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riassunto vita e maggiori opere degli autori del 800 e 900
Typology: Study Guides, Projects, Research
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1.Dove e quando nasce il Romanticismo? Il Romanticismo è una corrente culturale e artistica che nasce in Germania e in Inghilterra alla fine del Settecento e si diffonde in tutta Europa nel primo Ottocento: introduce una nuova sensibilità e un nuovo modo di vedere la vita, l’uomo e la storia. Il suo nome deriva dall’aggettivo romantico con cui a quell’epoca si designava un’opera o una persona che dava spazio ai sentimenti e alla fantasia. Oggi invece l’aggettivo romantico indica una persona sentimentale, che dà troppa importanza ai sentimenti e ha una sfumatura ironica. Questo aggettivo all’inizio dell’Ottocento venne assunto per definire la nuova corrente letteraria, che si proponeva appunto di rivalutare la forza dei sentimenti e della fantasia. 2.Quali sono le differenze rispetto all’Illuminismo? I romantici rivalutano l’importanza dei sentimenti, si accorgono che i sentimenti sono una grande forza che spinge l’uomo ad agire e che la ragione non è sempre in grado di dominare i sentimenti. I romantici sono delusi dall’esito della Rivoluzione francese e dalla Restaurazione: la fiducia nella ragione ha portato a dei grandi fallimenti e perciò ora viene rivalutata la forza delle passioni. I Romantici però ereditano dagli Illuministi la consapevolezza dell’importanza della libertà e dell’uguaglianza. 3.Il contesto storico e il rapporto degli artisti con la società Il romanticismo nasce in un contesto storico diverso da quello dell’Illuminismo: sono avvenute tre grandi rivoluzioni: quella americana, quella francese e quella industriale, e i romantici cominciano a sperimentarne le contraddizioni (come per esempio la nascita della questione sociale, l’inurbamento massiccio, il formarsi di periferie degradate e sporche dove gli operai vivono in condizioni disumane e la distruzione del paesaggio provocata dalla costruzione delle prime ferrovie e delle fabbriche): ciò incrina l’ottimismo degli illuministi. La classe borghese inoltre si era affermata dopo queste tre rivoluzioni come la classe guida, ma gli intellettuali non si riconoscono nei valori che questa classe fa propri, come la ricerca esasperata del guadagno, la produttività, il profitto, e scelgono di isolarsi, di estraniarsi dalla società. Si verifica una rottura tra artisti e società. Come si pongono gli intellettuali e gli artisti romantici di fronte alla società?
all’indipendenza: gli artisti romantici promossero questo movimento e sostennero nelle loro opere la necessità che l’Italia divenisse un stato unitario e non più diviso, e indipendente dallo straniero. La scintilla che diede vita al Romanticismo italiano fu la pubblicazione da parte di una scrittrice francese, Madame De Stael, nel 1816 sulla rivista milanese “La biblioteca italiana” di una lettera in cui la scrittrice invitava gli Italiani a uscire dal loro guscio, a leggere le opere straniere, a svecchiare la loro cultura, ad aprirsi alla cultura europea. Questo articolo diede il via alla polemica tra i classici (coloro che ritenevano che la cultura italiana dovesse continuare a mantenere un forte legame con il passato) e i romantici, che erano favorevoli al rinnovamento.
Movimento letterario, artistico e musicale sviluppatosi tra il 1860 e il 1870 a Milano e Torino, prende il nome dal titolo di un romanzo di Cletto Arrighi, La Scapigliatura e il 6 febbraio (1862), dove il termine scapigliatura rappresenta la traduzione italiana del francese bohème, usato per indicare la vita disordinata e ribelle degli artisti parigini. Alle radici del fenomeno e del movimento stanno la delusione per gli esiti del risorgimento, un contraddittorio rapporto con l'industrializzazione incipiente (tra il fascino e il rifiuto), una volontà di opposizione ai modelli di vita e alla mentalità borghesi. Gli Scapigliati rifiutano i valori della borghesia, moralismo e conservatorismo; non credono nel progresso ottimistico ma percepiscono un mondo insidiato dal caos e dal male. Obiettivo comune degli scapigliati è la polemica contro il tardo romanticismo italiano, considerato esteriore e superficiale. Mantennero rapporti culturali con le letterature straniere (Baudelaire, Sterne, Hoffmann ecc.) con l'intento di sprovincializzare la cultura italiana, alla ricerca di uno stile e di nuovi canoni da seguire per creare un'arte che fosse di rottura rispetto a quella passata. Tentano di recuperare i canoni del primo romanticismo europeo, spostando la ricerca verso creazioni bizzarre colme di inquietudine, in cui prevalgono la scoperta del legame tra bellezza e orrore, e una propensione per l'onirico, il favoloso, il macabro, il patologico, il sarcastico. L'artista si pone in un ambito di estraneità e di marginalità rispetto a un mondo dominato dal denaro e rifiuta ogni regola, non solo nello stile letterario (ricerca di un linguaggio nuovo, una profonda volontà di rinnovamento, uno sperimentalismo espressivo e metrico) ma anche nella vita che conduce in modo sregolato, dandosi all'alcolismo e all'uso di stupefacenti. Tuttavia la sete di purezza che lo contraddistingue lo porta in un certo senso a essere contraddittorio. La scapigliatura fa propria una concezione del mondo irrazionalistica e spiritualista, sia pur mescolata a superficiali suggestioni positivistiche. Si enfatizza la malattia morale: "l'arte che ci frulla nel cuore sarà un'arte malata, un'arte di decadenza" scrive Emilio Praga. La volontà di protesta contro la normalità borghese post-risorgimentale si concreta in atteggiamenti, affermazioni programmatiche, temi e moduli letterari esasperati, eccentrici, come l'esaltazione delle vite bruciate dal vizio, l'abnorme e il patologico, il patetico e l'orroroso o il macabro, l'onirico e il fantastico, o ancora l'ironia e l'umorismo acre, il paradosso e il sarcasmo. Spesso gli scapigliati mostrano interesse per il "caso clinico", a tratti morboso o provocatorio per l'abnorme e l'eccezionale, per la malattia psicologica e morale, ma tutto ciò rivela più la volontà di turbare e stupire o di proporre modelli negativi in cui identificarsi, che non la volontà di un'indagine condotta secondo una metodologia che si pretenda scientifica e con il distacco dell'analista (come invece accadrà nel naturalismo e nel verismo). In aperto contrasto con le poetiche realistiche gli scapigliati propongono una letteratura che sia mezzo per indagare l'ignoto, per rivelare la verità oscura e misteriosa delle cose; si enfatizza il motivo romantico della rivalutazione estetica del brutto, si giunge a una sorta di teorizzazione della divagazione, del disordine, della confusione struttura le , de l la scr ittura irrego lare e umor ist ica , a uno sperimentalismo linguistico di tipo espressionistico. C'è anche spazio per un realismo più moderato è normale, per la polemica sociale, per la rappresentazione della natura secondo moduli più convenzionali. Il linguaggio però non è mai adeguato agli scopi e la forma non risulta mai veramente innovativa e rivoluzionaria. Il movimento della Scapigliatura fece da tramite per l'ingresso in Italia sia delle tematiche naturalistiche sia di quelle decadenti che caratterizzeranno i primi anni del secolo successivo. Principali rappresentanti della Scapigliatura: Rovani, Praga, Tarchetti, Boito, Camerana, Dossi.
Il Verismo é un movimento letterario e artistico italiano che ispirandosi al Naturalismo francese e al Positivismo teorizza una rigorosa fedeltà alla realtà effettiva delle situazioni, dei fatti, degli ambienti, dei personaggi e si esprime con un linguaggio che è quello dei soggetti che vengono rappresentati. Richiamandosi al naturalismo francese delle opere di Emile Zola, ma anche ad Alessandro Manzoni e alla
all’autodistruzione. Tra gli eroi decadenti troviamo la figura dell’inetto, uomo senza volontà afflitto da una malattia interiore che lo rende incapace di vivere. Davanti a lui si aprono quindi due strade: il suicidio e il sogno. Alla tendenza a considerare la malattia, la corruzione e la morte come condizioni di privilegio e di distinzione dalla massa, si contrappone spesso uno sfrenato vitalismo; qui emerge la figura del superuomo, l’individuo votato a imprese eccezionali che s’impegna a realizzare se stesso. Un’altra figura molto importante tra gli eroi decadenti è la figura del dandy, individuo vestito in modo stravagante. I dandies erano gli esponenti della cultura dell’apparenza, dell’estetismo decadente. Precursore del dandismo fu Huysmans, il cui romanzo a ritroso delineava la figura dell’eroe decadente ed era considerato la bibbia del decadentismo. PRECURSORI OTTOCENTESCHI DEL DECADENTISMO I precursori ottocenteschi del decadentismo furono in Francia Baudelaire, Rimbaud, Verlaine e Mallarme, iniziatore del Simbolismo; in Inghilterra Oscar Wilde; in Italia Pascoli e D’Annunzio. Maggiore esponente del decadentismo fu Baudelaire, secondo il quale la realtà è quella che si nasconde dietro l’apparenza. L’intuizione, cioè l’inconscio è lo strumento attraverso il quale si può accedere alla realtà oppure vi si poteva accedere anche attraverso i vari stati d’alterazione dell’io come: la nevrosi, la follia, l’allucinazione, l’incubo provocati dall’alcol e dalle droghe. Altro precursore del decadentismo fu Rimbaud, secondo il quale per capire la realtà bisognava abbandonare i sensi e affidarsi all’istinto. Il Decadentismo, a sua volta, darà vita al Simbolismo. Sviluppatosi in Francia nella seconda metà dell’800, il massimo esponente è Mallarme; secondo lui la poesia è un mistero di cui il lettore deve cercare la chiave. In essa acquistano un valore espressivo anche i silenzi, le sospensioni e gli spazi bianchi. Per i simbolisti solo la poesia era lo strumento in grado di cogliere il mistero profondo della realtà. I PRINCIPI DELLA POETICA DEL DECADENTISMO I principi della poetica decadente possono essere così riassunti: L’artista è un veggente, colui che va al di là delle sensazioni e delle apparenze che normalmente la società non può percepire; L’artista è un esteta La tecnica espressiva utilizzata è quella della poesia pura e il linguaggio è ricco di metafore, analogie e simboli; la parola diventa pura e astratta, talvolta comprensibile solo per il poeta che la usa; essa ha valore solo per la sua fonicità e la sua musicalità; La sintassi diventa imprecisa; La metrica tradizionale lascia il posto al verso libero. IL DECADENTISMO IN ITALIA I principi della poetica di D’Annunzio sono: Dalla tradizione carducciana all’estetismo decadente: nella raccolta giovanile Primo vere il poeta usa le forme metriche «barbare» di Carducci, ma già nelle raccolte successive sono più evidenti i caratteri decadenti, con riferimenti ai temi della sessualità, del peccato e della lussuria; L’aspirazione alla «bontà»: nel poema Paradisiaco i motivi dominanti sono l’amore e un ritorno all’innocenza perduta; L’arrivo a un’ideologia superomistica. La narrativa ha le sue espressioni più significative nei romanzi di Antonio Fogazzaro. Nelle sue opere sono presenti tendenze sia romantiche, sia realistiche. Di Fogazzaro ricordiamo soprattutto il Piccolo mondo antico. D’Annunzio approda nel decadentismo con il romanzo Il piacere. Il protagonista è un esteta , un perfetto dandy, che ricorda Huysmans. L’opera successiva, il trionfo della morte segna il passaggio verso i romanzi cosidetti del superuomo. Anche qui il protagonista è un esteta travagliato da una malattia interiore. Con il Notturno, diario di guerra scritto durante una lunga convalescenza seguita da un incidente aereo, d’Annunzio conclude le sue prove letterarie nel mito della morte. I temi decadenti della prosa dannunziana sono: La vita intesa come opera d’arte; L’intuizione del rapporto segreto tra l’io e il mondo; L’estetismo e il vitalismo superomistico; Il gusto per il primitivo, l’irrazionale e le passioni primordiali; L’erotismo e la sensualità sfrenata; Il gusto per la decadenza e la corruzione; La malattia interiore.
La poetica dannunziana (ma forse sarebbe più esatto parlare di poetiche, o d’una poetica composita) è l’espressione più appariscente del Decadentismo italiano. Dei poeti «decadenti» europei D’Annunzio accoglie modi, forme, immagini, con una capacità assimilatrice notevolissima; quasi sempre, però, senza approfondirli, ma usandoli come elementi della sua arte fastosa e portata a un’ampia gamma di sperimentazioni. Per quest’ultimo aspetto lo si può avvicinare al Pascoli, anch’egli impegnato in una ricerca di nuove tematiche linguistiche. Anche per D’Annunzio fu importante l’incontro col Simbolismo europeo, soprattutto francese, a cominciare dal Poema paradisiaco (1893; ma le liriche sono frutto d’un triennio), dove s’avverte la ricerca della parola suggestiva, dell’analogia simbolistica, l’ansia d’una poesia che evochi li «mistero» attraverso raffinate atmosfere sentimentali e di sensibilità e oggetti ridotti a emblemi d’una realtà più profonda: il non dicibile delle cose e dell’animo, aperto soltanto all’intuizione, al presentimento, alla ricerca d’una rifondazione poetica della realtà. Estato spesso osservato che D’Annunzio subisce l’influsso prevalentemente dei Simbolisti «minori», e rimane fuori dalla linea Baubelaire-Verlaine-Rimbaud-Mallarmé, quella, cioè, più ricca di futuro nella letteratura europea; e si è parlato, per lui e per il Pascoli, d’una sorta di simbolismo «indigeno», di livello, cioè «provinciale». Ma la condanna non pare sempre giustificata, per quel che riguarda la prima accusa - e, in effetti, non dovrebbe neppure essere una condanna, ma il segno d’un mondo poetico diverso -, e quanto al provincialismo degli atteggiamenti meno persuasivi dei due poeti, converrebbe confrontarli con altri «provincialismi» europei. Del D’Annunzio in particolare si può dire che egli aderì soprattutto alla tendenza irrazionalistica e al misticismo estetico, fondevoli con la propria ispirazione naturalistica e sensuale, ben evidente nelle sue prime raccolte poetiche e non mai rinnegata, che potremmo schematicamente definire così: a) rigetto della ragione come strumento primario di conoscenza e fondazione di valori spirituali; b) abbandono delle suggestioni del senso e dell’istinto come mezzo per porsi in diretto contatto - inteso come unica conoscenza possibile - con le forze primigenie della natura-vita. Nasce di qui quello che fu detto il panismo di molta poesia dannunziana: per un verso un dissolversi dell’io, un suo farsi forma, colore, suono, un immergersi totale nelle cose, dietro la suggestione dei sensi e dell’istinto; per un altro verso, una nuova creazione della realtà in una luce di bellezza, coincidente con l’impeto inesausto della vita, con il moltiplicarsi costante delle forme davanti alla vigile «attenzione» del poeta. La poesia diviene così per D’Annunzio scoperta dell’armonia del mondo; il poeta a suo avviso continua e completa l’opera della natura. E
questo, in sostanza, il nucleo primario dell’ispirazione dannunziana, evidente soprattutto nella poesia, da Primo vere alle ultime raccolte; spesso sommerso dall’enfasi, quando il poeta complica il suo naturalismo istintivo col desiderio di dire cose mai dette o di rivelare una sensibilità d’eccezione o di esaltare un proprio dominio creativo sulle cose. Abbiamo allora i falsi miti del barbarico, del primitivo, dell’erotismo, del proprio io, nelle due direzioni dell’estetismo o del superumanismo. Comunque ad entrambe è l’esaltazione di quella che il poeta chiamò la sua «quadriglia imperiale» cioè l’unione di voluttà e istinto, orgoglio e volontà. Estetismo e superumanismo rappresentano, in sostanza, due aspetti concomitanti e complementari dell’ispirazione sensuale. Con questo aggettivo alludiamo non tanto al contenuto erotico di molte opere dannunziane, ma all’accettazione della vitalità pura e istintiva come norma suprema, con piena negazione della razionalità e della storia. D’ANNUNZIO E IL DECADENTISMO D’Annunzio è, insieme con il Pascoli, il poeta più rappresentativo del Decadentismo italiano; ma essi, pure essendo quasi contemporanea - appena otto anni separano D’Annunzio (1863) dal Pascoli (1865) - e pur muovendosi nell’ambito del Decadentismo, sono poeti, sotto molti aspetti, assai differenti. Anzitutto il Decadentismo del Pascoli fu più istintivo che consapevole, con scarse o inesistenti sollecitazioni e influenze esterne ( ad eccezione del Poe e di Baudelaire, infatti, non pare che il Pascoli conoscesse altri testi del Decadentismo europeo ); il Decadentismo del D’Annunzio fu invece frutto di scelte precise, operate nell’ambito delle più svariate tendenze del Decadentismo europeo, assimilate e padroneggiate per l’eccezionale disponibilità del suo spirito alla più varie e ardite esperienze di vita e di arte. Al D’Annunzio alludeva il Pascoli quando ne Il fanciullino scriveva che « il poeta non è un’artista che nielli e ceselli l’oro che altri gli porga ». E` vero che il D’Annunzio assimilò le tendenze più appariscenti e superficiali del Decadentismo europeo, come l’estetismo, il sensualismo, il vitalismo, il panismo, l’ulissismo (inteso però in senso dinamico, attivistico, come ricerca di esperienze sempre nuove ed eccezionali, e non in senso vittimistico, di perseguitato dal destino, come quello del Foscolo), ma ne ignorò il misticismo gnoseologico (ossia la concezione della poesia come strumento di conoscenza del mondo ultrasensibile) ed il dramma della
detto”. Quest’accostamento di referenti diversi e di sfere sensoriali diverse (suono, colore, odore, movimento) è per i futuristi una necessità che si realizza in un nuovo modo di interpretare la realtà. Una poesia “per fare” Nasce così il dinamismo, anzi, il vitalismo sfrenato della narrativa futurista. “Mistici dell’azione” così Marinetti definiva i futuristi. Si tratta dunque di una poesia per fare, una poesia che è sempre sul punto di farsi, una poesia che è sempre e solo presente, anche se è indirizzata al futuro (utopia, figurazioni simboliche, l’assoluto che supera il tempo e lo spazio). Una poesia anche politica, ma di una 3 politica che guarda alla guerra, alla prima linea, alla violenza, alla velocità e all’estremismo. Una poesia intesa come azione o come propaganda alla vigilia dell’azione e quindi come retorica, arte del dire per convincere e per spingere a fare. Dunque, la poesia futurista è pensata per essere declamata, per essere letta ad alta voce, in piazza o in un teatro, dove la forte emozione è preludio di un gesto imminente. I futuristi adottano una struttura sintattica superficiale nella quale ogni argomento arriva all’improvviso, come a seguito di un’esplosione. Ogni discorso pertanto diventa possibile perché non è più censurabile e può essere svolto simultaneamente: attraverso la poesia si possono rendere simultanei sentimenti che quasi sempre erano stati nella forma poetica precedente distanti e divisi. La simultaneità, concetto elaborato dalla pittura prefuturista, mette insieme parole e significati come combustibile di una poesia che aspira a essere fuori di sé, a essere altro: l’azione politica, il suo concreto e il suo astratto, la Guerra e la Rivoluzione come feticcio o divinità, come Totalità in vista di una nuova nascita. L’influenza sulle avanguardie europee Volendo dare una valutazione complessiva del Futurismo italiano, si nota una sostanziale contraddizione tra il violento spirito innovatore dei primi anni e il grigio conformismo ideologico nel quale il movimento finì per spegnersi: i futuristi acclamarono come ‘nuove’ e ‘rigeneranti’ forze e componenti della società che erano in realtà reazionarie e conservatrici. Allo stesso tempo, però, è indiscutibile il contributo apportato dal Futurismo al rinnovamento della prassi poetica attraverso la valorizzazione del rapporto analogico o la dissoluzione delle forme e dei moduli della poesia tradizionale, tanto che esso influenzò decisamente tutte le successive avanguardie europee.
che voglio parlare di lui, proprio di lui e non attribuirgli un nome finto, perché quel nome finto è pur sempre un velo fra me e la realtà, è qualcosa che mi ritarda, anche di poco, ma mi ritarda il contatto integrale con la sua realtà e di conseguenza la spinta a intervenire per modificare questa realtà." Da queste parole di Zavattini emergono almeno due aspetti fondamentali delle tematiche del neorealismo: il riferimento all'attualità e l'impegno personale dell’artista. Il riferimento all'attualità si esprime, sia nelle opere letterarie sia in quelle cinematografiche, con la trattazione dei seguenti contenuti:
problematica, il rischio di cadere in una rappresentazione della realtà in maniera limitata e superficiale, come avrebbe fatto il naturalismo, secondo il filosofo ungherese György Lukács. Il realismo sarebbe, secondo il filosofo ungherese, una sintesi in cui sono concentrati i caratteri essenziali di un'epoca in tutte le sue contraddizioni: "La profonda conoscenza della vita non si arresta mai all'osservazione della realtà quotidiana, ma consiste invece nella capacità di cogliere gli elementi essenziali e d'inventare, in base ad essi caratteri e situazioni che sono assolutamente impossibili nella vita quotidiana, e che tuttavia sono in grado di rivelare, nella luce della suprema dialettica delle contraddizioni, quelle tendenze, quelle forze operanti la cui azione è malamente visibile nella penombra della vita di tutti i giorni". (Il marxismo e la critica letteraria, Torino, Einaudi 1964, Pag. 335). Per quanto riguarda i temi, nel clima del dopoguerra, il neorealismo si propone di
La neoavanguardia fu un movimento letterario italiano del Novecento che si caratterizzò per la forte tensione nella sperimentazione formale. Il movimento della neoavanguardia, che aveva caratteri differenti dall'avanguardia storica, andò manifestandosi soprattutto nella prima metà degli anni sessanta e interessò soprattutto la poesia, ma anche la prosa. Esso era stato promosso ed in parte preceduto, a partire dal 1956, dalle ricerche della rivista diretta da Luciano Anceschi, Il Verri. A questo movimento collaborarono molti validi scrittori come Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, Umberto Eco, Antonio Porta, Elio Pagliarani, Alfredo Giuliani, Giorgio Manganelli, Luigi Malerba, Germano Lombardi, Francesco Leonetti, Alberto Gozzi, Massimo Ferretti, Franco Lucentini, Amelia Rosselli e altri. I caratteri della neoavanguardia si presentano simili a quelli del futurismo e sarà proprio ad alcuni studiosi e critici del movimento che si deve la rivalutazione del futurismo italiano. Non è molto facile delineare un panorama ideologico della neovanguardia a causa delle differenze tra i vari scrittori, anche se si può affermare che in comune a tutti vi era il rifiuto dell'ideologia neocapitalista e nello stesso tempo il disprezzo per l'intimismo crepuscolare, che avevano caratterizzato fino a quel momento tutta la poesia del Novecento.
interiore e influirono decisamente sulla sua formazione intellettuale. Nel 1808 si sposò con Enrichetta Blondel di famiglia ginevrina residente a Milano, e il matrimonio fu un’altra esperienza decisiva, sia per l’affetto profondo che lo legò alla moglie, sia per l’influsso che questa, calvinista fervente, esercitò sulla vita interiore del marito. Presto, infatti, emerse la divergenza fra lui, non ateo ma indifferente al problema religioso, e lei, educata severamente in un confessione diversa da quella in cui era cresciuto Manzoni. La nascita di una figlia rese più acuto il problema: Enrichetta avvertì con dolore la diversità tra la sua fede e quella familiare del marito, e a Parigi maturò la conversione al cattolicesimo. Così il problema religioso si presentò anche a Manzoni che lo affrontò con la serietà pensosa che gli era propria. Per questa conversione Manzoni sottopose la sua vita esteriore e interiore, sentimentale e intellettuale al vaglio discriminante della fede, nello sforzo di mettere in armonia la sua attività con quella religione cattolica che egli vedeva a capo e in fine di tutte le questioni morali. Ebbe inizio un periodo di lavoro e di studi lontano dagli altri, in una cerchia limitata di affetti, Manzoni coltiva i suoi campi, si occupa di bozzoli e api, legge i classici, medita e avvolge la sua vita interiore con un raccoglimento sereno nonostante i primi problemi di salute di Enrichetta, i malanni della madre e le malattie dei figli. La sua vita dal 1810 al 1833 (anno della morte di Enrichetta) si identificò con le sue opere. Manzoni si accostò alle tesi romantiche e seguì con interesse le polemiche letterarie dell’epoca. La morte di Enrichetta la visse come un’ingiustizia assurda e scrisse un frammento di una lirica, il Natale del 33. Più tardi si sposò con una donna assai inferiore intellettualmente, Teresa Stampa , si manifestano diversi contrasti tra i figli la moglie e la sua vecchiaia diventa sempre più grigia in cui la tristezza traspare da certi passi di alcune sue lettere. Nel 1861 fu nominato senatore del Regno. Morì a Milano nel 1873.
La storia interiore La formazione di Manzoni è legata letteralmente agli studi classici e al Neoclassicismo pare certo che alla formazione settecentesca e ai contatti che ebbe a Parigi si possono far risalire alcuni atteggiamenti che poi furono costanti del suo ragionare e del suo scrivere. Manzoni si accostò agli storici liberali francesi della Restaurazione traendo da essi il gusto di una storiografia che studiasse la vita e le vicende dei milioni di uomini passati sulla terra senza lasciare traccia del loro passaggio, dei milioni di Renzo e di Lucia che una storiografia paganamente aristocratica aveva trascurato. Il primo scritto di Manzoni è “il Trionfo della libertà” composto nel 1801. In seguito tra il 1802 e il 1805 compose altri versi che si ispiravano ai modelli di Parini e Alfieri. Nel 1805 scrisse il Carme in morte di Carlo Imbonati, per la prima volta Manzoni compose versi che erano un programma di comportamento e di arte, di integrità morale e di serietà artistica. Col Carme l’opera giovanile di Manzoni si chiuse, perché le due operette che seguirono, Urania e Parteneide non segnarono passi in avanti. In seguito tra il 1812 e 1815 Manzoni progettò di comporre dodici inni che cantassero gli avvenimenti principali dell’anno liturgico ne scrisse quattro: il Natale, la Passione, la Resurrezione, Il nome di Maria e un quinto la Pentecoste che fu terminato più avanti. Attraverso queste opere Manzoni conquista un suo cristianesimo; l’antica fede ricca di tradizioni e di fermenti, s’incontrò con le aspirazioni di Manzoni, uomo della Restaurazione e del Risorgimento italiano, ed egli poté riportare a essa i moti suoi e del suo tempo, quelli, almeno, che era in grado di cogliere e di esprimere. Nel Manzoni la morale e la storia erano una cosa sola, una discesa, tutte e due dal soprannaturale all’umano. La poesia individualistica dell’uomo svela la sua vanità il giorno in cui il poeta, attraverso la fede scopre la serietà della storia, la dignità dell’uomo, il senso del nostro soffrire e operare attraverso la provvidenza di Dio. Per Manzoni la storia è una cosa troppo seria perché uno scrittore possa manipolarla a suo arbitrio, il compito del poeta non è inventare dei fatti ma scoprire la verità umana e morale che è implicata nei fatti. Manzoni sosteneva che la storia non dice quello che gli uomini hanno compiuto ma ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni e i loro progetti, i loro successi e i loro insuccessi, i discorsi con i quali hanno fatto prevalere le loro passioni e tutto ciò è il dominio della poesia.
I Promessi sposi Nel 1821, Manzoni iniziò e portò a termine un romanzo con il titolo di Fermo e Lucia, in seguito nel 1827 lo riscrisse con il titolo di Promessi sposi e lo pubblicò. Il romanzo viene considerato “storico” in duplice senso, in quanto attorno alle vicende dei due protagonisti ricostruiva la condizione umana della Lombardia intorno al 1630 negli anni del dominio spagnolo e la ricostruzione del passato e della vita degli umili. Misto di storia e di invenzione, il romanzo fu per Manzoni narrazione di una vicenda privata sullo sfondo delle vicende di un paese e un popolo. L’umile vicenda privata di un filatore di seta e di una popolana, Renzo
Tramaglino e Lucia Mondella a cui un signorotto del paese vieta di sposarsi, e che al matrimonio arrivano dopo molte traversie dolorose, è tutt’uno con le vicende non solo della Lombardia spagnola ma della Spagna e di altre grandi potenze, l’intreccio con la carestia a Milano, la guerra del Monferrato, la calata in Italia dei Lanzichenecchi, la peste. Il villaggio cede il posto a Milano, i piccoli intrighi, le prepotenze meschine di Don Rodrigo, il timore di un curato di campagna fanno largo agli intrighi della grande politica, al conte zio, al padre provinciale, al governatore di Milano. L’amore di due giovani contadini si intrica con le passioni di grandi e potenti. Nell’introduzione al romanzo Manzoni dichiara di essere incapace di narrare le imprese di principi e potenti e afferma di limitarsi a scrivere fatti accaduti a gente di piccolo affare. I valori terreni dunque vengono capovolti, i personaggi di autorità sono spogliati delle loro vesti sontuose guardati nella loro miseria intellettuale e morale, condannati per l’egoismo, la prepotenza, l’orgoglio, con cui adoperano il potere. Un potere verso il quale Manzoni ha un atteggiamento radicale di incomprensione e di rifiuto. Manzoni vede dietro all’atteggiamento dell’uomo la Divina Provvidenza alla quale l’uomo non può sottrarsi. I potenti vengono svalutati attraverso l’intervento della giustizia di Dio. Manzoni svaluta anche la falsa cultura, cioè il sapere presuntuoso e borioso che, sprezzando la verità rivelata pretende di fare da sé e si costruisce sistemi fallaci e ridicoli. Nel racconto Manzoni inserisce delle sue osservazioni a cui non può rinunciare. Il romanzo è tutto punteggiato dalle battute dell’autore. L’umorismo di Manzoni si intromette in forma a volte amara, a volte pensosa, a volte grave e sferzante come se volesse sollevare delle meditazioni al lettore. I personaggi La novità di questo romanzo è la scelta dei protagonisti, per la prima volta non ci troviamo di fronte a personaggi nobili e famosi, ma a due umili popolani. Manzoni vuole rappresentare nel romanzo la lotta tra bene e male, perciò i personaggi appartengono ai due diversi schieramenti di coloro che agiscono positivamente o negativamente nella storia.
LA VITA E LE OPERE Nella sua vita si dedicò a una multiforme attività letteraria, culminata nel fresco romanzo Le confessioni d'un Italiano , pubblicato postumo. Ma Nievo fu anche un intellettuale attento e partecipe alle vicende storiche, politiche e sociali del suo tempo, uno dei pochi che comprese il peso che le masse contadine avevano negli equilibri complessivi della nazione italiana ancora in via di formazione. La vita. Ippolito Nievo nacque a Padova nel 1831, da famiglia nobile. Si iscrisse alla facol 737f56h tà di legge, dedicandosi nel contempo al giornalismo e alla letteratura. Non intraprese la professione giuridica, ma intensificò 1'a ttività di pubblicista e di scrittore. Sull'onda dell'entusiasmo per il pensiero di Mazzini, partecipò alla campagna dei Cacciatori delle Alpi guidato da Garibaldi, combattendo in Valtellina e sullo Stelvio. L'anno seguente s'imbarcò con lo stesso Garibaldi per prendere parte all'impresa dei Mille. Morì nel 1861. Le opere di Nievo: più generi. La produzione di Nievo è assai vasta, così come particolarmente ampia è la gamma di generi che essa tocca: dal racconto parodistico alle novelle d'ambiente campagnolo sino al romanzo delle Confessioni. Ma Nievo fu anche poeta, autore di teatro e interessante saggista. Il romanzetto satirico e polemico Antiafrodisiaco per l'amor platonico è stato scritto in seguito a una deludente vicenda amorosa. A livello linguistico la prosa nieviana è caratterizzata dalla compresenza di elementi molto diversi fra loro: la pagina di Nievo tende a fondere l'elemento aulico e letterario con quello popolare e dialettale. In Storia del secolo passato , la vicenda è ambientata negli anni della decadenza della Repubblica Veneta. Nievo cerca di ricreare l'ambiente dell'epoca attraverso l'analisi della situazione storica e la ricostruzione linguistica. Ma se da una parte la cornice storica finisce coll'appesantire l'azione narrativa, dall'altra nella lingua si constata un'eccessiva preminenza del registro aulico e arcaicizzante. Viene pubblicata su varie riviste una serie di racconti di ambientazione campagnola, che avrebbero dovuto essere raccolti in un volume dal titolo Novelliere campagnuolo. Alcuni di questi racconti testimoniano l'evoluzione della tecnica narrativa nieviana: l'aderenza alla realtà e una certa felicità espressiva ne fanno le prove più convincenti del filone della letteratura campagnola. Nievo fu uno dei pochi intellettuali risorgimentali a comprendere la necessità di un coinvolgimento attivo delle masse contadine nel moto indipendentistico nazionale e nella costruzione dello stato unitario.
LE CONFESSIONI D'UN ITALIANO
Il romanzo le confessioni d'un italiano venne pubblicato, dopo la morte precoce e improvvisa di Nievo, con ampie modifiche rispetto all'originale manoscritto: a partire dal titolo stesso, mutato in Confessioni di un Ottuagenario perché il pubblico non prendesse il libro per un romanzo "politico" quale in realtà era. L'edizione fiorentina suddivide inoltre la materia del romanzo in due volumi, mentre il piano di Nievo prevedeva una tripartizione. Gli interventi hanno alterato l'aspetto linguistico dell'opera, normalizzando la lingua di Nievo dal punto di vista fonetico e morfologico.
L'intreccio. Il libro porta il titolo di Confessioni , si immagina scritto in prima persona da un ultraottantenne che ripercorre le tappe della sua lunga vita. Il racconto risulta dal continuo incrociarsi e sovrapporsi del piano personale e di quello storico.
Il ritratto femminile della Pisana. Fra i personaggi del libro spicca soprattutto quello della Pisana, una figura assolutamente estranea agli stereotipi femminili proposti dalla letteratura italiana dell'epoca. Il suo spirito d'indipendenza, l'anticonformismo del suo comportamento e una pronunciata sensualità la pongono agli antipodi della Lucia manzoniana, e la rendono complementare al personaggio assennato e modesto di Carlo. Il loro amore è uno dei motivi più vivaci e originali del romanzo.
L'elemento politico. Il protagonista è testimone degli avvenimenti raccontati e attraverso le sue vicende assistiamo allo sviluppo della coscienza nazionale del Paese. Le continue peregrinazioni per l'Italia lo portano nei maggiori centri insurrezionali della penisola e sottopongono al lettore una realtà variegata e contraddittoria. Questa attenzione alle componenti regionali collega Nievo a quella corrente di pensiero federalista e ne accresce l'interesse storico-ideologico.
I modelli narratvi e linguistici. Ricca è la varietà di tradizioni e generi che si intersecano nell'opera: il romanzo storico, ma di storia recente, quella dell'Italia in via di formazione e in particolare quella di Venezia; gli accenti lirici propri dell'idillio campestre e del genere campagnolo, un mondo destinato a scomparire e affettuosamente rievocato tra nostalgia e senso della distanza; la scrittura saggistica e di riflessione morale, nelle digressioni documentarie e negli interventi dell'autore su temi e argomenti vari; il romanzo di avventure e di viaggio. Ma l'elemento predominante è il modello del moderno ed europeo "romanzo di formazione". Le frequenti digressioni, il carattere grottesco di certi episodi, la satira caricaturale che investe alcuni personaggi del mondo di Fratta, la stessa autoironia del narratore sono tutti tratti che richiamano Sterne. Non mancano spunti e movenze tipiche del melodramma o della narrativa popolare.
L'orientamento plurilinguistico. Alla pluralità di modelli di racconto e di scrittura fa riscontro l'orientamento plurilinguistico: termini aulici e vocaboli della tradizione comica e vernacolare toscana convivono con voci di sapore dialettale e regionale, secondo 1'amalgama teorizzato negli Studi sulla poesia popolare e qui realizzato con molto più equilibrio rispetto ai romanzi precedenti. In modo significativo lo scrittore si discosta dal monolinguismo fiorentinista proposto da Manzoni, avvicinandosi al linguaggio composito della ventisettana. Tale opzione è determinata da intenti espressivi più che mimetici: nei dialoghi come nelle parti narrative predomina un linguaggio medio, mentre la parlata dei vari personaggi è quasi uniformata dal filtro della voce del narratore-protagonista.
Giosuè Carducci nacque a Val di Castello (Pietrasanta, Lucca) il 27 luglio del 1835. Il padre era un medico condotto che educò il figlio agli ideali risorgimentali e repubblicani. La fanciullezza Giosuè la trascorse spensierata nei borghi della Maremma a Bolgheri ma nel 1948 il padre, per aver partecipato ai moti liberali, perdette l’impiego e dovette trasferire la famiglia a Firenze, dove Giosuè frequentò le scuole degli Scolopi, distinguendosi negli studi letterari e retorici. Nel 1853 vinse un concorso e ottenne un posto di convittore alla Scuola normale di Pisa, poi si iscrisse alla Facoltà di Lettere, dove conseguì il diploma di magistero svolgendo un tesi sulla poesia cavalleresca. Nel soggiorno di Pisa il giovane scrisse agli amici fiorentini
numerose lettere, che interessano per gli spunti vivamente polemici nei riguardi dell’insegnamento conservatore e della letteratura italiana di quegli anni di tendenza politicamente moderata, troppo legata all’imitazione dei modi manzoniani e all’ideologia cattolica. Si era unito a Giuseppe Chiarini, Ottavio Targioni Tozzetti e Giuseppe Tomaso Gargani nella società letteraria degli “amici pedanti” i quali intendevano ribellarsi alla moda romantica in nome delle tradizioni nazionali. Nel 1856 ottenne una cattedra al ginnasio di san Miniato al Tedesco, dove pubblicò il primo libro di Rime. In quello stesso anno morì suo fratello, Dante, suicidatosi forse dopo un litigio con il padre e dopo circa un anno morì suo padre che si uccise o per il dolore della perdita del figlio o per il rimorso. Il 7 marzo 1859 sposò sua cugina Elvira Menicucci, dalla quale ebbe cinque figli. Nel 1870 fu di nuovo colpito da gravi lutti famigliari con la morte della madre e del figlioletto Dante a cui dedicò la poesia “Pianto antico”. La famiglia Carducci si trovò in condizioni economiche difficili, e il poeta dovette lavorare come editore e curatore di testi. Sospettato dalla polizia per le sue idee filo‐repubblicane il 9 aprile del 1858 venne sospeso dall’insegnamento ma l’anno dopo riottenne un incarico di insegnante di Latino e Greco presso il Liceo Classico Nicolò Forteguerri di Pistoia. Con decreto del 26 settembre 1860 gli venne affidato dall’allora Ministro della Pubblica Istruzione Terenzio Mamiani Della Rovere la cattedra di Eloquenza Italiana, in seguito chiamata Letteratura Italiana presso l’Università di Bologna dove rimase fino al 1904. Pubblicò nel frattempo Juvenilia, che raccoglie tutte le poesie del decennio precedente. Da quell’anno in poi il Carducci trascorse una vita assai tranquilla, dedicandosi completamente alla poesia e all’insegnamento, circondato dal favore crescente del pubblico e considerato sempre più come una gloria nazionale. Nel 1890 venne nominato senatore e sostenne la politica di Crispi e nel 1906 ricevette il premio Nobel per la letteratura, consegnatogli poco tempo prima della morte, seguita nel 1907 per una grave malattia che lo affliggeva dal 1899.
La poetica Carducci ritiene che il poeta debba svolgere la missione di confortare gli uomini, oppressi dalla contraddizione fra gli ideali e l'amara realtà(si allontana dagli ultimi romantici e dagli ideali del suo tempo perchè deluso dal contrasto tra i grandi ideali del Risorgimento e la miseria della realtà italiana dopo le guerre di indipendenza) , con le immagini dell'armonia e del bello. Egli è contro il romanticismo perchè in questo vede il rifiuto della -tradizione patria-, vede, poi, sentimentalismo e malattia, perchè vide anche in questo, lamento e fantasticheria, che secondo lui rendono deboli. Carducci ama invece il classicismo, che per lui vuole dire armonia, chiarezza e cultura della bellezza (culto), della forma che egli considerava molto importante. Diceva che per rinnovare la forma, bisognava rifarsi alla grande tradizione italiana da Dante, Parini, Alfieri fino al Foscolo. Il poeta vuole contribuire a formare la coscienza civile dei suoi concittadini, e deve spronare a nobili ed eroiche azioni narrando le imprese degli antichi. Il poeta deve anche accendere gli animi agli ideali religiosi e patriottici: Carducci viene considerato il "poeta vate" cioè il poeta simbolo della nazione italiana. Lui rifiuta la poesia moderna che da Leopardi in poi non si riteneva più obbligata a seguire le regole della metrica. Egli nelle Rime nuove segue la tradizione dei modelli italiani e nelle Odi barbare applica le regole della metrica greca e latina.. Carducci dice che il poeta non è un servo dei potenti ma un grande artiere, un fabbro, che lavora sull'incudine: il pensiero, le memorie patrie, la libertà e la bellezza, i sentimenti familiari. In questi concetti si vede un certo -parnassianesimo- che si avrà nel Carducci maturo .I Parnassiani erano contro il sentimentalismo della poesia romantica e vogliono un'arte chiara e perfetta nella forma. Il realismo del Carducci è amore dell'oggettivo, del concreto (romanticismo oggettivo) e questo si ha quando Carducci parla di argomenti storici o paesaggi molto forti (di San Martino) e anche amore del classicismo che in lui vuole dire serenità spirituale, ma una poesia precisa e chiara. Bisogna ricordare che Carducci, realista classico e romantico, non accetta il Naturalismo e il Verismo degli scrittori dell'800 nè la poesia troppo umile ma nella sua poesia vi sono pure aspetti inquieti, sognanti che ci possono far pensare al Decadentismo. Carducci per la forza morale del suo realismo è vicino al Verga anche se sono due scrittori diversi: tutti e due hanno dato alla loro età modesta il sentimento dell'eroico: Verga l'ha dato mostrandoci la vita degli umili, come una dura lotta quotidiana ed eroica; Carducci cantando i grandi eroi e i fatti storici, mettendo in questi il suo carattere attivo. E tutti e due gli scrittori, Verga in modo cupo e Carducci in modo luminoso, sono serviti a rinforzare lo spirito nazionale. Nel Carducci ci sono anche motivi romantici: il progresso storico, l'amore della libertà, della giustizia, della patria, la poesia che deve educare, il realismo, l'amore verso il mondo classico e la storia medioevale, in cui vede una vita ideale. Il Carducci sente nostalgia per la storia passata in cui vede la sua Patria ideale soprattutto verso il Medioevo, l'età comunale (il comune rustico, il parlamento). La storia per il Carducci non è solo nostalgia ma anche attualità, cioè deve servire a smuovere gli animi nelle sue poesie ispirate a figure del Risorgimento dove parla di Mazzini, Garibaldi; i