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Lavorare con le diversità. L'educatore fra professionalità, motivazione, intelligenze., Summaries of Pedagogy

Riassunto del libro: Lavorare con le diversità. L'educatore fra professionalità, motivazione, intelligenze. A. Mannucci

Typology: Summaries

2015/2016

Available from 11/04/2016

prynceton818
prynceton818 🇩🇪

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Lavorare con le diversità
10 febbraio 1984 → prima definizione normativa della figura dell'educatore
nell'estate del 1977, venne emanata la legge 517 che abbatté simbolicamente le mura delle
aule delle classi differenziali.
La legge ha segnato una ridefinizione del concetto di “diversità” e di “normalità”, tale legge
significava che nascere con un deficit non avrebbe più voluto dire essere discriminato fin
dall'infanzia perché rinchiuso in luoghi riservati.
Nel giro di alcuni anni le scuole cominciarono ad accogliere coloro che erano stati sempre
emarginati.
Ma non si doveva “inserire” si doveva “integrare” cosa molto più difficile sopratutto perché
il problema che ci si poneva era quello del “dopo scuola”, cosa avrebbero fatto queste
persone dopo aver preso il diploma?
L'idea di educazione non si doveva fermare alla scuola bensì alla dimensione totale della
vita.
Altre due leggi furono molto importanti:
la legge 180/78
la legge 833/78
La legge 180/78, legge Basaglia, impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il
trattamento sanitario obbligatorio (tso).
Grazie a tale legge il malato di mente si trovo protagonista in una realtà che lo aveva
dimenticato.
Cosi si arrivo alla legge 883/78 che istituì le Unità Sanitarie Locali (USL).
Gli anni 70 produssero varie leggi che avviarono lo Stato verso un profondo cambiamento
che riguardava i problemi sociali.
Iniziò a farsi strada il concetto di uno Stato che si doveva preoccupare dei suoi cittadini più
deboli e indifesi cominciando ad usare il termine “ Welfare state”, lo stato del benessere.
Lo stato avrebbe dovuto tutelare i cittadini raccogliendo una parte della ricchezza prodotta
dall'economia nazionale per investirla nella protezione sociale. Una risposta ai molti dubbi e
domande era il Volontariato cioè l'esigenza per molti di riuscire a concettualizzare quelle
spinte che non trovano canali di sbocco da parte dell'ente pubblico che delegava sempre la
gestione soprattutto delle aree come quella della diversa abilità.
Gli anni 90 si aprirono con la necessità dello Stato italiano di regolamentare le Cooperative
sociali, che non erano inquadrate in nessuna categoria riconosciuta e regolamentata dalla
Camera di Commercio.
Anche se era già nato il Terzo settore o Noprofit sector, cioè, quell'insieme di organizzazioni
orientata non al profitto imprenditoriale ma al lavoro sul recupero del bisogno e del
benessere in termini esistenziali, sociali, terapeutici ed educativi.
Il Terzo settore cominciava a proporre una nuova realtà: Volontariato, cooperazione sociale
ed interventi verso la marginalità.
Così furono emanate due leggi importanti:
la legge-quadro 266/91 (riguardante il volontariato) che lo riconobbe come realtà non
benefica e umanitaria, ma Sociale
la legge 381/91 (riguardante le cooperative) che le dava pari dignità d'esistenza e un
pari riconoscimento d'operatività e lavoro
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Lavorare con le diversità

10 febbraio 1984 → prima definizione normativa della figura dell'educatore nell'estate del 1977, venne emanata la legge 517 che abbatté simbolicamente le mura delle aule delle classi differenziali. La legge ha segnato una ridefinizione del concetto di “diversità” e di “normalità”, tale legge significava che nascere con un deficit non avrebbe più voluto dire essere discriminato fin dall'infanzia perché rinchiuso in luoghi riservati. Nel giro di alcuni anni le scuole cominciarono ad accogliere coloro che erano stati sempre emarginati. Ma non si doveva “inserire” si doveva “integrare” cosa molto più difficile sopratutto perché il problema che ci si poneva era quello del “dopo scuola”, cosa avrebbero fatto queste persone dopo aver preso il diploma? L'idea di educazione non si doveva fermare alla scuola bensì alla dimensione totale della vita. Altre due leggi furono molto importanti:

  • la legge 180/
  • la legge 833/ La legge 180/78, legge Basaglia, impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio (tso). Grazie a tale legge il malato di mente si trovo protagonista in una realtà che lo aveva dimenticato. Cosi si arrivo alla legge 883/78 che istituì le Unità Sanitarie Locali (USL). Gli anni 70 produssero varie leggi che avviarono lo Stato verso un profondo cambiamento che riguardava i problemi sociali. Iniziò a farsi strada il concetto di uno Stato che si doveva preoccupare dei suoi cittadini più deboli e indifesi cominciando ad usare il termine “ Welfare state”, lo stato del benessere. Lo stato avrebbe dovuto tutelare i cittadini raccogliendo una parte della ricchezza prodotta dall'economia nazionale per investirla nella protezione sociale. Una risposta ai molti dubbi e domande era il Volontariato cioè l'esigenza per molti di riuscire a concettualizzare quelle spinte che non trovano canali di sbocco da parte dell'ente pubblico che delegava sempre la gestione soprattutto delle aree come quella della diversa abilità. Gli anni 90 si aprirono con la necessità dello Stato italiano di regolamentare le Cooperative sociali, che non erano inquadrate in nessuna categoria riconosciuta e regolamentata dalla Camera di Commercio. Anche se era già nato il Terzo settore o Noprofit sector, cioè, quell'insieme di organizzazioni orientata non al profitto imprenditoriale ma al lavoro sul recupero del bisogno e del benessere in termini esistenziali, sociali, terapeutici ed educativi. Il Terzo settore cominciava a proporre una nuova realtà: Volontariato, cooperazione sociale ed interventi verso la marginalità. Così furono emanate due leggi importanti:
  • la legge-quadro 266/91 (riguardante il volontariato) che lo riconobbe come realtà non benefica e umanitaria, ma Sociale
  • la legge 381/91 (riguardante le cooperative) che le dava pari dignità d'esistenza e un pari riconoscimento d'operatività e lavoro

Si arrivò al 1997 al d.l 460/97 che definiva un nuovo soggetto fiscale: le ONLUS → organizzazioni non lucrative di utilità sociale altre leggi importanti: 104/92 → andò a completare quella degli aspetti legati alla diversabilità 328/00 → legge quadro di riforma dell'assistenza Formazione universitaria le operatrici e gli operatori erano persone provenienti dal volontariato o comunque diplomati o in alcuni casi laureati. Mancava quindi una formazione specifica per queste figure nuove di operatrici/operatori sociali che stavano diventando anche operatrici/operatori educativi che dovevano consolidarsi in una nuova figura professionale: L'EDUCATORE EXTRA SCOLASTICO. Furono le regioni a istituire vere e proprie scuole professionali. Ma non molto tempo dopo l'università trasformò le facoltà di magistero in facoltà di Scienze della formazione, con un corso di aurea in Scienze dell'educazione. I luoghi e gli attori dell'educazione l'educatore e/o educatore professionale opera principalmente in vari ambiti:

  • socio-sanitaria
  • sociale
  • penitenziale
  • formativa Nell 'area socio-sanitaria , l'educatore/trice, è collocato nell'ambito della riabilitazione ed è previsto in settori d'intervento come la psichiatria, la neuropsichiatria infantile, le dipendenze, diverse abilità, anziani e quindi operando con centri diurni, residenziali, domiciliari, territoriali, case famiglia, comunità ecc.. In merito vi è il d.m della Sanità 8 ottobre 98, n°520. In campo sociale l'educatore opera nei settori d'intervento del disagio minorile, educazione degli adulti, terza età, integrazione multiculturale e quindi operando presso centri di aggregazione, centri sociali, sostegno educativo-domiciliare, comunità alloggio, ecc... In merito si fa riferimento al decreto MIUR del 4 agosto del 2000. In campo penitenziario l'educatore lavora con gli adulti e i minori sottoposti a procedimenti penali, riferendosi ai servizi sociali, agli istituti penali minorili, alle comunità per i minori e per gli adulti, a istituti di prevenzione e di pena. Si fa riferimento al contratto di lavoro dei dipendenti dello Stato, area Ministero di Grazia e Giustizia. Nell' ambito formativo l'educatore lavora con allievi educatori/educatrici e educatori/educatrici in servizio, perciò operano in scuole di formazione, università, agenzie formative. Non esiste un riferimento legislativo. Per realizzare un progetto educativo, all'educatore professionale, viene richiesto di

I cambiamenti che l'educatore attiva e favorisce non riguardano quasi mai una singola persona , ma coinvolgono anche l'insieme delle sue reti di relazione e i suoi spazi di vita. Tramma colloca le azioni che l'educatore attiva:

  • sul piano promozionale, attraverso azioni educative finalizzate a rendere autonomo il soggetto;
  • sul piano preventivo, attraverso azioni che devono far si che le potenzialità riducano il rischio di non trasformarsi in atti;
  • sul piano riabilitativo, attraverso azioni che si pongono come fine quello di riconsegnare al soggetto la possibilità di riacquistare il processo di trasformazione delle proprie potenzialità in atti reali e concreti. Il cambiamento in campo educativo è inteso come un binomio tra la situazione iniziale e la situazione finale. I soggetti partecipi a questa esperienza educativa dovranno risultare più abili , competenti, liberi e autonomi. La pratica educativa come quella di aiuto e di supporto si fonda su una relazione, cioè, l'insieme dei legami che una persona instaura con il proprio ambiente fisico, economico e culturale. Il significato di relazione implica il riferimento a una situazione tra due o più persone che sviluppano interazioni, condividendo, gli obbiettivi della relazione stessa; è uno scambio di emozioni, di affetti, di esperienze che producono un arricchimento reciproco. Il momento iniziale della relazione è costituito dall'ascolto. ASCOLTARE è una decisione, infatti, colui/colei che ascolta mette a disposizione sia uno “spazio-tempo”, sia delle energie. Per ascoltare in modo efficace è necessario prestare attenzione all'altro, non solo ai contenuti della comunicazione verbale, ma anche alla sua dimensione corporea, affettiva, emozionale. Per lo sviluppo delle relazioni umane la COMUNICAZIONE è indispensabile e determinante è infatti il veicolo principale delle idee e dei sentimenti. L'educatore deve avere piena coscienza di questo principio nel rapporto quotidiano con gli utenti, per poter formulare nuove ipotesi e indirizzare un possibile cambiamento è utile considerare e accogliere la personalità che un individuo porta nelle situazioni problematiche. Gli esseri umani comunicano sia con:
  • il linguaggio verbale ( numerico)
  • il linguaggio non verbale (analogico) La comunicazione è lo scambio di un messaggio tra emittente e ricevente, il cui esito è influenzato dall'utilizzo di un codice; e perché la comunicazione possa avere luogo ha bisogno di un canale, cioè, il linguaggio non verbale che permette all'educatore di raccogliere informazioni sugli stati emozionali dell'utente. La relazione educativa si differenzia dalle altre perché è caratterizzata dall'intenzionalità, ovvero persegue degli obbiettivi che possono essere di sviluppo delle potenzialità della persona e favoriscono processi di consapevolezza, di assunzione, di responsabilità, sempre maggiori e di auto-determinazione.

La relazione educativa inoltre è una relazione asimmetrica tra una persona che “trasmette” qualcosa ad un'altra, senza che tale disparità sia caratterizzata da una posizione “superiore” e una “inferiore” adottando comunque uno stile relazionale adeguato ai bisogni dei soggetti in difficoltà. Il lavoro dell'educatore è relazionale non solo in rapporto ai soggetti destinatari ma anche in rapporto ad altri educatori e alle famiglie. Per questo motivo è fondamentale la dimensione progettuale, che significa, lanciare nel futuro un'idea, pensare dove, come e quando realizzarla e dandosi un punto d'arrivo, una meta da raggiungere. Qualsiasi progetto deve presentare logicità e congruenza tra le diverse componenti, ovvero, è composto da:

  • definizione e analisi del problema/bisogno;
  • individuazione dei soggetti beneficiari dell'intervento;
  • identificazione delle finalità;
  • mezzi e risorse già disponibili o da acquisire;
  • definizione dei tempi;
  • modelli di intervento e attività;
  • sistema di valutazione L'attività di progettazione nel settore socio-sanitario e in quello educativo è caratterizzato dal fatto che si producono servizi e per questo è spesso necessario produrre strategie trasversali a diverse organizzazioni. Il progetto non potrà essere soltanto uno specifico strumento d'intervento, ma proprio un habitus mentale. In questa ottica risulta fondamentale il LAVORO D'EQUIPE, formato da figure professionali diverse, ciascuna con la sua specifica competenza. In ogni caso all'interno di un'equipe le attività devono essere concordate in maniera collettiva, è un vero e proprio “lavorare insieme” tra professionisti di diverse aree disciplinari, nella condivisione delle informazioni, nella piena chiarezza e accettazione dei ruoli diversi, nel confronto e nel rispetto delle proprie e altrui competenze. Sono fondamentali anche gruppi formati da operatori che lavorano nella stessa struttura che si riuniscono per produrre, accogliere e arricchire, attraverso lo scambio e il confronto, le riflessioni sul proprio operato, progettando, verificando, confrontandosi. Questo accade a patto che le riunioni di gruppo di lavoro vengono affrontate attraverso uno sforzo continuo che ponga grande attenzione al comunicare e al come si comunica, interagendo ed esprimendo dubbi e difficoltà, con lo scambiarsi opinioni e ipotesi e con il confrontarsi con le idee altrui, ma mantenendo il rispetto per l'altro. Tutto questo però porta al LAVORO DI RETE che viene descritto da Folgheraiter come un approccio:
  • complesso;
  • integrato;
  • sistematico. Cardini e Molteni distinguono
  • le reti primarie o naturali; che corrispondono ai rapporti derivati dalla famiglia, dalla parentela, dal vicinato in cui le componenti relazionali e affettive sono preponderanti;
  • le reti secondarie, che consistono in rapporti derivanti dal lavoro, dalla fruizione di

importante dare potere a quest'ultima, nel senso di dare risorse. Il lavoro di rete è dunque da intendersi come l'insieme di azioni che sostengono il consolidamento delle diverse reti e/o le utilizzano per migliorare la qualità dei servizi e dei progetti o la qualità della vita delle persone verso cui progetti e servizi si rivolgono. Le nuove sfide: infanzia e adolescenza La realtà del mondo giovanile è una delle più complesse che nella ricerca dell'identità va dalla definizione della propria sessualità alla ricerca del proprio ruolo sociale, dai rapporti con la famiglia a quelli con le istituzioni. Questo determina una condizione di profondo disagio per l'adolescente ma un dato di fatto che si fa sempre più evidente è la difficoltà degli insegnanti a trovare i giusti rapporti educativi che possano quantomeno affrontare le problematiche dei propri alunni legate a situazioni familiari, sociali, psicologiche, etniche, fisiche, materiali e così via. In questa ottica si va sempre più definendo la necessità di interventi mirati con figure professionali di educatori. Quest'ultimi devono riuscire a entrare il più possibile con i bambini e gli adolescenti, deve saper ascoltare i loro bisogni e la possibilità di realizzarsi al meglio esprimendo le proprie potenzialità e imparando a rielaborare situazioni problematiche che via via possano presentarsi loro. È importante comunicare ai soggetti che non ci sono solo “diritti” ma anche “doveri” chiamando al senso di responsabilità e di rispetto anche gli altri. Sarà importante raggiungere un equilibrio tra le esigenze e i bisogni dei giovani e le richieste degli adulti. È dunque importante instaurare una relazione empatica con l'adolescente per comprendere e offrire soluzioni specifiche per ogni singola situazione, dando un sostegno alla sua incompleta identità senza però identificarsi completamente altrimenti l'educatore non riuscirà a svolgere il proprio ruolo e il proprio compito. Questo aspetto va visto anche in relazione al fenomeno che potremmo definire dell'aggressività, viene continuamente registra la diffusione tra gli adolescenti di comportamenti legati al estrema aggressività seguita da una crescente difficoltà di intervento, non sono soltanto azioni di teppismo di violenza a preoccupare ma anche comportamenti legami alle seguenti trasgressioni e al non rispetto delle regole in famiglia, agli episodi di bullismo e agli atteggiamenti di incomunicabilità e ribellione nei confronti del mondo adulto. Possiamo perciò fermare che ha la difficoltà legata ai mutamenti del proprio corpo e ai primi tentativi di inserimento del tessuto sociale si vanno sempre aggiungendo nuovi disagi, familiari e sociali, che portano a questi atteggiamenti trasgressivi. È fondamentale soffermati sull'importanza della comunicazione con i genitori e su quelle che sono le modalità utili per favorirla; importante il ruolo svolto dalla relazione, il confronto educativo e la riflessione critica, in modo così da evitare incomprensioni,indispensabile un dialogo aperto e significativo con l'adulto ed è fondamentale la costruzione di una cornice educativa. Ciò che manca è una comunicazione che sia più efficace che vuol dire, farsi capire, esprimersi con un linguaggio chiaro e semplice nei modi e nei contenuti;in seguito capire l'altro, ascoltare davvero quello che una persona deve dirci,il significato che attribuisce alle cose che la circondano. Nel continuo scambio relazionale l'adulto deve imparare a superare la rigidità che spesso caratterizza il proprio ruolo. la comunicazione perciò si incentra sul come svolgere un' azione educativa ,fondata sulla comunicazione si dovrebbe poter dare ai giovani la possibilità di possedere tutti quegli strumenti e quelle modalità che li rendano in grado di decidere con più autonomia e consapevolezza. è comunque impossibile fornire risposte e indicazioni precise

sia perché l'educazione non è trasmissione di modelli precostituiti e modificabili, sia per i cambiamenti portati dagli scenari sociali e culturali che richiedono nuove strategie. Non bisogna essere ne permissivi ne autoritari è importante riflettere sulle regole,sul bisogno degli adolescenti di avere limiti, che diventano una necessità esistenziale senza la quale il percorso di crescita non si sviluppa con pienezza. L'educatore deve impegnarsi su due punti: uno affettivo relazionale e uno sociale ed educativo. è in questa ottica che nasce e si consolida la Comunità educativa, che è un osservatorio sui problemi e i bisogni della popolazione minorile,sopratutto di quella fascia che non ha trovato condizioni normali di crescita ne nella sua famiglia ne nella comunità locale. è anche un contributo attraverso i servizi socio-educativi a interpretare i bisogni insoddisfatti perché siano adattate iniziative per i soggetti e per le loro famiglie anche a scopo preventivo. La comunità è una dimensione costitutiva strettamente collegata con il territorio e con i suoi servizi. Però non è un ambiente di vita normale per crescere, per questo motivo esiste uno strumento preciso per tenere sotto controllo la dimensione del tempo: il progetto educativo individuale (PEI) e le relative verifiche periodiche, progetto al quale si deve far riferimento tanto la comunità educativa che i servizi sociali e socio-sanitari del territorio. L'esito favorevole, o meno, di un progetto dipende dal concorso sinergico in rete e di una pluralità di organizzazioni e di professionalità quali appunto la comunità, i servizi socio-sanitari, il Tribunale per i Minori, gli educatori, gli assistenti sociali, gli psicologi, i neuropsichiatri e i giudici. Il punto fondamentale è l'instaurarsi di una "pedagogia della delazione" all'interno della comunità. L'educatore di una comunità inizia il lavoro educativo, accogliendo la sofferenza di un progetto dopo un allontanamento dove valgono spesso forti sentimenti di distacco, di perdita, di ansia come pure di grande incertezza sul proprio futuro. l'atteggiamento iniziale dell'educatore non potrà dunque che essere di piena accettazione del caso, con un iniziale attenzione all'Intero sistema di relazioni pregresse del soggetto all'ingresso in comunità. non meno importante deve essere l'identificazione del suo ambiente di vita e l'importanza dei riferimenti familiari esterni alla comunità. Infine verranno osservati e rilevati le carezze e i problemi che via via emergono in riferimento alla scarsa autonomia, all'eventuale sofferenza psichica, alla possibile aggressività alla potenziale o già definita devianza. Da qui si passa ai successivi obiettivi indirizzati alla promozione dell'autonomia personale e sociale, alla capacità di autodeterminazione e alla introiezione valoriale. Tanti adolescenti ospitati nelle comunità manifestano spesso sintomi di malessere, all'interno dei quali, però si possono nascondere delle richieste profonde di disagio interiore che basta saper leggere. un secondo elemento da tenere presente è la "direzione della operatività" affinché il soggetto sia animato, stimolato e sollecitato verso il cambiamento. un terzo elemento sono le "relazioni di collaborazione e le asimmetrie direzionali" fra educatori e soggetto, sviluppando la consapevolezza dei rispettivi ruoli. il quarto elemento è costituito da " un integrazione tra individuo e società" dove l' educatore si pone come mediatore di uno scontro tra i bisogni del soggetto le sue capacità e le attese sociali. Tutto questo ha fatto riferimento a interventi di “recupero” di situazioni di disagio e/o di devianza già in atto, ma sicuramente non sono sufficienti e dobbiamo guardare alla prevenzione perché educazione e prevenzione sono elementi che s'intrinsecano e si completano. Entrambe operano con e su vissuti reali, offrono esperienze, figure di sostegno e accompagnamento, stimola l'attività simbolica e l'espressività, si calano nella quotidianità e agiscono nella vita di tutti i giorni, incoraggiano la partecipazione, aiuta i soggetti a proiettarsi in avanti,, rielaborando il presente per diventare essi stessi artefici del proprio futuro. Queste considerazioni sono particolarmente appropriate al lavoro di strada le cui sfide educative si collocano in ambienti informali, nei luoghi naturali d'incontro e con

  • saperne leggere le dinamiche, saper gestire il rapporto con gruppi giovanili e di adulti,
  • saper costruire rapporti di collaborazione con soggetti pubblici e privati;
  • saper valutare l'andamento del lavoro, in riferimento all'utenza e a esso stesso;
  • saper per instaurare un buon rapporto con gli altri operatori;
  • saper elaborare un progetto;
  • saper interpretare i fenomeni sui quali interviene e possedere una visione prospettica e gestire i processi entro il quale agisce. Gli incontri protetti Un aspetto sempre più significativo nella realtà infantile e adolescenziale è sicuramente collegato all'aumento delle separazioni e divorzi facendo sorgere nuovi bisogni ai quali rispondere, e nuove realtà per il lavoro e la professionalità di educatori e educatrici. Da anni Silvana organizzando nuove forme di intervento sociale d'aiuto, rivolte a sempre più numerose coppie genitoriali. Nuove leggi hanno ridimensionato il potere genitoriale e determinano una condizione di tutela per i figli e le figlie attraverso una funzione di controllo che i servizi svolgono calibrandola a evitare che il conflitto esistente li coinvolga in modo strumentale. L'obiettivo primario è quello di rendere possibile e sostenibile il mantenimento della relazione tra il bambino e i suoi genitori dopo in conseguenza di una separazione conflittuale. In questo senso è assolutamente necessario che l'educatore stia attento a non aggravare il danno, l'intrecciarsi tra fattori di rischio e il riconoscimento dei fattori “irrinunciabili” dei bambini e bambine, implica, la necessità di creare un luogo dove la paura e la preoccupazione possano essere materializzate e accolte senza originare ulteriori pericoli, incontro che possiamo definire come “incontro protetto”. Per raggiungere l'obbiettivo è fondamentale che la rete di servizi sia attivata e che si documenti ciò che avviene durante l'incontro protetto. L'educatore svolge principalmente una funzione di osservazione e di tutela del soggetto e i suoi interventi sono limitati, ma costante è la sua presenza. La durata della fase di valutazione deve però avere un termine chiaro, una scadenza definita sia per i genitori sia per i soggetti. Gli obbiettivi primari dell'intervento sono il ristabilire o mantenere la relazione con il genitore lontano e aiutare i genitori a ritrovare la capacità di accoglimento del figlio e delle sue emozioni, favorendo il ricostruirsi del senso della responsabilità genitoriale e quando possibile l'organizzazione e la gestione autonoma degli incontri. La durate dell'intervento è mediamente di uno o due anni anche se percorsi giuridici in corso possono determinare l'interruzione o il prolungamento dei tempi, talvolta con la valutazione contraria dell' equipe. Per quanto riguarda gli orari degli incontri si deve tenere conto delle esigenze del servizio ma anche delle esigenze lavorative dei genitori e degli impegni dei bambini. La durata degli incontri è variabile ma non certamente arbitraria e ogni sua modifica nel corso del trattamento deve essere spiegata e motivata anticipatamente sia ai soggetti che ai genitori. La regolarità degli incontri è comunque uno dei cardini dell'intervento. La fase che segue e dovrà essere definita solo in riferimento agli elementi raccolti durante i colloqui preliminari. Per concludere che si può dire che il ruolo dell'educatore all'interno dell'incontro protetto può certamente variare in relazione alla situazione contingente e talvolta anche all'interno di

uno stesso incontro comunque sia deve essere un osservatore, un facilitatore delle relazioni e anche talvolta colui che assume un ruolo normativo colpa rispettare gli accordi presi in fase preliminare. Le tossicodipendenze Il lavoro dell'educatore all'interno di un programma destinato i giovani consumatori di sostanze stupefacenti parla di rieducazione dei ragazzi e ragazze difficili. E' importante definire la differenza fra "educazione " e "rieducazione ", precisando prima le fondamentali somiglianze,che sono il guardare al futuro, considerando il passato del soggetto come un punto di partenza di un percorso che procede in avanti verso lo sviluppo globale della persona e l'interessarsi sia dello sviluppo psicofisico del soggetto che della sua capacità interrelazione. Bertolini individua però, anche le sostanziali differenze tra "educazione " e "rieducazione ",poiché quest'ultima ha inizio in un momento spostato di per all'avvio della normale "storia educativa "di ogni individuo: per questo motivo, l'intervento rieducativo, e tanto più difficile quanto più il ragazzo ha raggiunto crescendo una certa strutturazione interiore. Ogni intervento educativo deve tenere presente i momenti passivi della formazione della soggettività di un ragazzo che dipendono dall'esperienza e dai modelli a cui è stato esposto. È fondamentale prendere in esame la storia familiare, culturale e sociale nella quale il ragazzo ha vissuto per comprenderne il passato e le possibili cause del suo comportamento talvolta deviante. L'educatore non è mai un puro esecutore di un processo educativo che controlla le variabili in gioco restante al di fuori ma è parte costitutiva di quel sistema poiché il suo rapporto con il soggetto costituisce una particolare forma di relazione interpersonale. Una delle sue competenze professionali sarà quella di monitorare il proprio modo di rapportarsi al ragazzo, per fare ciò deve essere in grado video dare la disponibilità e l'autorevolezza in modo tale che il soggetto possa comprendere che la sua diffidenza iniziale è inutile è infondata, che l'educatore ha fiducia nelle sue capacità di cambiamento, divenendo consapevole che l'educatore diventa un punto di riferimento e accettando di adeguare il proprio comportamento alle regole proposte dal educatore. La relazione fortemente asimmetrica che lega i due spinge il soggetto a mettere in atto modalità centrate spesso sull'aggressività, o l'apatia, o la remissività, sulla difesa, la chiusura, la difficoltà nella comunicazione. L'origine di questo senso di vulnerabilità va perciò ricercata nel pregiudizio che ragazzo teme da parte dell'educatore che deve essere capace di mettere in discussione le proprie interpretazioni e opinioni, esso deve mirare a comprendere il senso attribuito dal soggetto al suo agire, deve adattare uno stile educativo incentrato a cogliere la visione del mondo del ragazzo che è il luogo in cui si intrecciano i motivi casuali e i motivi finali dell'agire che definiscono il costituirsi dell'azione. Il lavoro d'equipe in questa fase del processo rieducativo è fondamentale poiché occorre la continua negoziazione del proprio punto di vista con quello proprio di altre figure professionali, l'educatore dovrà tenere conto di alcune strategie indiretti fondamentali al fine di costruire un "ottimismo esistenziale "nel soggetto, creando gli in senso riequilibrante l'immagine che ha di sé e che deriva in parte dall'immagine che l'altro gli rinvia attraverso segnale molto concreti. Dovrà valorizzare e gratificare i successi personali del soggetto per raggiungere un grado di ottimismo esistenziale che presiede al cambiamento della funzione del suo mondo. L'educatore deve considerare fondamentale l'utilizzo del gruppo dei pari affinché ragazzo possa sperimentare il valore di essere con gli altri, un cambiamento nella percezione del sé, è indispensabile che l'educatore regola dinamica dei gruppi stessi in modo da correggere il tiro e risvolti negativi

gli immigrati di conoscere la lingua e cultura del paese ospitante sia per cogliere gli stimoli che si presentano nel periodo formativo sia per riuscire a inserirsi positivamente del tessuto sociale e lavorativo. L'obiettivo dell'incontro tra le culture in ambito scolastico si dovrebbe realizzare attraverso la concretizzazione di attività interculturali comuni, riguardo ai modi con cui realizzare tale obiettivo, punti in particolare vanno segnalati:

  • il primo riguarda l'esplicito riferimento alle associazioni degli stranieri;
  • il secondo consiste nel ausilio di mediatori culturali qualificativo con funzione in primo luogo di comunicazione con le famiglie degli alunni venuti da lontano. Di rilievo è anche l'articolo 37 dove si legge che l'educazione interculturale non deve essere praticata esclusivamente nelle classi in cui sono inseriti studenti di lingue cultura straniera, bensì l'intera comunità scolastica in uno spirito di reciproco scambio. A sostegno della progettualità della scuola sono date due indicazioni concrete a sostegno sulla professionalità docente: il rispetto delle singole individualità e l'accertamento dei bisogni formativi di ogni alunno. Inoltre la scuola deve lavorare per il positivo inserimento dei bambini stranieri non solo nella classe mani libero società, per costruire una società multietnica e sicuramente è necessaria la piena collaborazione tra scuola, enti locali e terzo settore. Nel 1999 il CCNI (Contratto Collettivo Nazionale Integrativo) del comparto scuola ha destinato risorse aggiuntive alle scuole collocate in aree a forte processo immigratorio, esso prevede finanziamenti alterazione del fondo d'istituto utilizzabili però per la retribuzione accessoria dei docenti della scuola impegnati in attività di insegnamento o in attività funzionali all'insegnamento. L'educatore in carcere Il 26 luglio 1975 n. 354 fu emanata una legge di riforma,ovvero, Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla persecuzione delle misure privative e limitative della Libertà. La riforma faceva riferimento essenzialmente alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) e alla Carta Costituzionale (1948), avendo come riferimento centrale l'umanizzazione del trattamento delle carceri e recupero sociale dei detenuti come finalità della pena detentiva. Tra gli anni 60 e i primi anni 70 si è assistito un'importante trasformazione culturale riguardante i rapporti tra i cittadini e lo Stato è l'istituzione carceraria ha iniziato a sviluppare profonde modificazioni come risultato di una maturazione dove le sue componenti operative tradizionali sono state coinvolte in un processo di collaborazione più ampio in cui sono entrato un gioco per la prima volta competenze professionali non legate a logiche gestionali tipiche delle istituzioni ma piuttosto inclini alla considerazione dei problemi personali e sociali di soggetti con difficoltà di condotta. Si è aperto un carcere capace di assolvere il compito di custodire i soggetti privati della libertà, cercando di superare la loro totale segregazione, un carcere quindi che iniziava ad aprirsi alla comprensione di istanze non immediatamente funzionali alla sua organizzazione ma riguardante, invece, gli interessi e la vita personale dei detenuti. I soggetti reclusi sono stati percepiti sempre meno come “malati” da diagnosticare e curare e sempre più considerati come persone da comprendere in senso esistenziale, nonché da responsabilizzare in attività che dovevano essere accettate dal soggetto. La rieducazione era tradizionalmente concepita come risultato oggettivo di una serie di azioni nel campo dell'istruzione, del lavoro della riabilitazione a cui il detenuto era sottoposto più o meno obbligatoriamente. È proprio in rapporto a tutto ciò che la figura e il ruolo dell'educatore ha cominciato ad assumere di fatto un'importanza determinante.

Sotto il profilo psicogiuridico il trattamento penitenziario può essere inteso come una serie di interventi attraverso i quali sollecitare nella persona un percorso di riflessione sulle norme socialmente riconosciute, nonché sulle conseguenze della trasgressione penale e sulla possibilità di attuare scelte di comportamento alternative al fine del proprio reinserimento nella società. Per questo all'educatore viene richiesto un profondo senso di responsabilità nell'esprimere un giudizio su un determinato detenuto che stia compiendo un cammino verso la rieducazione e il recupero sociale, raccomandandogli la massima attenzione e cautela poiché dare un giudizio è estremamente difficile. Si può definire il profilo dell'educatore tenendo presente due elementi fondamentali del contesto carcerario, cioè, il rapporto con il detenuto e con l'istituzione penitenziaria. Rispetto al primo punto, cioè al detenuto, è essenziale aiutarlo a:

  • superare elementi di ostilità nei confronti dell'istituzione, sentimenti di inadeguatezza personale, di disorientamento e di fragilità interiore;
  • stabilire un rapporto di accettazione, rispetto reciproco e fiducia nelle proprie potenzialità personali;
  • scoprire le sue energie personali positive e rilanciarle verso obbiettivi di responsabilità e di impegno;
  • condurlo pian piano, ad assumere atteggiamenti costruttivi verso la realtà del carcere e i suoi programmi, nonché consolidare la motivazione a un reinserimento sociale;
  • adottare uno stile educativo basato sull'ascolto, comprensione e aiuto affinchè il soggetto possa farsi strada da sé piuttosto che convincerlo e guidarlo verso scelte precostituite. Per questo è fondamentale lo strumento del colloquio che può essere articolato in:
  • colloquio di primo ingresso
  • colloquio di sostegno;
  • colloquio finalizzato all'osservazione e al trattamento. Per quanto concerne invece il rapporto con l'istituzione carceraria, i compiti dell'educatore esulano dall'esercizio di una funzione di potere sui detenuti, rimanendo fuori da situazioni disciplinari per poter svolgere in maniera autonoma ed efficace l'azione educativa. Altro elemento importante è il mantenere un equilibrio emozionale che cerchi di distaccarsi dalle personali convinzioni ideologiche legate all'idea della “liberazione a tutti i costi” così come quella della preoccupazione di “mantenere e difendere la punizione”. Risulta perciò indispensabile anche ciò che viene nominato il “saper essere” come richiamo alla motivazione nel lavoro che dovrebbe investire tutti coloro che operano a contatto con situazioni umane di disagio. Così è fondamentale una formazione che si basi sull'insieme di principi, cognizioni, concetti, metodi e tecniche relative a particolari discipline/aree così come l'acquisizione di capacità di confronto interpersonale, capacità di cogliere i mutamenti delle persone e del contesto e di esserne parte, capacità di sintesi, utile alla stesura di relazioni, documenti schede informative e di utilizzo pedagogico. Per quanto riguarda le complessità riguardanti il rapporto educatore-detenuto le difficoltà inerenti sono:
  • l'eccessivo carico emotivo della situazione
  • le difficoltà di contenere entro limiti accettabili queste situazioni emotive
  • le frustazioni personali derivanti dal contesto istituzionale

sentire compreso e da cui lui stesso possa prendere una forma chiara e comprensibile. Questa dimensione si viene a definire anche in caso di "conflitto" che può essere un conflitto interiore al soggetto o un conflitto fra utenti o un conflitto fra utente ed educatore. Nel primo caso è la funzione dell'educatore ed di appoggio e sostegno. Nel secondo caso il educatore prima di intervenire deve saper valutare prontamente e attentamente la situazione, approcciandosi con cautela e cercando di riportare l'armonia che in quel momento è venuta meno. Nel terzo caso la situazione è più delicata e l'educatore si deve mettere in gioco in prima persona. La necessità di introdurre la cura dei "malati psichici" interventi riabilitativi ed educativi, compare quando si inizia a considerare la malattia come una "fase dell'esistenza "di un particolare individuo, che è determinata da una serie di fattori somatici, psicologici, sociali e che deve essere integrata nell'ambito di una personalità complessa. Accanto a parti "malate " vivono parti "sane" con bisogni e desideri specifici, naturali e tipici di ogni persona e proprio nello spazio della loro interazione sta la possibilità di intervenire non solo a livello terapeutico ma anche e soprattutto a livello educativo, riducendo la sofferenza che le une provocano alle altre. In questa ottica l'educatore deve avere un'attenzione costante e mettere in risalto le abilità, le capacità, le aree vitali del soggetto, tenendo presente l'intera sua persona e quindi anche la sua sofferenza il suo specifico disagio ma anche le sue potenzialità, i suoi sogni, i suoi desideri. Per questo è fondamentale fare una distinzione tra cosa si intende per "educazione" e cosa si intende per "terapia". L'educazione è orientata più sulla realtà esterna del soggetto, sui suoi comportamenti, il suo modo di interagire con l'ambiente in cui vive, i suoi bisogni concreti, che utilizza il fare, l'agire come teatro di intervento. La terapia,invece, si rivolge prevalentemente al mondo interiore del soggetto, alle sue ansie, alle sue angosce, ai suoi sintomi, lavorando sull'interno per favorire un cambiamento esterno. È perciò indispensabile una stretta collaborazione tra educatore e specialisti medici e paramedici. Lavorare nell'ospedale pediatrico La figura dell'educatore nella realtà ospedaliera pediatrica è molto particolare perché si intrinseca con molte condizioni trasversali e diverse quali l'infanzia, l'adolescenza, la diversa abilità, unite alla patologia della malattia, così come levare figure professionali che operano in una struttura sanitaria ospedaliera, quali:

  • gli operatori sanitari di base,come medici ed infermieri;
  • le professioni sanitarie di supporto, come, fisioterapisti e logopedisti;
  • le professioni di aiuto di vario tipo, come, gli animatori, i volontari e i clown;
  • gli insegnanti distaccati. Le diverse figure professionali devono perciò di uscire a interagire tra di loro attraverso delle modalità precise e strutturate realizzando un'equipe. La comunicazione interna tra i diversi membri di un equipe avviene di solito attraverso 4 sistemi di base:
  • riunioni periodiche, che hanno lo scopo di informare tutti sulla condizione del paziente;
  • compilazione di documenti scritti, come, schede sintetiche, diario giornaliero;
  • creazione di una grande tabella murale, nella quale indicare sinteticamente i nomi dei pazienti ricoverati;
  • creazioni di una lavagna individuale, dove ciascuno è libero di lasciare messaggi al personale. Per quanto riguarda specificatamente la figura dell'educatore, essa deve mettere in atto delle specifiche competenze, per aiutare un bambino ad attraversare le condizioni di rischio rappresentata dalla malattia e dall'ospedalizzazione e in questo contesto uno dei punti fondamentali è la dimensione del gioco e la capacità di interagire con i soggetto per costruire momenti di socializzazione. Uno degli aspetti più forti nella dimissione ospedaliera è indubbiamente la paura della morte e viene appeso ad attraversare la mente del genitore anche se poi mi negata. l'onnipotenza operativa come dimensione di intervento vieni in parte sviluppata anche dall'educatore che in qualche modo deve allontanare la morte poiché talvolta subentra una vera e propria negazione dell'evento come meccanismo di difesa e rispetto all'angoscia di morte che è presente in ognuno di noi. Fra i sentimenti che l'educatore deve fronteggiare di sono impotenza, rabbia, senso di colpa e la malattia quella che può portare alla morte e che suscita prevalentemente rabbia un profondo senso di ingiustizia, dato che viene attaccata la vita stessa radice, nella sua fase iniziale. Il processo di adattamento avviene con una prima fase caratterizzata da profonda tristezza e ansia che si stemperano dopo i primi mesi per lasciare spazio a un controllo più razionale che consente di fronteggiare una continua sollecitazione emotiva, successivamente, avviene un adattamento emozionale propongono in cui entra in gioco il confronto con la malattia e la morte in generale. Sia attua in questo caso un lavoro di elaborazione profonda che richiede un notevole dispendio di energie emotive che talora l'educatore può anche cercare di evitare utilizzando meccanismi di negazione che però impediscono un contatto profondo con alcune parti di sé e conseguentemente una relazione più profonde ed efficace con patente la sua famiglia. Il lavoro sul lutto non solo spetta al paziente e alla famiglia ma anche all'educatore soprattutto quando la terapia fallisce e un bambino muore, in questa situazione l'educatore deve elaborare la perdita della guarigione che non c'è stata,ma soprattutto la perdita della relazione reale con quel bambino e con quella famiglia con cui ha stabilito un rapporto che spesso è andato avanti anche per alcuni anni. La paura della morte è normale e bisogna difendersene e se l'angoscia di morire è forte bisogna trovare all'interno dell'equipe la possibilità di spazi in cui le angosce le paure di tutti possono essere espresse, il rischio altrimenti, è quello di aggiungere al bambino anche le angosce oltre le sue e quelle dei familiari anche delle persone che di lui si occupano professionalmente. Comunque è uno dei principali aspetti di questo lavoro deve essere l'attenzione alla flessibilità delle proposte, considerando che ci si trova, volta per volta di fronte a casi diversi: la forza di un progetto educativo è data proprio dalla capacità dell'educatore di modularlo in base alle esigenze specifiche, c'è infatti una sofferenza individuale da considerare e una situazione ambientale nella quale diventa fondamentale aiutare il bambino a superare nel modo migliore suoi momenti di difficoltà e per questo non bisogna mai sostituirti e genitori di loro compiti, ma affiancarli nel ruolo educativo e attraverso un lavoro sinergico con loro perseguire l'obiettivo della salute mentale e dell'equilibrio psichico della famiglia stessa. Tale obiettivo fondato sull'evolversi di relazioni umane sarà ottenuto necessariamente attraverso un lavoro costante e continuo nel tempo.

La nascita dei centri diurni Il termine Centro Diurno è per un particolare servizio, che inizialmente si definiva Centro di socializzazione o Centro di preformazione,comunque sempre in un'ottica assistenzialista e contenitiva. Esso nasceva con la L. 517/77 che aboliva anche le classi differenziali nella prospettiva dell'inserimento di tutti gli alunni nelle classi comuni della scuola pubblica italiana. Inserimento che era la premessa per una reale integrazione in ambito scolastico. Il concetto di integrazione nasce e si sviluppa nella misura in cui l'individuo "diverso" riesce a trovare uno spazio paritario all'interno della società e delle sue istituzioni. Iniziava così alla fine degli anni '70 il lungo cammino dell'integrazione, che trova la sua dimensione nel concetto di "autonomia". Autonomia era ed è un qualcosa che va perseguito, raggiunto, conquistato e consolidato. Certamente un soggetto che parte da uno svantaggio avrà bisogno di qualcosa in più per recuperare, l'autonomia perciò, parte da elementi basilari che sono la capacità di muoversi autonomamente, di acquisire capacità per la sopravvivenza, per arrivare a poter scegliere cosa "voler fare" e cosa "non voler fare". La sessualità alla base di tutto Parlando di autonomia non possiamo non considerare la dimensioni profonda e intima di una persona, che è la base della sua vita, ma che viene costruita dalla famiglia, in primis dai genitori, dai quali però ogni individuo si stacca per creare un nuovo nucleo familiare. Per un diversamente abile è un aspetto fondamentale che spesso viene ignorato, nascosto, mistificato dalla famiglia stessa, ma anche dagli insegnanti,dagli educatori, dalla realtà sociale nel suo complesso. La sessualità si articola in un rivolo di situazioni relazionali, affettive,empatiche e acquista una dimensione particolare, tanto che I toccamenti, gli abbracci, la ricerca di un contatto fisico tra le persone, anche dello stesso sesso acquistano un'importanza comunicativa fondamentale. È in questa dimensione che spesso l'educatore si trova in difficoltà nel rapportarsi con tanti diversamente abili, la sessualità, all'interno di un centro diurno, di una casa-famiglia, della famiglia stessa,non si manifesta tanto con richieste, desideri, segni di rapporti sessuali completi, collegati al senso comune dell'erotismo e del desiderio sessuale, quanto in tante piccole fumare realtà non meno importanti ma allo stato delle cose, indubbiamente talvolta, imbarazzanti. La famiglia ha una grossa responsabilità nei confronti dei propri congiunti per quanto riguarda il raggiungimento della loro piena autonomia individuale e ciò avviene anche nel controllo della loro sfera sessuale,che spesso determina una grave limitazione dell'autonomia individuale e sociale del soggetto. L'ambiente gioca un ruolo determinante nel percorso educativo verso l'autonomia, questo vale in generale, come vale per quanto riguarda la sessualità, dove la cultura dominante condizionale non solo i soggetti medesimi e le loro famiglie, ma anche insegnanti ed educatori lacune da influisce molto sul comportamento sessuale dei propri alunni o utenti.In questa ottica coloro che, già per propria cultura, mostrano una visione più aperta verso la sessualità valutano con maggiore serenità e positività il comportamento sessuale dei soggetti che hanno in carico, mentre coloro che sono più chiusi rispetto alla sessualità preferiscono far finta di non accorgersi di nulla, o se alle strette, intervenire solo per "proibire ". Sono però questi ultimi i più esposti a situazioni delicate e più difficili da

risolvere. Il messaggio che è l'educatore porge al soggetto deve essere chiaro e sincero, senza tabù, ma anche senza creare false aspettative perchè questa dimensione d'autonomia è troppo importante, è fondamentale e come sugli altri versanti ha varie sfaccettature. Insieme alla famiglia La famiglia è sempre più il nodo centrale con la diversa abilità, essa infatti è il primo nucleo essenziale per la vita di un essere vivente e secondo il modello di Olson le famiglie sono classificabili in 3 dimensioni, quella della coesione, della adattabilità, della comunicazione. La coesione si riferisce al legame emotivo che unisce i vari membri; la adattabilità si riferisce alla capacità della famiglia di cambiare la sua struttura di potere in risposta agli eventi critici; la comunicazione si riferisce alla presenza di stili comunicativi basati sull'empatia, sull'ascolto reciproco. Ed è sul piano della adattabilità che la nascita di un bambino con deficit comporta un processo di cambiamento molto doloroso, una riformulazione delle aspettative individuali e collettive e una riprogrammazione delle aspettative future. Questo è il momento in cui la famiglia dovrà intraprendere la strada della trasformazione, altrimenti continuerà a chiudersi e emarginarsi. A questo punto saranno molto diverse le risorse e la forza di adattamento della famiglia legate a molti aspetti:

  • il livello di benessere, legato alle risorse economiche della famiglia;
  • il grado di deficit e la contemporanea presenza di patologie comportamentali;
  • la disponibilità dei servizi socio-sanotari e l'accettazione da parte della famiglia stessa;
  • la disponibilità di una rete informale di solidi rapporti sociali di supporto;
  • il livello di comunicazione fra i membri della famiglia;
  • il livello di rapporto fra coniugi, sia in termini di visione comune ma anche di presenza reale di entrambi;
  • il livello di reale consapevolezza delle risorse e dei limiti sia del proprio figlio sia della famiglia stessa. La famiglia affronterà 3 fasi, quella di shock, complesso di reazioni difensive del genitore, dolore e depressione; la seconda fase porterà ambivalenza, senso di colpa reazioni aggressive, vergogna, imbarazzo; la terza fase si esprimerà in azioni rivolte al miglioramento del deficit e alla crescita del figlio attraverso una forma di adattamento e azioni rivolte al benessere della famiglia stessa, che porterà all'accettazione. Comunque in questi ultimi anni le cose stanno cambiando con le nuove generazioni di genitori. To “play” o to “game”? Quando andiamo a parlare di autonomia non possiamo pensare che essa non passi attraverso il lavoro. Non tutti i soggetti diversamente abili possono raggiungere una autonomia che permetta loro di usufruire di un lavoro, né avere le stesse opportunità per raggiungere il grado sufficiente di autonomia. Il piano di orientamento dovrebbe svilupparsi in varie fasi, che