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Qohelet - prospettive storiche, filosofiche, esegetiche, Thesis of Theology

Analisi, traduzione e commento di Qohelet, libro sapienziale dell'antico Testamento.

Typology: Thesis

2017/2018

Uploaded on 10/12/2018

michele-barbaro
michele-barbaro 🇮🇹

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE E BENI CULTURALI
Corso di Laurea Magistrale in Filosofia
QOHELET
Prospettive storiche, esegetiche ed ermeneutiche
Relatore Candidato
Chiar.mo Prof. Silvio Morigi Michele Barbaro
Controrelatori
Chiar.mo Prof. Giuseppe Varnier
Chiar.mo Prof. Mario Micheletti
Anno Accademico 2013/2014
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE STORICHE E BENI CULTURALI

Corso di Laurea Magistrale in Filosofia

QOHELET

Prospettive storiche, esegetiche ed ermeneutiche

Relatore Candidato Chiar.mo Prof. Silvio Morigi Michele Barbaro Controrelatori Chiar.mo Prof. Giuseppe Varnier Chiar.mo Prof. Mario Micheletti Anno Accademico 2013/

«Anche l'operaio vuole il figlio dottore» A mia madre e mio padre, per la pazienza e l'amore.

PREMESSA

Questo lavoro, prima ancora di essere proposta scientifica o esigenza accademica, è da considerarsi come momento fondamentale del mio personalissimo mestiere di vivere. Lo è perché tratta di un libro che, senza alcun dubbio, posso annoverare fra quei pochissimi testi che nel corso di una vita si dimostrano capaci di mutarne radicalmente tutti i caratteri. È stato un impatto titanico quello compiuto da Qohelet sulla mia persona. Che questo libro, con il quale ho maturato un intimissimo dialogo quotidiano, sia diventato l'oggetto della mia prima vera ricerca filosofica , dimostra come sia maturato nel tempo un sempre più profondo legame che mi unisce al testo. Ho letto per la prima volta il libro di Qohelet nella biblioteca di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena. Ho incontrato inizialmente il testo nella versione curata e tradotta da G. Ceronetti per Einaudi (1970). Come poi mi resi conto in seguito, Ceronetti faceva del vecchio Salomone un pensatore più sulfureo di quello che in realtà fosse. La scoperta di un contestatore metafisico così lucido e violento proprio tra le pagine della Bibbia sorprendeva quelle convinzioni che biografia e carriera accademica mi avevano fino a quel momento insegnato. La sorpresa di trovare un pensiero così rigoroso e chiaro, dal primissimo verso fino all'ultimo, colpì immediatamente il mio interesse. Un pensiero che si lasciava seguire senza ricorrere ad artifici rivelatori o profetici, dettato dalla sola forza dell'esperienza e della ragione, capace di arrivare a conclusioni inaspettate per un testo sacro, un testo che, seguendo sempre Ceronetti, era molto vicino al negare Dio ; proprio nel cuore della Bibbia, proprio tra quelle pagine meno attese, molto prima di Camus e Stirner, De Sade e Flaubert, Marx e Ivan Karamazov. La forza distruttrice del testo era amplificata dalla posizione che ricopriva: non solo di fronte a me c'era uno dei testi più chiari e radicali che mi fossero mai capitati tra le mani, ma addirittura questo testo era testo sacro, canone, ortodossia. La commistione di forma e contenuto stimolarono perciò in me la ricerca. Ma la mia idea di Qohelet era ancora legata doppio filo a quella di Ceronetti, il Qohelet più radicale possibile , direi, forse, oggi. Grazie all'aiuto della professoressa S. Ronchey ottenni l'indirizzo di Ceronetti, al quale scrissi immediatamente una lettera, nella speranza di poter cominciare un carteggio rivelatore. Ancora oggi ricordo bene le parole della sua risposta, che stanno ora incorniciate in un quadro sopra il letto a casa mia: «La vecchiaia e gli

affanni che porto impediscono ogni contatto oltre quelli che già ho. ME SU TUTTO!^1 Quanto scritto basta e avanza». Queste le parole di Ceronetti, che liquidavano per sempre la questione. Eppure quel me su tutto continua ancora a parlarmi. Di Ceronetti lessi molto, e velocemente scoprii la grande ricchezza che la Bibbia aveva da offrire. Compresi di come sarebbe stato vano fare sintesi del mondo, arrivare a negarlo addirittura, senza prima aver conosciuto la sua forma più affermativa, la Bibbia. Non vi è pensiero, azione o morale nella nostra cultura che direttamente o indirettamente non sia ad essa legato. Esaurito il mio rapporto con Ceronetti, dopo aver letto quanto riuscivo a reperire, mi imbattei in un altro Qohelet. L'edizione era Mondadori, il volume molto più corposo, la scrittura più ragionata e la traduzione giustificata in ogni suo verso. Il Qohelet di Gianfranco Ravasi mi insegnava un metodo di approccio al testo più quieto e pacato, riflettuto alla luce di scienze quali la filologia e l'esegesi. Scoprivo allora un Qohelet differente, non meno radicale, ma più silenzioso, meno voglioso di contestare e più incline a constatare. Nasceva parallelamente in me il desiderio di arrivare un giorno ad un Qohelet mio, che non avesse filtri, un testo con il quale poter parlare in prima persona. Fu solo mentre mi appassionavo alla lettura di Ravasi, che tracciava studiati collegamenti da questo ad altri testi, che mi accorsi che l'autore del libro non era solo uno studioso appassionato di Qohelet, ma era cardinale della Chiesa di Roma. Di nuovo la sorpresa; un cardinale che non mitigava le parole di Qohelet, anzi, che a volte le rendeva ancora più enigmatiche ed impertinenti. Se per Ceronetti Qohelet contestava il mondo, per Ravasi Qohelet lo osservava nel silenzio, su un crinale pericoloso tra gioia e disperazione. Il caso volle che un giorno incontrai personalmente il cardinale Ravasi, direttore dell'Istituto Pontificio per la Cultura. Sorpreso del mio vivo interesse per Qohelet, mi diede gentilmente il suo contatto privato. Per qualche tempo rispose alle mie questioni ed indirizzò la mia ricerca, che cominciava a farsi organica. Il mio Qohelet non era più né quello di Ceronetti, né quello di Ravasi; cominciava a prendere forma un testo letto e mediato dall'ausilio di tante voci differenti. Nel febbraio del 2013 Papa Benedetto XVI si dimise, il cardinale Ravasi seduto in Conclave, era papabile. Non posso nascondere che, seppur limitato e sporadico, quel carteggio fra me ed un cardinale papabile, rappresentò in quei giorni di inizio Marzo 2013, motivo di grande riflessione. Ovviamente i giorni del Conclave e i mesi seguenti allontanavano da me il cardinale Ravasi, sicuramente impegnato in conversazioni ben più importanti della nostra. A partire da quel tempo la ricerca si fece più scientifica. Decisi ad intraprendere da autodidatta lo 1 In stampatello nella lettera autografa.

Incontrai la prima volta Don Luca in un sabato pomeriggio di novembre, accompagnato da due cari amici, nella canonica della Chiesa della quale egli è parroco. Bivigliano è un paese di poche anime arroccato sugli Appennini fiorentini. L'austerità della piccola chiesa, decorata solo della bellissima ceramica Della Robbia, posta dietro l'altare, già mi indicavano l'importanza dell'incontro che andava compiendosi. Don Luca mi accolse in casa sua, e subito la grande libreria del suo studio mi rivelò la elementarità della mia conoscenza rispetto alla sua. Passammo insieme due ore, nelle quali Don Luca mi chiarì gentilmente molti degli interrogativi che Qohelet ancora mi poneva. Da lì in poi la redazione della tesi si è fatta più metodica. Con il costante aiuto del prof. Morigi, capace di indicarmi nuovi approcci originali al testo, e la preziosa collaborazione del professor Giuseppe Varnier, sempre pronto a correggere gli errori e stimolare una riflessione originale, questo lavoro è giunto a compimento. Quel misterioso pensatore ebraico, Qohelet, l'Ecclesiaste , il concionator di San Girolamo , ora mi è un po' più familiare. È lo stesso Qohelet ad indicarmi continuamente le grandi insidie date dalla sapienza, a stimolare ogni giorno prospettive nuove, ad insegnarmi a non essere mai pago delle mie certezze. Non posso dire perciò di conoscere perfettamente Qohelet, non so se mai lo conoscerò realmente. Quello che posso dire è che, in questo lavoro, frutto di grande passione ed impegno, ho cercato di esporre nella forma più chiara e rigorosa possibile, grazie anche alle molte persone che mi hanno accompagnato, le ragioni che mi hanno spinto a perseverare nella conoscenza di questo fuggitivo pensatore che si fa chiamare Qohelet figlio di Davide re in Gerusalemme.

INTRODUZIONE

Questo lavoro ha per oggetto Qohelet, libro sapienziale dell'Antico Testamento cristiano e appartenente alla terza sezione delle Bibbia ebraica, chiamata Ketuv'im ( tradotti come Scritti o Agiografi ). Questo testo, fra tutti i testi del canone ebraico-cristiano, è quello che probabilmente ha generato la più vivace dialettica tra discipline diverse. Al testo si sono avvicinati, e continuano ad avvicinarsi esegeti, filosofi e letterati. Le ragioni di questo vivo interesse risiedono nel carattere particolarmente controverso del libro. Apparentemente la dottrina espressa da Qohelet non trova eguali in nessuno degli altri scritti della Bibbia ebraica e cristiana. Questa sua originalità è dovuta in parte alla forma narrativa, in parte al messaggio espresso, in parte alla grande lontananza dal pensiero tradizionale ebraico. Il pensiero di Qohelet si struttura seguendo un metodo molto più simile all'indagine filosofica che alla professione di fede. Si crede perciò che si possa e si debba condurre uno studio del testo con strumenti metodologici ed analitici applicabili anche a testi filosofici a lui contemporanei. Questa ricerca si articola in tre capitoli: il primo capitolo corrisponde ad un'indagine storica, il secondo ad un'indagine esegetica ed il terzo ad un'indagine ermeneutica del testo. L'idea che sta alla base di questo progetto è quella di indagare, attraverso l'utilizzo di tre differenti metodi di indagine, le peculiarità, le caratteristiche e le contraddizioni di un testo così originale quale è Qohelet. Si ricorre a queste tre discipline nella convinzione che sia solo attraverso l'utilizzo mediato di questi strumenti che si possa dipingere un'immagine più veritiera possibile del testo. Nel primo capitolo si indaga la sua genesi storica ed il processo evolutivo che lo ha portato a diventare parte del canone ebraico-cristiano. Entrambi i momenti, genesi e canonizzazione del testo, presentano, allo sguardo dello studioso, complesse difficoltà. Per quanto gran parte della critica attesti la scrittura di Qohelet attorno al V-III sec. a. C., risulta comunque difficile arrivare ad una collocazione storica precisa del testo. Stesso discorso vale per l'autore. Chi abbia realmente scritto Qohelet resta un mistero. Lo stesso nome Qohelet, pseudonimo sotto il quale si cela l'autore, presenta complessi problemi interpretativi: l'etimologia del termine rimanda alla radice ebraica qhl, di solito usata nella forma verbale causativa e riflessiva per indicare la convocazione od il raduno di persone in

luce della circolazione del testo in ambienti religiosi (ritrovamento di alcuni frammenti di Qohelet nella quarta grotta di Qumram) e dell'influenza che esso ebbe su altri testi poi diventati canonici (p.e. Siracide) già intorno al 150 a.C. Ci sono però studiosi che contestano questa visione coerente del processo di canonizzazione, esibendo come prova diversi e molteplici testi della sapienza rabbinica ( Midrash, Talmud, Targum ) che contestano la sacralità dello scritto. Ci sono fonti rabbiniche che addirittura accusano il testo d'eresia, e solo dopo il 90 d.C., si può parlare di uniformità del canone ebraico così come è arrivato a noi. La ragione di questa problematicità interpretativa si deve, sostanzialmente, alle modalità redazionali del testo in questione. La sapienza tradizionale ebraica non solo non viene mai menzionata nel libro, ma addirittura, ad un'analisi attenta, sembra essere fortemente contestata. Un secondo momento del processo di canonizzazione concerne l'avvento del cristianesimo la Bibbia cristiana. Qui i problemi critici sono più modesti, Qohelet viene accettato senza particolari opposizioni, così come la quasi totalità degli scritti appartenenti alla Bibbia ebraica. Il fenomeno più rilevante, nel processo di storicizzazione del testo nel canone cristiano, è dato dalla traduzione di Girolamo dall'ebraico al latino. Le scelte operate da Girolamo influenzeranno irrimediabilmente l'interpretazione del testo in Occidente. Si pensi soprattutto al termine habel, centralissimo in Qohelet, che Girolamo tradurrà con il noto vanitas vanitatum, di assai dubbia coerenza semantica. Verrà infine analizzata, in questo primo capitolo, la funzionalità liturgica ricoperta da Qohelet in entrambe le religioni ebraica e cristiana, così da completare un'analisi che muove dalla sua genesi, verte poi sulla sua canonizzazione e infine si conclude con la sua inclusione nella pratica dottrinale e liturgica. Tale indagine storica è necessaria per comprendere le ragioni della grande vivacità critica che ha accompagnato il testo nella sua evoluzione. È convinzione comune che gran parte della fortuna del testo in ambito critico sia giustificata proprio dalla veste sacrale che lo copre, senza la quale Qohelet perderebbe quel carattere radicale e controverso che lo contraddistingue. Il secondo capitolo verte invece su un'analisi esegetica del testo di Qohelet. Dopo aver studiato le problematicità storiche legate al processo di genesi, canonizzazione e distribuzione del libro, ci si concentrerà su quelle proprie del suo contenuto. L'indagine si focalizzerà su una parola particolare che, in linea con la totalità della critica, si considera imprescindibile nella comprensione del pensiero di Qohelet: la parola è habel, che ricorre 38 volte nel testo, sempre in posizione centrale rispetto al contenuto espresso da Qohelet.

Questo sostantivo ricorre più volte in Qohelet che nel resto dell'intera Bibbia, così da assumere nel libro una accezione particolarissima, autonoma e indipendente. Qohelet alterna l'uso di habel con il sintagma habel habalim, genitivo accrescitivo del termine che, come tradotto da Girolamo, verrà reso nelle lingue latine con il notissimo «vanità delle vanità». L'iterazione di termine e del sintagma è talmente presente nel testo che non è possibile separare il pensiero di Qohelet dal significato assunto da tale espressione. Per questa ragione ci si concentrerà su un'analisi approfondita del sostantivo habel. Si rintracceranno tutte le occorenze extra-qoheletiche del termine, così da illustrarne l'evoluzione semantica. Si classificheranno occorrenze legate da un significato comune, si analizzeranno le occorrenze che hanno avuto un rapporto più significativo con il termine così come utilizzato da Qohelet, ed infine si proporrà una via interpretativa nuova. Solo dopo aver giustificato una nuova interpretazione del termine habel sarà possibile cominciare quello studio ermeneutico che verrà approfondito dall'ultimo capitolo. Su tale indagine ermeneutica del testo ci si avvarrà, in particolare, dell'aiuto di René Girard. Il suo contributo, legato alle tematiche del sacrificio, del sistema vittimario e della parabola evolutiva della religione ebraico-cristiana aiuterà nella comprensione di quei contenuti che caratterizzeranno la fortuna ermeneutica di Qohelet. Si mostrerà come la prospettiva interpretativa di Girard, innovativa anche circe testi vetero-testamentari come Genesi e Giobbe, legati indissolubilmente a Qohelet, può condurre ad esiti rilevanti. Sempre allo stesso Girard è legato lo studio del rapporto fra religione ebraica e cristiana, dialettica all'interno della quale Qohelet svolge un ruolo fondamentale. Il terzo capitolo sarà infine, dedicato all'analisi del rapporto che la cultura occidentale ha maturato nei confronti di Qohelet. L'interpretazione, la recezione e la fortuna critica del testo entro la cultura occidentale dimostrano come l'originalità di Qohelet abbia rappresentato uno spunto estremamente rilevante nella costruzione di quell'identità propria del pensiero moderno e contemporaneo, nelle sue modalità sia religiose che atee. Si proporrà un'indagine epistemologica del testo, seguendo quella linea interpretativa che posiziona Qohelet più vicino alla filosofia ellenica che alla sapienza religiosa ebraica. Si noterà come il messaggio di Qohelet sia giustificato alla luce di un peculiare metodo epistemologico e non di un momento rivelatorio o profetico, facendo del testo stesso un unicum nell'impianto religioso ebraico-cristiano. Partendo da questa peculiarità, si arriverà allo studio della recezione nell'epoca moderna di Qohelet. I legami fra modernità e Qohelet sono particolarmente interessanti, vista la propensione del testo a proporsi più come indagatore scettico ed empirista che come profeta teologico. Su questa dialettica

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UN'INDAGINE STORICA

1.1) Inquadramento storico: fra canone e anti-canone Ricostruire il processo evolutivo che ha portato un libro così singolare come Qohelet ad essere parte costitutiva di tutti i principali canoni religiosi ebraico-cristiani, è operazione complessa. L'interesse di tale operazione è però altissimo, perché un'analisi di questo tipo mette in contatto discipline e contesti storico-culturali fondamentali nello spazio esegetico- ermeneutico della filosofia delle religioni. Quando un libro così controverso, affrontando il giudizio del tempo e dello spazio, si impone nella costruzione di un sistema teologico e dottrinale dato, vuol dire che una dialettica canone-anticanone è presente; il dialogo fra istituzionalizzazione storica e messaggio teologico si costruisce perciò su un terreno temporale, le istanze teologiche e storiche si incontrano in quello che possiamo definire “ spazio di azione gnoseologica ”. Frutto dell'incontro di queste istanze opposte e simbiotiche è dunque il canone, che si afferma sempre all'interno di una dialettica storico-teologica. Da una parte il canone acquista riconoscimento dall'alto, un'autorità teologica è tenuta a sancire cosa sia e cosa non sia coerente con la dottrina, dall'altra parte è solo il processo storico e sociale che che conferma l'effettiva diffusione del testo. La particolarità della vicenda canonica di Qohelet consta proprio nella sua evidente eccezionalità: i due poli non solo non sembrano muoversi su piani paralleli, ma addirittura presentano i caratteri della contraddittorietà. I modi e le ragioni che hanno portato ad un concilio di istanze apparentemente opposte, diventano, perciò, dei preziosi strumenti di interpretazione dei concetti fondamentali dello studio qui proposto. L'eccezionalità della vicenda di Qohelet può essere intesa partendo da una introduttiva analisi del messaggio in esso contenuto. La fortuna critica del testo (che non a caso è una delle più vaste tra tutti i libri biblici) sembra concordare sul fatto che il messaggio teologico presente sia quantomeno inusuale^4. A questo riguardo, sembra utile riportare il giudizio di G. von Rad, che descrivendo il rapporto fra messaggio qoheletico e tradizione ebraica parla addirittura di imbarazzo quando si vuole comprendere e 4 Un'analisi approfondita sulle possibili interpretazioni del testo proposte verrà fornita nei capitoli successivi: II) Un'Indagine esegetica e III) Un'indagine ermeneutica.

giustificare le ragioni di tale vicinanza: « chi ha approfondito il confronto di Qohelet con gli insegnamenti della tradizione non potrà così facilmente applaudire questo ribelle solitario. Sarà piuttosto estremamente in imbarazzo per il problema dell'esperienza a cui i due partner del dialogo si riferiscono con tanta insistenza per giungere tuttavia a due conclusioni diverse».^5 Se per canone si intende una collezione omogenea di testi, il Qohelet sfugge continuamente ad una lettura coerente al messaggio teologico ricorrente nell'insieme degli scritti masoterici. Anche quella parte della critica che avanza letture del testo più concilianti alla teologia tradizonale ebraica, non può non constatare l'unicità del testo, all'interno del canone che nel tempo si è imposto. Interesse di questo capitolo è quello di analizzare il processo che ha portato il libro a imporsi in due delle tre grandi religioni monoteistiche. Canone ebraico e cristiano, accettano il testo all'interno della loro grande costruzione narrativa. Questa inclusione dell'opera ha però obbligato, sia nell'intepretazione esegetica che in quella ermeneutica, lo sviluppo di precisi anticorpi. Il processo storico che accompagna il libro nel corso della sua progressiva affermazione è perciò segnato da una costante dialettica di accettazione e giustificazione, come se per un testo del genere servisse continuamente una bibliografia capace di spiegare le ragioni di tale inclusione. Che questo genere di bibliografia sia presente, al di là della sua valenza scientifica, dimostra quanto questo testo abbia offerto alla costruzione di una dialettica che ragiona e rimette continuamente in discussione i propri concetti costitutivi e fondanti. Per poter analizzare i momenti dell'evoluzione e accettazione di Qohelet nel canone ebraico, bisogna per forza considerare il processo storico di genesi, ricezione e interpretazione del testo. Si può affermare con discreta certezza^6 , che i momenti fondativi di questo lungo processo siano tre. Ovviamente il tempo della redazione del testo (V-III sec. a.C.), che pone differenti problemi, sia storici che interpretativi. Il secondo momento è quello della sua effettiva rimessa nel canone: qui identificato con il concilio di Jamnia ( d.C.), e il terzo momento quello della sua inclusione nel Megillot^7 , che attribuisce al testo 5 G. Von Rad, La sapienza in Israele , Marietti, Torino 1975, p. 212; originale tedesco: Die Weisheit in Israel ,

6 La questione dell'accoglienza del testo all'interno del corpus canonico è stata ampiamente dibattuta, per un'esaustiva bibliografia al riguardo, si prenda come riferimento: J. Vìlchez Lìndez, Ecclesiastes o Qohelet (Nueva Biblia esp.; Sap. 3), Estella, Navarra 1994, pp. 94-95. 7 Il Megillot è l'insieme dei cinque libri ( Megillat- rotolo) della Bibbia ebraica che vengono tradizionalmente associati alla celebrazione delle cinque feste ebraiche più importanti.

a.C. e tradotto in greco nel 132 a.C. entra a far parte della Bibbia cristiana ma viene disconosciuto dalla Tanakh e dal canone protestante. Anche se la visione del mondo di Ben Sira si avvicina più al conservatorismo gerosaleo del II sec. a.C. si possono costantemente rintracciare influenze e rimandi alla sapienza qoheletica e a quella dei Proverbi (libro che è molto affine al Qohelet). Ecco due testimonianze di questa vicinanza, che se non si manifesta nelle conclusioni a cui gli autori giungono, è sicuramente presente negli spunti da cui entrambi partono per la loro ricerca: Qo 1: 4; 2: 20-26; 9: 10 ispirano certamente diversi passi dell'Ecclesiastico: «Un destino amaro è riservato ad ogni uomo, un giogo pesante grava sui figli di Abramo, dal giorno della loro nascita dal grembo materno al giorno del loro ritorno alla madre comune» (Sir 40,1-2) Di evidenze della circolazione di Qohelet presso le comunità ebraiche già prima del I sec. d.C. ce ne sono molte altre^11. Quello che però qui è interessante sottolineare è il rapporto fra cultura e sacralità del canone. Ecco che il discorso di Mazzinghi, se ben argomentato nella sua prima parte, quella che afferma una autorità del Qohelet ben antecedente alla sua canonizzazione, non trova larga conferma critica, nelle sue conclusioni. Che esista una continuità fra autorevolezza e sacralità non sembra così evidente. Al contrario, le principali fonti di esegesi ed ermeneutica ebraica ( Midras Qohelet Rabbah, Targum, Talmud, Mishnah ) dimostrano chiaramente quanto questo testo abbia generato una vivacissima dialettica all'interno della comunità stessa. Sancire la sacralità del testo, e perciò la sua ispirazione divina, voleva dire spostare la concezione che del testo si aveva su un piano ontologico completamente differente. Ed è proprio in ragione di questa polemica che Qohelet gode dell'interesse che un grande numero di studi gli attribuisce. È in questo solco, nel concilio dell' auctoritas di un libro con la sacralità di un canone, che si fonda il sistema teologico della religione ebraica. Non è sufficiente riconoscere quanto un testo influenzi la cultura che lo imbraccia, è necessario comprendere e sviscerare tutte le ragioni che fanno di quel testo un testo Sacro. La cultura ebraica, proprio in riferimento a Qohelet, si è posta questo problema. Appunto perché il testo godeva di una certa autorità è stato al centro del dibattito teologico. Che questa questione emerga chiaramente in tutte le fonti 11 Riguardo al dibattito sulla presenza di Qohelet nella cultura ebraica si consiglia, per un approfondimento ed una bibliografia completa, la lettura del capitolo L'accoglienza del Qohelet nel «Canone Ebraico», in L. Mazzinghi, Ho cercato e ho esplorato. Studi sul Qohelet , EDB, Bologna 2009, pp. 93-95.

contemporanee o appena successive a Qohelet dimostra quanto il processo che lo ha portato ad un riconoscimento canonico abbia trasceso la mera constatazione della sua autorità storica. Comprendere il carattere del sacro ebraico vuol dire comprendere il momento nel quale la discussione teologica e l'affermazione storica arrivano ad una comunione d'istanze. È proprio perché Qohelet provoca una crasi evidente fra le due istanze (storico-teologiche) che il testo suscita quell'interesse che gli studi gli consacrano. Se il Qohelet non fosse un libro del canone perderebbe molto del valore che lo accompagna. Il messaggio controverso che viene espresso, lo scetticismo nei confronti dei valori allora correnti, non avrebbero lo stesso impatto erosivo, se di questo libro si testimoniasse solo la sua verità storica. Ma, dal momento in cui, queste questioni sono interne al canone acquistano tutta l'importanza di cui godono. Questa è una constatazione necessaria, quando si vuole affrontare questo testo. La collocazione formale – all'interno della Bibbia ebraica – entro la quale il testo viene presentato, influenzerà radicalmente la ragione e la natura del testo stesso. Ecco che una volta dimostrata la sua autorità storica, come si pensa di aver fatto qui sopra, bisogna studiare e descrivere il processo che porta il testo ad essere riconosciuto in quanto Sacro. 1.2) Canone ebraico Rivolgendo l'attenzione ai libri dei quali abbiamo prova di una esplicita discussione presso le comunità ebraiche dei primi secoli, verrano presi in considerazione quelli che hanno maggiormente arricchito il dibattito fra canone e anti-canone. Fra tutti i libri dei quali conserviamo una testimonianza sul loro status teologico, nessuno è stato più dibattuto del libro di Qohelet. Dopo Qohelet, si dibatte sul Cantico dei Cantici, e dopo di questi solo poche pagine vengono trovate riguardanti i libri di Ruth, Esther, Proverbi e Ezechiele. È possibile che anche i libri di Ezra e Daniele fossero stati discussi, ma tutti i documenti ritrovati non si riferiscono alla questione se questi libri dovessero o non dovessero far parte delle Scritture. Non è possibile perciò indicare per quest'ultimi una precisa collocazione all'interno del dibattito sulla loro canonicità. Appare tra questi anche il libro di Homer, del quale verrà sancita la sua non-sacralità e quindi la sua assenza dal canone, ma del quale si conservano le discussioni a questo riguardo presso le scuole rabbiniche dei primi secoli.

così immediato, come dimostra un altro passaggio della Misnah: «if an Aramaic section was written (translated) in Hebrew, or a Hebrew section was written (translated) in Aramaic, or Hebrew (Phoenician) script, it does not render unclean the hands. It never renders unclean the hands until it is written in the Assyrian (square) script, on hide and in ink.»^14 Appare evidente che il concetto di sporcare le mani sia un concetto cerimoniale, legato alla funzione liturgica del testo e non alla sua resa letteraria. Le traduzioni di testi sacri non sono suscettibili dello stesso giudizio, proprio perché la sacralità del testo è identica alla sua funzione cerimoniale, che si compie solo nella lingua ufficiale della liturgia. Un altro concetto al quale le discussioni rabbiniche fanno spesso riferimento è il concetto di nascondere (Hiding) certi lavori. Anche se, sfortunatamente, questo concetto non viene esplicitamente spiegato quanto il concetto di sporcare le mani , risulta chiaro che il riferimento va verso quei libri che vengono disapprovati dalle autorità rabbiniche. È possibile che un libro fosse ritenuto “nascosto” quando la sua lettura era vietata in pubblico e soprattuto durante le funzioni liturgiche. È anche possibile ipotizzare che tale genere di letture fosse sconsigliata anche in privato, così come sembra indicare il testo di Rabbi Akiba (40-137 d.C.), una delle autorità rabbiniche più importanti in quel preciso momento di canonizzazione del Qohelet: «il mondo che verrà sarà negato a coloro i quali leggono e continuano a leggere i libri nascosti».^15 Dopo aver introdotto i concetti e il contesto dottrinale entro cui si è evoluto il processo storico di canonizzazione del testo, prendiamo in considerazione più precisamente i riferimenti al libro di Qohelet, così come era recepito dalle autorità religiose del primo secolo d.C. Di tutti i libri della Bibbia Ebraica, il Qohelet è l'unico che nel corso della storia sia stato esplicitamente accusato di eresia. Il terzo verso del primo capitolo: “Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?” (Qo 1:3) , sembra sminuire ed equiparare ogni azione che l'uomo possa compiere, compresa l'azione sacra di leggere e pregare la Torah. Di fronte ad un messaggio così radicale, le autorità religiose hanno dato vita ad una polemica della quale conserviamo ampie 14 Ibid. , p. 398. 15 Ibid. , p. 409.

notizie nel Midrash Qohelet Rabbah^16 : «Rabbi Binyamin disse ”i saggi cercarono di nascondere il libro di Qohelet, dopo aver scoperto che esso conteneva espressioni di sapore eretico”»^17. Così come il Midrash ci dice, solo dopo aver concordato che il messaggio di Qo 1: 4 escludeva la preghiera dalla sua terrificante equiparazione, le accuse di eresia sono cadute. Un altro verso che ha suscitato polemica è Qo 11: 9: «Segui pure le vie del tuo cuore, e i desideri dei tuoi occhi» , i commentatori, così come il Midras Qohelet Rabbah , il Targum , il Mishnah e il Talmud , concordano nel reputare questo un verso pericoloso: «Rabbi Semu disse: “ i saggi cercarono di celare il libro di Qohelet, perché in esso trovarono parole che tendevano all'eresia”»^18. Sembra che Qohelet qui esorti a seguire la propria legge piuttosto che la legge di Dio. A questo messaggio i commentatori si oppongono, giustificando il testo solo alla luce della nota che appare nell'ultimo capitolo di Qohelet^19 : «Temi Dio e ascolta i suoi comandamenti, perché questo per l'uomo è tutto» (Qo 12:13). Il Qohelet è stato anche spesso accusato di essere sia in contraddizione che in contrasto con i messaggi presenti nelle Scritture. In aggiunta ai passaggi già proposti, altri versi sembrano opporsi esplicitamente ai precetti delle Scritture: “Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e per l'empio, per il puro e per l'impuro, per chi offre sacrifici e per chi non li offre, per il buono e per il malvagio, per chi giura e per chi teme di giurare” (Qo 9: 2) Rabbi Judah (135-188 d.C.) contesta il messaggio di Qohelet: “The Sages wished to hide the Book of Ecclesiastes, because its words are self-contradictory; yet why did they not hide it?” , e «allora perché non lo nascosero?» si domanda l'influente rabbino del secondo secolo d.C. Sempre nelle stesso passo del Talmud babilonese, rabbi Judah da una risposta: «Because its beginning is religious teaching and its end is religious teaching. Its beginning is 16 Il Midrash Qohelet Rabbah è un commento al libro di Qohelet frutto della lunga tradizione esegetica rabbinica. Questo commento di Qohelet viene generalmente incluso nella collezione più ambia di testi commentati, comprendente Torah ( Midrash Rabbah ) e Magillot. 17 Midrash Qohelet Rabbah, I-4 in Qohelet Rabbah: midraš sul libro dell'Ecclesiaste, a cura di P. Mancuso, Giuntina, Milano 2004, p. 55. 18 Ibid. , p. 373. 19 L'epilogo di Qohelet (12:9-14) è ritenuto da gran parte della critica un'aggiunta successiva al testo, probabilmente ad opera di un redattore che cercava di riportare il controverso messaggio del libro ad una più coerente visione teologica tradizionale.