l’immobile non si trova in uno Stato comunitario:  se il convenuto è domiciliato in uno Stato comunitario, si applica il criterio del foro del convenuto di cui al Reg. 44/2001, prevalendo sulla disposizione dell’art. 5 l. 218/1995;  se il convenuto non è domiciliato in uno Stato comunitario, trova applicazione la regola dell’art. 5 l. 218/1995, per cui la giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all'estero.

2. I beni in transito Quella dei “beni in transito” è una disciplina specifica, dettata dall’art. 52 l. 218/1995, per l’ipotesi, molto frequente nel diritto internazionale, che la proprietà o altri diritti reali vengano alienati o costituiti sulle merci durante il loro trasferimento da un luogo ad un altro. I diritti reali su beni in transito sono regolati dalla legge del luogo di destinazione. Come per i diritti reali in generale, si applica il rinvio. 3. L'usucapione dei beni mobili L’art. 53 l. 218/1995 stabilisce una disciplina di conflitto specifica per l’ usucapione di beni mobili , nel cui ambito rientrano: i requisiti per l’usucapione, i termini per usucapire, l’idoneità del bene ad essere usucapito, l’ammissibilità di fatti interruttivi e sospensivi, i requisiti che deve avere il possesso, compresa la problematica dell’ animus possidendi. Rimane ovviamente escluda l’usucapione di beni immobili, a cui si applicano i criteri di collegamento generali dell’art. 51 l. 218/1995. L’art. 53 l. 218/1995 designa la legge dello Stato in cui il bene si trova al compimento del termine prescritto. Se si trasferisce il bene mobile in un Paese la cui legislazione prevede un termine per l’acquisto della proprietà, e questo è già scaduto, con il trasferimento si perfeziona l’acquisto della proprietà; non si perde il diritto acquisito trasferendo il bene in uno Stato che preveda un termine di usucapione più lungo. La legge concretamente applicabile potrebbe essere diversa da quella designata dai criteri di collegamento, per l’operatività del rinvio. L’acquisto può essere escluso per effetto di norme di applicazione necessaria del Paese di origine che escludano