Lo si creda o no, fa lo stesso,
abbiamo conosciuto operai che
avevano voglia di lavorare. Abbiamo
conosciuto operai che, al risveglio,
pensavano solo al lavoro.!
Si alzavano la mattina – e a quale ora
– cantando all’idea di andare al
lavoro. E cantavano alle undici,
quando si preparavano a mangiare la
loro minestra. Nel lavoro stava la loro
gioia, e la radice profonda del loro
essere. E la ragione stessa della loro
vita. Vi era un onore incredibile del
lavoro, il più bello di tutti gli onori, il
più cristiano, il solo forse che possa
rimanere in piedi.!
Abbiamo conosciuto un onore del
lavoro identico a quello che nel Medio
Evo governava le braccia e i cuori.
Proprio lo stesso, conservato intatto
nell’intimo. Abbiamo conosciuto
l’accuratezza spinta sino alla
perfezione, compatta nell’insieme,
compatta nel più minuto dettaglio.
Abbiamo conosciuto questo culto del
lavoro ben fatto perseguito e coltivato
sino allo scrupolo estremo. !
Ho veduto, durante tutta la mia
infanzia, impagliare seggiole con lo
stesso identico spirito, e col
medesimo cuore, con i quali quel
popolo aveva scolpito le proprie
cattedrali. Un tempo gli operai non
erano servi. Lavoravano. Coltivavano
un onore, assoluto, come si addice a
un onore. La gamba di una sedia
doveva essere ben fatta.!
Era naturale, era inteso. Era un
primato. Non occorreva che fosse
ben fatta per il salario, o in modo
proporzionale al salario. Non doveva
essere ben fatta per il padrone, né per
gli intenditori, né per i clienti del
padrone. Doveva essere ben fatta di
per sé, in sé, nella sua stessa natura.
Una tradizione venuta, risalita dal
profondo della razza, una storia, un
assoluto, un onore esigevano che
quella gamba di sedia fosse ben fatta.
E ogni parte della sedia che non si
vedeva era lavorata con la medesima
perfezione delle parti che si
vedevano. Secondo lo stesso
principio delle cattedrali. Non si
trattava di essere visti o di non essere
visti. Era il lavoro in sé che doveva
essere ben fatto.!
Charles Pèguy – L’argent – 1914!