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Nel documento vengono descritte le principali teorie economiche riguardanti i flussi migratori internazionali
Typology: Study notes
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Le migrazioni: storia e contemporaneità Si stima che circa 258 milioni di persone hanno lasciato i loro Paesi di nascita per stabilirsi in altre nazioni con un aumento del 49 per cento rispetto al 2000, quando erano 173 milioni, e del 18 per cento rispetto al 2010, quando se ne contavano 220 milioni. I dati sono desunti dal rapporto Onu sulle migrazioni internazionali. Guardando all'evoluzione storica dei contesti migratori, prima del 1914 le immigrazioni Europee si concentravano verso le Americhe e l'Oceania. " Tra il 1846 e il 1876 l’emigrazione complessiva dall’Europa coinvolse circa 300 mila persone l’anno. Da quel momento in poi prese avvio l’epoca delle migrazioni di massa: intorno al 1890 la cifra era già salita a 800 mila partenze all’anno, mentre all’inizio del XX secolo si arrivarono a contare flussi annuali di oltre un milione di persone".^1
Fig. 1.1 Emigrazione Dall'Europa, 1846-
Fonte: Hatton and Williamson, 2005. Nel secondo dopo guerra si determinò una svolta nei flussi migratori Europei: se, infatti, negli anni Cinquanta una quota importante di popolazione Europea continuava ad emigrare verso America ed Australia, tuttavia l'Europa nord-occidentale cominciò a diventare una delle mete di destinazione dei movimenti internazionali di lavoratori. L’Italia ha vissuto tale trasformazione più tardi, insieme ad altri paesi sud europei come Spagna, (^1) Cit. L'evoluzione storica dei flussi migratori in Europa e in Italia, Giulia Bettin
Portogallo e Grecia. In tempi recenti questo trend coinvolge i paesi dell’Est entrati nell’UE, che pur rilevando ancora importanti flussi di emigrazione verso l’Europa occidentale vedono nel contempo aumentare la loro capacità attrattiva nei confronti dei cittadini di molti paesi limitrofi dell’ex Unione Sovietica e dell’Asia centrale In questa prospettiva la mobilita internazionale del lavoro accentua le dinamiche dell'economia internazionale ed è da sempre oggetto di indagine a livello di teorie economiche che analizzano il fenomeno secondo vari livelli di scomposizione dei flussi e dei meccanismi di interdipendenza degli stessi in una logica di approccio microeconomico o macroeconomico.
Teorie e modelli, una comparazione analitica Vari modelli teorici sono stati delineati per spiegare le migrazioni internazionali. In particolare, l’economia neoclassica si concentra sia sui differenziali nei salari e sulle condizioni di lavoro tra due paesi, sia sui costi di trasferimento. In sostanza le migrazioni vengono interpretate come una decisione individuale finalizzata a massimizzare il proprio reddito. La cosiddetta “new economics of migration” prende invece in considerazione una varietà di mercati, non solo quello del lavoro e le migrazioni rappresentano una decisione familiare assunta per minimizzare i rischi riguardanti il reddito complessivo del nucleo familiare o per superare gli ostacoli finanziari legati alle attività produttive. E’ quindi il reddito fattore catalizzatore dei comportamenti sociali. Le due teorie del doppio mercato e dei sistemi mondiali prescindono il livello micro dei processi decisionali, focalizzando l’analisi sui fattori che operano a livelli di aggregazione più elevati: la prima teoria collega le migrazioni alle esigenze strutturali delle moderne economie mentre la seconda considera l’immigrazione come la conseguenza della globalizzazione dell’economia e della penetrazione del mercato. Le diverse teorie descritte appuntano l'analisi a differenti livelli: individuale, familiare, nazionale, internazionale ne discende che tali teorie non sono a priori incompatibili. E’ possibile, ad esempio, che gli individui agiscano per massimizzare il proprio reddito mentre le famiglie per minimizzare i rischi e lo scenario nel quale vengono prese queste decisioni sia condizionato da fattori che operano a livello nazionale ed internazionale. Non solo
La tabella mostra che i salari reali del 1870 erano molto più alti nei paesi di destinazione che in quelli di origine dei flussi migratori. Fino dalla prima guerra mondiale nel 1913, in salari sono aumentati molto più velocemente nei paesi di origine che in quelli .di destinazione ad eccezione del Canada. Ne discende che i flussi migratori hanno causato effettivamente una convergenza (seppure non completa) dei salari. Nelle teorie microeconomiche a livello individuale la decisione di emigrare è invece collegata ad un bilancio costi/benefici (migrazione in termini di investimento in capitale umano). Le persone decidono di spostarsi là dove possono essere più produttive in relazione alla loro competenza; prima di poter ottenere salari più elevati connessi alla maggiore produttività lavorativa devono essere affrontati alcuni investimenti, che includono i costi di trasferimento e della sopravvivenza in attesa di trovare un lavoro, la necessità di imparare una lingua e di adattarsi al nuovo ambiente lavorativo, i costi psicologici collegati al taglio dei vecchi legami e alla costruzione di nuovi legami. Emergono dunque alcuni elementi che in parte differiscono da quelli posti nell’ambito della formulazione macroeconomia:
The “New economics Migration ” Un elemento chiave di questo approccio si basa sull’assunto che le decisioni di migrare non sono prese dai singoli individui isolati ma nell’ambito di insiemi più ampi costituiti da persone imparentate – nuclei o famiglie – che agiscono collettivamente non solo per massimizzare le capacità reddituali ma anche per minimizzare i rischi e allentare le limitazioni associate alla molteplice casistica di mercati esposti al rischio di fallimento^2 (markets failures), a parte quelli connessi al mercato del lavoro. I modelli teorici derivanti da questo approccio presentano un insieme di ipotesi alquanto differenti da quelle proprie della teoria neoclassica:
lavoratori dispongono di una occupazione stabile, qualificata e aggiornata in funzione dell’evoluzione tecnologica a si affianca un settore “secondario” (labor intensive secondary sector) dove la fluttuazione del ciclo economico è determinata dal lavoro e quindi dipendente anche dai flussi migratori specie per le occupazioni meno specializzate. d) Demografia dell’offerta della forza di lavoro. Esiste una domanda permanente di lavoratori che sono disponibili a lavorare in condizioni disagevoli e con bassi salari, domanda che in passato veniva soddisfatta da donne e i giovani. Nelle società industriali avanzate queste due fonti di approvvigionamento di forza lavoro si sono andate esaurendo a causa fenomeni socio-demografici come, ad esempio l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e il declino delle nascite. Lo squilibrio tra la domanda strutturale per certe tipologie di occupazioni (entry – level workers) e la carenza dell’offerta di mano d’opera nazionale ha prodotto un aumento a lungo termine della forza di lavoro straniera influenzando i flussi migratori. Questa teoria, anche se non si pone in netto contrasto con l’approccio economico neoclassico, porta ad implicazioni diverse da quelle emerse dai modelli decisionali a livello micro:
La teoria del sistema globale (world systems theory) Questa teoria collega l’origine dei flussi migratori alla struttura globale del mercato che si è andato sviluppando e dal XVI secolo. Le migrazioni costituiscono cioè la naturale conseguenza del processo di sviluppo capitalistico, che produce una serie di fattori attrattivi verso i PS: