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Una dettagliata analisi del racconto in prima persona di lazarillo de tormes, un ragazzo povero e malfortunato che attraverso una serie di avventure e burla riesce a raggiungere la prosperità e il benessere materiale. L'obiettivo della narrazione, i personaggi principali, la struttura del racconto e l'evoluzione del rapporto di lazarillo nei confronti dei personaggi principali. Utile per chi studia la letteratura spagnola del xvi secolo e la narrativa autobiografica.
Typology: Lecture notes
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Argomenti esonero 26/
La vida de Lazarillo de Tormes y de sus fortunas y adversidades , è un racconto in prima persona di Lazzaro, nato povero e disgraziato, il quale, richiesto da una persona di alto rango elevato di essere informata su una certa diceria giunta ai suoi orecchi, e quindi decide di raccontare per esteso alcuni eventi della sua miserabile esistenza, dalla nascita vergognosa , come figlio di un mugnaio ladro e di una lavandaia, che rimasta vedova, si fa mantenere da uno stalliere moro, sino al raggiungimento della prosperità e del benessere materiale , ottenuti grazie al conseguimento
dell’impiego pubblico come banditore di vino e dell’inconfessabile condiscendenza e consapevolezza nei confronti della tresca che la moglie mantiene con l’arciprete di San Salvatore. Per comprendere al meglio l’opera è utile andare al punto esatto in Lazzaro nel prologo annuncia l’origine e il proposito della narrazione “E poiché Vossignoria scrive che le si scriva e racconti il caso per esteso, mi è parso giusto di prenderlo non dal mezzo, ma dal principio, perché si abbia intera notizia della mia persona”. In questo punto della narrazione il lettore non sa chi sia Vossignoria , né sospetta a cosa costui sia interessato quando chiede per iscritto di essere informato sul caso. Bisognerà attendere la conclusione dell’opera quando il lettore apprenderà che Vossignoria è interessato a saperne di più sul caso, ovvero su alcune dicerie riguardo la relazione tra la moglie di Lazzaro e l’arciprete di San Salvatore, amico e servitore del destinatario. Ecco perché raccontare la propria vita significa anche difendersi da quella che lui vorrebbe far passare per una diceria, diretta ad offendere la sua reputazione. Lazzaro quindi non soddisfa in forma diretta alla curiosità di Vossignoria , alla cui richiesta risponde scegliendo di raccontare la sua vita secondo un ordine cronologico “prenderlo non dal mezzo ma dal principio”. Si potrebbe pensare che l’opera sia caratterizzata da una struttura aperta, come avveniva per il romanzo cavalleresco con la suddivisione dei vari capitoli ma in realtà ci troviamo davanti ad una struttura chiusa , circolare, poiché tutti gli avvenimenti sono considerati tutti insieme e che servono a dar conto dell’individuo che è Lazzaro, perché solo attraverso la conoscenza di questi episodi è possibile comprendere la persona che egli è o che meglio è diventato. Ma chi è Vossignoria? E, soprattutto cosa lo spinge a voler sapere del caso? L’anonimo autore di Lazarillo copre l’identità di questo destinatario interno, alla quale si deve, peraltro, l’iniziativa della lettera autobiografica di Lazzaro. Nessuna informazione ci può aiutare a capire chi è, ad eccezione di un riferimento presente nell’ultimo capitolo, quando viene menzionato l’arciprete di San Salvatore “servitore e amico” di Vuestra Merced. Quindi quasi al termine della lettera, il lettore scopre che Vossignoria è qualcuno che conosce l’arciprete. Gli unici dati sull’identità di Vossignoria si limitano al fatto che egli ha una personalità di rango superiore, legata appunto dal rapporto con l’arciprete. L’unica cosa che lega Lazzaro con il destinatario è quindi che entrambi si intrattengono con lui. Resta da capire come mai Vossignoria sia interessato a sapere ciò di cui si mormora e soprattutto perché mai decide di rivolgersi per iscritto all’umile Lazzaro e non direttamente all’amico arciprete. Ciò che è certo è che il racconto autobiografico di Lazzaro è un’ epistola. Il buon porto, tema principale dell’opera e il carattere esemplare della vicenda esistenziale di Lazzaro Tutto ciò è possibile individuarlo in un passo del prologo dove Lazzaro dice: “e anche perché coloro i quali ereditarono un nobile stato considerino quanto poco gli sia dovuto, poiché Fortuna fu con essi parziale, e quanto più fecero coloro che, avendola avversa, con forza e destrezza remando giunsero a buon porto”. Con la metafora del “buon porto” non si limita ad esporre l’argomento nel solo passo d’esordio, ma vi ritorna in vari modi e in diversi luoghi del testo. Un altro termine che riassume al meglio il tema del romanzo è “ medrar ”, ossia il desiderio di migliorare la propria condizione sociale. Termine che spicca maggiormente nell’ultimo capitolo quando Lazzaro decide di ascoltare il consiglio dell’arciprete e di continuare a beneficiare dei suoi favori materiali, a cambio di quelli prestati dalla moglie. Per cui scegliendo di non dare ascolto alle
Il prologo è rivolto a Vuestra Merced e anche al lettore, quindi abbiamo la presenza di un destinatario interno (Vossignoria) e un destinatario esterno (il lettore), il quale vede la realtà attraverso Lazzaro Obiettivi della narrazione Spiccano nella narrazione diversi obiettivi come quello dell’ intrattenimento come afferma lo stesso Lazzaro all’inizio del prologo “pues podria ser que alguno que las lea halle algo que le agrade, y a los que no ahondaren tanto los deleite” (potrebbe accadere che qualcuno, leggendole, vi trovi qualcosa che gli aggradi e che diverta coloro che non vanno tanto in fondo) o ancora quando dice “sino que a todos se comunicase, mayormente siendo sin perjuicio y pudiendo sacar de ella algun fruto.” (a tutti comunicata, specie se non fa danno e se ne può cavare qualche frutto) e ancora nella citazione di Cicerone, secondo la quale “L’onore alimenta le arti”. Un altro obiettivo è spiegare il caso (in diretto contatto con il racconto della sua vita) : con questo termine, oggetto della formula epistolare “scrive che le si scriva”, e di uso comune per definire il tema della lettera, Lazzaro-autore allude, da un lato, al menage a trois , a cui Lazzaro-narratore farà riferimento alla fine della narrazione, dall’altro lato, alla motivazione che giustifica la richiesta di Vossignoria e, di conseguenza, il suo stesso racconto autobiografico (che è un altro obiettivo della narrazione, che serve, attraverso le sue vicende, da insegnamento) Spiegare il caso significa anche difendersi insieme ad un’altra finalità che è quella del “buen puerto”, cioè : anche coloro che non sono stati ben voluti dalla Fortuna possono raggiungere la prosperità e felicità, quindi si allaccia all’ascesa sociale di Lazzaro. Che stile usa l’autore Per quanto riguarda lo stile viene espresso in un frammento del prologo nel quale Lazzaro-autore dice: “Così vanno le cose, per cui, confessando di non essere più santo dei miei simili, di quest’inezia che in quest’umile stile (estilo grosero) scrivo, non mi dispiacerà che partecipino e se ne dilettino tutti quelli che dovessero trovare in essa qualche motivo di piacere…”. Delle lettere dove si narrano i casi o le vicende private, Cicerone stabiliva che esse si dovessero scrivere con parole correnti e quotidianequitidiane. Qui fa riferimento alla teoria degli stili classici, secondo la quale a una determinata materia deve corrispondere uno stile adeguato (alle cose di poco conto).
Si nota sicuramente il forte legame logico e semantico tra la fine del Prologo e l’inizio del capitolo col racconto della nascita. Il Pues iniziale connette il “caso” (che viene solo accennato nel Prologo), sul quale Vossignoria chiede notizie, con il principio del racconto autobiografico, di cui la nascita è l’episodio iniziale. All’inizio del trattato , quindi, Lazzaro presenta se stesso a Vossignoria, dice da dove viene, di chi è figlio e da dove proviene il suo nome. Lazzaro del Tormes, figlio di un mugnaio ladro e di una lavandaia nacque nel fiume Tormes da cui prese il nome, il quale si riallaccia all’uso aristocratico, adottato ai personaggi di finzione e che quindi si differenzia rispetto ai nomi comuni dei genitori.
Lo notiamo sin dall’inizio , quando Lazzaro presenta al lettore e di conseguenza dà notizia a Vuestra Merced della sua provenienza e in particolare quando parla dei suoi genitori, figlio di un mugnaio ladro e di una lavandaia, che lo partorisce sul fiume Tormes. Già alla origini o anche nei romanzi di cavalleria, chi nasceva in una città o nei fiumi o veniva abbandonato lì, prendeva il cognome del luogo. Però ecco che abbiamo un ribaltamento nel nome di Lazzaro de Tormes, la cui particella “de” è un richiamo ai personaggi nobili della tradizione letteraria contemporanea, per esempio l’Amadis de Gaula, che anche lui come Lazzaro era un figlio del fiume. Quindi nel nome di Lazarillo si nota un parallelismo con l’Amadis, naturalemente, in chiave ironica. Espressioni per comprendere le umili origini di Lazzaro : “Mi nacimiento fue dentro el rio Tormes, por la cual causa tome el sobrenombre, y fue de esta manera: mi padre ... tenia cargo de proveer una molienda de una acena que esta ribera de aquel rio.”
Nel momento in cui Lazzaro parla della madre, la quale rimasta vedova comincia a frequentare le scuderie, viene presentato un nuovo personaggio: Zaide, un moro che frequenta la madre. Lazzaro, al principio dell’arrivo di Zaide aveva paura “viendo el color y mal gesto que tenia” e anche del rapporto con la madre. Ma vedendo che con il suo arrivo i pasti miglioravano, Lazzaro comincia a volergli bene, proprio perché sfamava la famiglia e quindi capiamo che la presenza di questo nuovo personaggio porta alla sopravvivenza di Lazzaro e la sua famiglia. (prevale la legge dell’utile )
in cui si fa portavoce Lazzaro? A proposito della madre di Lazzaro riecheggia un noto proverbio “arrimate a los buenos, seras uno de ellos”, per dire che il miglior modo per agire virtuosamente è seguire l’esempio delle persone virtuose. Espressione che fa riferimento alla necessità della madre di Lazzaro di avvicinarsi ai buoni per sfamare la sua famiglia, quindi i buoni possono essere chiunque, che possa in qualche modo aiutare la famiglia di Lazzaro a sopravvivere. D’altronde lo stesso termine verrà ripreso dallo stesso Lazzaro, nell’ultimo capitolo, il quale circa le dicerie che circolano sulla presunta relazione tra la moglie e l’arciprete di San Salvatore, dirà: “ decisi di accompagnarmi a buoni ”. Ma in entrambi i contesti, il proverbio risulta distorto, insinuando un dubbio sull’identità dei buoni e di conseguenza sulla stessa natura della virtù dell’essere virtuosi. Nell’uso del proverbio riferito alla madre, sembra che, accanto a quello letterale, operi un doppio senso , per cui buenos debba considerarsi un’ antifrasi e la preposizione por abbia un valore casuale e non finale.
“arrimarse a los buenos” che ha carattere ironico, cioè affidarsi ai “buoni” soltanto per sfamarsi e quindi sopravvivere e che ha due significati diversi. “Lazarillo de Tormes”, il nome stesso del protagonista ha carattere ironico per quanto spiegato prima.
Il racconto dell’esperienza vissuta dal piccolo Lazzaro con il cieco comprende sette episodi , di cui il primo e l’ultimo risultano perfettamente legati e fanno da cornice alle cinque burle diaboliche , che occupano la parte centrale della narrazione. Nelle prime due (quelle delle avaro fardel e delle
Come negli successivi due trattati, il primo ha una funzione di formazione , apprendistato che Lazzaro acquisisce nel corso delle vicende vissute al servizio del vecchio cieco, come lo confermano diverse espressioni come: “mi illuminò e guidò nel cammino della vita” o ancora “Io, oro e argento non te ne posso dare, ma consigli per vivere posso mostrartene molti”. Ma soprattutto Lazzaro impara dal cieco a “non fidarsi di nessuno”, consiglio che metterà in atto nell’ultimo episodio del 1 trattato.
Innanzitutto si tratta di due personaggi che si contrappongono: da un lato Lazzaro , i cui tratti che lo distinguono riguardano l’ingenuità, la stupidità e il bisogno, mentre il personaggio del cieco è caratterizzato dai seguenti tratti: astuzia, sagacia, possesso, avarizia. Espressioni : Quando la madre consegna Lazzaro al cieco dirà di trattarlo come un figlio e non come servo: “El respondio que asi lo haria, y que me recibia, no por mozo,sino por hijo”. Ma il rapporto tra i due emerge soprattutto nel primo episodio della zuccata contro la statua di pietra: “Lazaro, llega el oido a este toro y oiras gran ruido dentro el”.”Yo simplemente llegue, creyendo ser asi…”, il quale segna il passaggio dall’ingenuità di Lazzaro alla scaltrezza, a tenere sempre gli occhi aperti affinché possa sopravvivere.
p. 118 “Huelgo de contar a Vuestra Merced estas ninerias para mostrar cuanta virtud sea saber los hombres...”. Se nel prologo si parlava di Fortuna, adesso nel primo trattato si parla di virtù materiale, ovvero ciò che gli permette di sopravvivere
Lo si capisce specialmente nelle burle diaboliche, raccontate una dopo l’altra da Lazzaro, in cui capiamo sicuramente l’astuzia e la scaltrezza che prenderanno possesso del personaggio del piccolo Lazzaro. Notiamo che nell’ultimo episodio, quello che chiude la cornice dei setti episodi, Lazzaro mette in atto il consiglio ricevuto all’inizio dal cieco, ovvero quello di non fidarsi di nessuno, facendolo sbattere con la testa contro un pilastro in modo da fuggire a abbandonare per sempre il cieco, naturalmente questo ultimo episodio rimanda al primo (ecco perché parliamo di struttura chiusa), non solo per le espressioni linguistiche ma anche appunto all’insegnamento che il vecchio cieco da al piccolo Lazzaro.
Lazzaro ha affinato le sue capacità per ingannare il cieco, soprattutto ha appreso l’insegnamento del cieco di non fidarsi del prossimo e la mette in atto nell’ultimo trattato con l’intento di vendicarsi, facendolo cadere e sbattere la testa contro un pilastro.
È in un prete che Lazzaro si imbatte nel secondo trattato, dopo aver voltato le spalle al cieco. Egli appare come la negazione della figura del ministro di Dio , il quale venendo meno a quella che San Paolo considera la più eccellente delle virtù teologali, la carità, finisce per macchiarsi delle colpe dell’avarizia, della cupidigia e dell’ipocrisia. Un’analoga violazione del carattere sacro la troviamo nel personaggio di Lazzaro, anche se in lui è generata dal più impellente dei bisogni umani, quello della fame. Ciò che spinge il prete è solo e soltanto l’avarizia, mentre ciò che spinge Lazzaro è solo e soltanto la fame. Queste osservazioni che denunciano un processo di degradazione del sacro, trovano conferma nell’episodio dell’arca, grazie al quale Lazzaro può cibarsi.
indicare le espressioni. L’ironia è uno dei carattere constanti nell’opera che ritroviamo già all’inizio del secondo trattato: “ Escape del trueno y di en el relampago ” (caddi dalla padella alla brace), la cui espressione anticipa quello che succederà, in quanto anche qui come nel 1 trattato Lazzaro patirà la fame e quindi da raccordo alla condizione del primo trattato. Un’altra espressione è quando Lazzaro presenta il prete dicendo: “ Porque era el ciego para con este un Alejandro Magno, con ser la misma avaricia… ” lo descrive attraverso un’antonomasia, attribuendo al cieco le caratteristiche di Alessandro Magno ma allo stesso tempo si tratta di un’antitesi, naturalmente con carattere ironico. Altra espressione: “ A donde me todos mis pecados con un clerigo ” Che tipo di rapporto si evidenzia fra Lazzaro e il prete di Maqueda? Lazzaro si imbatte al servizio di in prete a Maqueda, il quale gli chiede subito se sa servir messa, al che Lazzaro grazie agli insegnamenti del cieco risponde di sì. Immediatamente Lazzaro lo descrive come una persona avara: “No digo mas sino que toda la laceria del mundo estaba encerrada en este”, ipocrita, ma soprattutto poco caritatevole. Il suo atteggiamento anticlericale emerge in diverse situazioni. Rispetto a Lazzaro, che può cibarsi di sole cipolle e vino, il prete pur amettendo che i sacerdoti devono limitarsi al bere e al mangiare, fa tutto l’opposto: vediamo che rispetto al cieco, Lazzaro poteva approfittare di rubare qualche cibo con le varie burle diaboliche, mentre nel prete, la sua destrezza non può mettersi in gioco perché la casa è priva di cibo, l’unica fonte o meglio paradiso terrestre come Lazzaro lo definisce è l’arca dei pani, fattore su cui è costruita l’intero capitolo. Il loro rapporto emerge anche alla fine del cap. quando Lazzaro viene cacciato dal prete, scoprendo la chiave che nascondeva in bocca, mostrandosi nuovamente avaro e quindi confermando il suo carattere poco caritatevole, quando dice: “Lazzaro da oggi sei più tuo che non mio”. Quale tema ritorna in questo trattato? Tema della fame “finalmente yo ne finaba de hambre” dice di Lazzaro a proposito della condizione in cui viveva al servizio del prete, che rispecchia quella del primo se non peggio. Tant’è che Lazzaro riflette sul se continuare o no a stare al servizio del prete, riflessione che giunge a due sbocchi: la prima, temeva la sua debolezza e di conseguenza, la sua morte, la seconda invece, rifletteva sul fatto che se avesse cambiato padrone avrebbe potuto imbattersi in uno ancor peggio,
Che tipo di sviluppo narrativo si riconosce nel II trattato rispetto al I Nei sei mesi circa passati al servizio del prete, rispetto a quello con cui Lazzaro ha raccontato l’esperienza con il cieco, la tecnica narrativa si dimostra totalmente diversa: nel 1 trattato abbiamo una macrostruttura , suddiviso in due episodi in particolare; quello della presentazione di Lazzaro, della sua provenienza, dei suoi genitori ecc.. e quello dell’incontro e rapporto con il cieco. Mentre il secondo è strutturato esclusivamente su un unico episodio : quello dell’arca dei pani, grazie al quale Lazzaro può sopravvivere.
L’incipit del terzo trattato e il rapporto con i precedenti Che tipo di rapporto si instaura fra servo e padrone? Quali frammenti del testo giustificano un rovesciamento di ruoli? Di quali sistemi di valori si fa portavoce lo scudiero? Qual è l’opinione di Lazzaro in merito? Che significato ha la seguente frase: Solo tenia de el un poco de descontento…” (pag. 184). A quale altro passaggio del romanzo si riaggancia? L’episodio del funerale e la metafora della condizione dello scudiero.
Dopo che lo scudiero fugge, indebitato fino al collo, da Lazzaro, quest’ultimo si imbatto nel quarto padrone, il frate della Mercede, al quale lo indirizzarono alcune donnette, che in qualche modo ci anticipa il tema del trattato: quello sessuale. La frase con cui inizia il cap. presenta una relazione molto stretta con quella che chiude il capitolo precedente, come del resto succede anche con l’inizio del capitolo successivo (il quinto). Connessioni che risultano alterate e turbate dalla suddivisone in capitoli. In ogni caso, è un fatto che la narrazione riceva un’improvvisa accelerata e che, a differenza di quanto avviene con i primi tre padroni, all’esperienza col frate di Mercede sono dedicate pochissime righe. Il quarto padrone di Lazzaro è un frate mercenario, ordine religioso che non godeva di buona fama, come conferma il comportamento del nostro personaggio, il quale “gran enemigo del coro y de comer en el convento” preferisce gli agi e i piaceri della vita mondana: in particolare la pratica sessuale, come si deduce da vari elementi del testo: “ las mujercillas ”, donnette o prostitute amiche del protagonista, dalle quali il frate è chiamato “ pariente ”, termine utilizzato per indicare un rapporto immorale da parte del prete; “ romper los zapatos ”: fa riferimento anche al consumo delle scarpe, con cui Lazzaro narratore, oltre che ai continui andirivieni, allude al diabolico comportamento del padrone. Quindi con il tema delle scarpe Lazzaro accenna all’attività erotica del frate (per cui zapatos=el diablo). Un altro elemento per capire meglio il tema di questo trattato si ritrova anche nella menzione del “ trote ”, che si aggiunge ai continui spostamenti del frate fuori dal convento, ovvero la ruffianeria. Il racconto termina con l’allusione alle “ primeros zapatos che rompi en mi vida ” e “ a otras cosillas que no digo ”, con i quali alcuni interpreti hanno ricondotto alla sfera della sessualità, in particolare, si è dedotto che il rapporto con il frate implicherebbe “una nuova esperienza nella vita
di Lazzaro, quella della sua iniziazione alla pratica erotica” e forse, sempre secondo alcuni interpreti quella omosessuale. Inoltre quando Lazzaro dice di “tralasciare alcune cose” ci ritroviamo di fronte a una formula tipica dei cambi di temi e delle conclusioni delle lettere, che sembra particolarmente adatta al momento in cui Lazzaro comincia ad imprimere un ritmo più rapido al racconto.
Dopo il frate de la Merced, Lazzaro si imbatte nel quinto padrone, un venditore d’indulgenze , che come lo descrive Lazzaro, era il più disinvolto e spudorato, inventandosi ingegnosissime trovate. Il buldero di cui Lazzaro racconta è uno dei tanto commissionari di indulgenze, i quali avevano l’incarico di divulgare le bolle della Santa Crociata e di raccogliere le elemosine che i fedeli versavano in cambio delle indulgenze. Ma qui non si tratta di commissario bensì di predicatore delle bolle. Il passo contiene numerosi giochi di parole (“presentar/presentaba”, “ofreciendosele a las gracias” ecc…) con i quali il narratore anticipa la perversa commistione della sfera religiosa o spirituale e di quella mondana, su cui è costruito l’intero capitolo, e, al tempo stesso, lascia scorgere il clima di corruzione, che verrà illustrato nel racconto dell’inganno del buldero. Inganno : con la menzione del luogo dove la vicenda è ambientata (“la Sagra de Toledo”) inizia la narrazione dell’episodio dell’inganno o del falso miracolo che il quinto padrone trama ai danni degli ingenui abitanti. Il racconto del sottile inganno è organizzato dalla coppia formata dal predicatore di bolle (il suo padrone) e dal bargello, i quali mettono in scena un falso miracolo, a seguito del litigio e dello svenimento del bargello, con la conseguente orazione da parte del predicatore con la quale fece piangere la gente. Nel racconto, Lazzaro adulto e narratore, perfettamente consapevole dell’inganno, decide di raccontare l’episodio del falso miracolo adottando il punto di vista del piccolo Lazzaro, ossia di un testimone della vicenda, che ne sa quanto gli ignari abitanti. Il ruolo di testimone svolto da Lazzaro, in quanto personaggio, e il punto di vista che Lazzaro assume come narratore, consentono di iscrivere l’intera esperienza formativa di Lazzaro. Il racconto del falso miracolo si conclude con la confessione di Lazzaro di essere stato vittima dell’inganno, al pari degli abitanti del paese, dove Lazzaro ammette “confieso mi pecado que tambien fui dello espantado y crei que asi era , como otros muchos”. Espressione che rimanda all’ innocenza del primo trattato, “yo simplemente llegue, creyendo ser asi ”, quando il cieco invita Lazzaro ad avvicinare il capo della statua di pietra. E abbiamo qui anche un altro aspetto comune, nella reazione del cieco che “rise assai delle burla” e così il predicatore e e il bargello hanno ora, la stessa reazione alla fine del miracolo “ con ver despues la risa y burla que mi amo, y el alguacil llevaban y hacian del negocio ”. Con la differenza però, che mentre Lazzaro, nel primo episodio è vittima delle burla e oggetto della risata del cieco, nel V tratado, Lazaro si trova dalla parte di chi ride dell’inganno. E inoltre, la compiacenza e l’intimo godimento che il protagonista prova nello scoprire la frode fanno di lui un impostore al pari del padrone e del compare. Lazzaro quindi apprezza l’ingegno e l’astuzia del venditore ed il bargello (disvalore). Per quanto riguarda la modalità narrativa abbiamo qui la presenza (per la prima volta) di un nuovo punto di vista, con la focalizzazione esterna , poiché il narratore ne sa meno del personaggio nel momento in cui Lazzaro è messo sullo stesso piano degli abitanti ignari e quindi la narrazione si focalizza sul punto di vista di Lazzaro bambino che racconta la vicenda come se non sapesse cosa sta succedendo.
sociale ma solo nel senso di sopravvivenza, alla quale Lazzaro non può rinunciare ed ecco perché non tiene conto delle dicerie sulla presunta relazione tra la moglie e l’arciprete; il concetto di “ honra ” che si rifà all’onore di Lazzaro marito che baratta attraverso la moglie. Al che Lazzaro nella risposta usa la parola “ parir ” (partorire, ma anche abortire) che viene giudicato sconcio e che si preferiva evitare, soprattutto davanti alla moglie e anche al riferimento del triplice parto della moglie, che rimanda al fatto che l’arciprete ha messo incinta tre volte la moglie. L’episodio si conclude con l’intesa raggiunta dai tre personaggi “Y asi quedamos todos ters bien conformes”. Così Lazzaro ha deciso di non badare ai pettegolezzi e di chiudere per sempre la faccenda con definitivo silenzio sul caso (“fino al giorno d’oggi nessuno ci ha mai sentito parlare del caso”), in riferimento dunque alla relazione che la moglie intratteneva con l’arciprete e sull’accettazione da parte del marito, tradito. In ogni caso, il riferimento al caso riporta immediatamente al principio dell’epistola, dove Lazzaro alludeva alla richiesta di Vossignoria (servitore e amico dell’arciprete) che gli ha scritto chiedendogli dettagliate notizie sul caso. Al termine dell’epistola il lettore capisce quindi che le “male lingue” sono vere e che quindi Lazzaro mente: lo sa perché lo conosce e in ciò consiste la sostanza del caso. La struttura dell’opera si rivela quindi coerente : la richiesta iniziale di Vuestra Merced in relazione al caso induce Lazzaro a raccontare la propria vita e di conseguenza si conclude quando si è consumata la spiegazione del caso. La conoscenza della persona che Lazzaro è e che è diventato, consente a Vossignoria di comprendere non solo ciò che può muovere un uomo ad accettare il disonore familiare ma al tempo stesso per scoprire la cruda verità nella menzogna. Alla fine dell’epistola Lazzaro indica il luogo e la data di redazione della lettera, con l’uso dei tempi verbali al passato con un rapporto con gli avvenimenti storici (tripudi e grandi festeggiamenti che si celebrarono nella città di Toledo in occasione delle Cortes). Il racconto autobiografico si chiude, dunque, con l’evocazione della felice condizione di Lazzaro (“estaba en mi prosperidad y en la cumbre de toda buena fortuna”) che ha conseguito, come aveva fatto nel Prologo, al raggiungimento del “buen puerto”, ma il suo racconto è servito anche a mostrare che tipo di virtù sia quella che si vedono costretti ad esercitare gli uomini, i quali pur essendo di bassa condizione hanno raggiunto la prosperità, si sono elevati ugualmente. Ulteriori esempi di ironia e alla veridicità del caso: p. 218 “Mas malas lenguas, que nunca faltaron ni faltaran, no nos dejan vivir, diciendo no se que y si se que …”, ultima espressione che rimanda al discorso della madre nel 1 trattato. Altro esempio quando Lazzaro dice rivolto alla moglie “ Entonces mi mujer echo juramentos sobre si, que yo pense que la casa se hundieracon nosotros ” y “ pues estaba bien seguro de su bondad ”: Lazzaro crede nell’onestà della moglie e decide di non tener conto delle dicerie per la necessità dei benefici materiali (provecho), oppure ancora quando Lazzaro dice: “ jurare sobre la hostia consagrada que es tan buena mujer como vive dentro de las puertas de Toledo… ”, che confermano ancora di più quanto detto prima poiché adesso Lazzaro, nonostante sia consapevole del tradimento della moglie e quindi sulla veridicità del caso decide di non ascoltare più quelle dicerie.