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Flussi migratori e modelli economici, Study notes of Geography

Nel documento vengono descritte le principali teorie economiche riguardanti i flussi migratori internazionali

Typology: Study notes

2018/2019

Uploaded on 07/25/2019

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FLUSSI MIGRATORI: MODELLI ECONOMICI A CONFRONTO
Le migrazioni: storia e contemporaneità
Si stima che circa 258 milioni di persone hanno lasciato i loro Paesi di nascita per stabilirsi in altre nazioni con
un aumento del 49 per cento rispetto al 2000, quando erano 173 milioni, e del 18 per cento rispetto al 2010,
quando se ne contavano 220 milioni. I dati sono desunti dal rapporto Onu sulle migrazioni internazionali.
Guardando all'evoluzione storica dei contesti migratori, prima del 1914 le immigrazioni Europee si
concentravano verso le Americhe e l'Oceania. " Tra il 1846 e il 1876 l’emigrazione complessiva dall’Europa
coinvolse circa 300 mila persone l’anno. Da quel momento in poi prese avvio l’epoca delle migrazioni di
massa: intorno al 1890 la cifra era già salita a 800 mila partenze all’anno, mentre all’inizio del XX secolo si
arrivarono a contare flussi annuali di oltre un milione di persone".
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Fig. 1.1 Emigrazione Dall'Europa, 1846-1924
Fonte: Hatton and Williamson, 2005.
Nel secondo dopo guerra si determinò una svolta nei flussi migratori Europei: se, infatti, negli anni Cinquanta
una quota importante di popolazione Europea continuava ad emigrare verso America ed Australia, tuttavia
l'Europa nord-occidentale cominciò a diventare una delle mete di destinazione dei movimenti internazionali di
lavoratori. L’Italia ha vissuto tale trasformazione più tardi, insieme ad altri paesi sud europei come Spagna,
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Cit. L'evoluzione storica dei flussi migratori in Europa e in Italia, Giulia Bettin
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FLUSSI MIGRATORI: MODELLI ECONOMICI A CONFRONTO

Le migrazioni: storia e contemporaneità Si stima che circa 258 milioni di persone hanno lasciato i loro Paesi di nascita per stabilirsi in altre nazioni con un aumento del 49 per cento rispetto al 2000, quando erano 173 milioni, e del 18 per cento rispetto al 2010, quando se ne contavano 220 milioni. I dati sono desunti dal rapporto Onu sulle migrazioni internazionali. Guardando all'evoluzione storica dei contesti migratori, prima del 1914 le immigrazioni Europee si concentravano verso le Americhe e l'Oceania. " Tra il 1846 e il 1876 l’emigrazione complessiva dall’Europa coinvolse circa 300 mila persone l’anno. Da quel momento in poi prese avvio l’epoca delle migrazioni di massa: intorno al 1890 la cifra era già salita a 800 mila partenze all’anno, mentre all’inizio del XX secolo si arrivarono a contare flussi annuali di oltre un milione di persone".^1

Fig. 1.1 Emigrazione Dall'Europa, 1846-

Fonte: Hatton and Williamson, 2005. Nel secondo dopo guerra si determinò una svolta nei flussi migratori Europei: se, infatti, negli anni Cinquanta una quota importante di popolazione Europea continuava ad emigrare verso America ed Australia, tuttavia l'Europa nord-occidentale cominciò a diventare una delle mete di destinazione dei movimenti internazionali di lavoratori. L’Italia ha vissuto tale trasformazione più tardi, insieme ad altri paesi sud europei come Spagna, (^1) Cit. L'evoluzione storica dei flussi migratori in Europa e in Italia, Giulia Bettin

Portogallo e Grecia. In tempi recenti questo trend coinvolge i paesi dell’Est entrati nell’UE, che pur rilevando ancora importanti flussi di emigrazione verso l’Europa occidentale vedono nel contempo aumentare la loro capacità attrattiva nei confronti dei cittadini di molti paesi limitrofi dell’ex Unione Sovietica e dell’Asia centrale In questa prospettiva la mobilita internazionale del lavoro accentua le dinamiche dell'economia internazionale ed è da sempre oggetto di indagine a livello di teorie economiche che analizzano il fenomeno secondo vari livelli di scomposizione dei flussi e dei meccanismi di interdipendenza degli stessi in una logica di approccio microeconomico o macroeconomico.

Teorie e modelli, una comparazione analitica Vari modelli teorici sono stati delineati per spiegare le migrazioni internazionali. In particolare, l’economia neoclassica si concentra sia sui differenziali nei salari e sulle condizioni di lavoro tra due paesi, sia sui costi di trasferimento. In sostanza le migrazioni vengono interpretate come una decisione individuale finalizzata a massimizzare il proprio reddito. La cosiddetta “new economics of migration” prende invece in considerazione una varietà di mercati, non solo quello del lavoro e le migrazioni rappresentano una decisione familiare assunta per minimizzare i rischi riguardanti il reddito complessivo del nucleo familiare o per superare gli ostacoli finanziari legati alle attività produttive. E’ quindi il reddito fattore catalizzatore dei comportamenti sociali. Le due teorie del doppio mercato e dei sistemi mondiali prescindono il livello micro dei processi decisionali, focalizzando l’analisi sui fattori che operano a livelli di aggregazione più elevati: la prima teoria collega le migrazioni alle esigenze strutturali delle moderne economie mentre la seconda considera l’immigrazione come la conseguenza della globalizzazione dell’economia e della penetrazione del mercato. Le diverse teorie descritte appuntano l'analisi a differenti livelli: individuale, familiare, nazionale, internazionale ne discende che tali teorie non sono a priori incompatibili. E’ possibile, ad esempio, che gli individui agiscano per massimizzare il proprio reddito mentre le famiglie per minimizzare i rischi e lo scenario nel quale vengono prese queste decisioni sia condizionato da fattori che operano a livello nazionale ed internazionale. Non solo

La tabella mostra che i salari reali del 1870 erano molto più alti nei paesi di destinazione che in quelli di origine dei flussi migratori. Fino dalla prima guerra mondiale nel 1913, in salari sono aumentati molto più velocemente nei paesi di origine che in quelli .di destinazione ad eccezione del Canada. Ne discende che i flussi migratori hanno causato effettivamente una convergenza (seppure non completa) dei salari. Nelle teorie microeconomiche a livello individuale la decisione di emigrare è invece collegata ad un bilancio costi/benefici (migrazione in termini di investimento in capitale umano). Le persone decidono di spostarsi là dove possono essere più produttive in relazione alla loro competenza; prima di poter ottenere salari più elevati connessi alla maggiore produttività lavorativa devono essere affrontati alcuni investimenti, che includono i costi di trasferimento e della sopravvivenza in attesa di trovare un lavoro, la necessità di imparare una lingua e di adattarsi al nuovo ambiente lavorativo, i costi psicologici collegati al taglio dei vecchi legami e alla costruzione di nuovi legami. Emergono dunque alcuni elementi che in parte differiscono da quelli posti nell’ambito della formulazione macroeconomia:

  1. le caratteristiche individuali del capitale umano che incrementa il probabile tasso di remunerazione o la probabilità di occupazione nel paese di destinazione rispetto al paese di partenza (per esempio: istruzione, esperienze, training, conoscenze linguistiche) tendono ad incrementare la probabilità di movimenti internazionali
  2. Le condizioni sociali o le tecnologie che abbassano i costi degli spostamenti incrementano i proventi netti derivanti dall’emigrazione e in tal modo si alza la probabilità dei movimenti internazionali
  3. le migrazioni internazionali non avvengono in assenza di differenze nei tassi salariali e/o di occupazione tra stati. Le migrazioni avvengono fino a quando i proventi attesi (cioè il prodotto tra tassi di guadagno e di occupazione) sono uguagliati a livello internazionale (netto dei costi di trasferimento) e i movimenti non terminano fino a quando questo prodotto è stato uguagliato
  1. l’ampiezza del differenziale nei proventi attesi determina la consistenza dei flussi
  2. i governi controllano l’immigrazione principalmente attraverso politiche che riguardano i guadagni attesi nel paese di provenienza e/o di arrivo: ad esempio con provvedimenti (nei paesi d’arrivo) miranti a diminuire la probabilità di lavorare o aumentare il rischio di sottooccupazione (sanzioni contro i datori di lavoro), con azioni finalizzate ad acuire i costi materiali e psicologici del trasferimento, con interventi tendenti ad alzare i redditi (programmi di sviluppo a lungo termine nei paesi di provenienza).

The “New economics Migration ” Un elemento chiave di questo approccio si basa sull’assunto che le decisioni di migrare non sono prese dai singoli individui isolati ma nell’ambito di insiemi più ampi costituiti da persone imparentate – nuclei o famiglie – che agiscono collettivamente non solo per massimizzare le capacità reddituali ma anche per minimizzare i rischi e allentare le limitazioni associate alla molteplice casistica di mercati esposti al rischio di fallimento^2 (markets failures), a parte quelli connessi al mercato del lavoro. I modelli teorici derivanti da questo approccio presentano un insieme di ipotesi alquanto differenti da quelle proprie della teoria neoclassica:

  1. non l’individuo a se stante ma i nuclei, le famiglie (o altre unità culturalmente definite) di produzione e di consumo costituiscono l’appropriato riferimento per la ricerca in ambito migratorio
  2. il differenziale salariale non è una condizione necessaria affinché si realizzino le migrazioni; i nuclei familiari possono decidere di diversificare i rischi tramite i movimenti transnazionali anche in assenza di differenziali salariali
  3. l’eliminazione di differenziali salariali tra paesi non comporta necessariamente il blocco dei movimenti internazionali in quanto gli alti mercati dei PVS possono essere assenti, imperfetti o squilibrati

lavoratori dispongono di una occupazione stabile, qualificata e aggiornata in funzione dell’evoluzione tecnologica a si affianca un settore “secondario” (labor intensive secondary sector) dove la fluttuazione del ciclo economico è determinata dal lavoro e quindi dipendente anche dai flussi migratori specie per le occupazioni meno specializzate. d) Demografia dell’offerta della forza di lavoro. Esiste una domanda permanente di lavoratori che sono disponibili a lavorare in condizioni disagevoli e con bassi salari, domanda che in passato veniva soddisfatta da donne e i giovani. Nelle società industriali avanzate queste due fonti di approvvigionamento di forza lavoro si sono andate esaurendo a causa fenomeni socio-demografici come, ad esempio l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e il declino delle nascite. Lo squilibrio tra la domanda strutturale per certe tipologie di occupazioni (entry – level workers) e la carenza dell’offerta di mano d’opera nazionale ha prodotto un aumento a lungo termine della forza di lavoro straniera influenzando i flussi migratori. Questa teoria, anche se non si pone in netto contrasto con l’approccio economico neoclassico, porta ad implicazioni diverse da quelle emerse dai modelli decisionali a livello micro:

  1. le migrazioni internazionali di lavoro sono causate in modo predominante dai fattori di domanda e hanno inizio con il reclutamento da parte di imprenditori (o dei governi) dei paesi sviluppati (PS)
  2. i differenziali salariali non sono una condizione né necessaria né sufficiente per dar luogo all’immigrazione
  3. i livelli salariali bassi possono diminuire come risultato dell’incremento dell’offerta di forza di lavoro straniera
  1. gli immigrati corrispondono ad una domanda di lavoro, che è una componente intrinseca delle economie moderne e post-industriali e la gestione di questa domanda di lavoro richiede consistenti modifiche dell’organizzazione economica.

La teoria del sistema globale (world systems theory) Questa teoria collega l’origine dei flussi migratori alla struttura globale del mercato che si è andato sviluppando e dal XVI secolo. Le migrazioni costituiscono cioè la naturale conseguenza del processo di sviluppo capitalistico, che produce una serie di fattori attrattivi verso i PS:

  • sviluppo delle vie di comunicazione tra PS e PVS(paesi in via di sviluppo) con conseguente abbassamento dei costi
  • legami ideologici e culturali mediati tramite i mezzi di comunicazione di massa e di pubblicità, con conseguente assunzione di questi modelli da parte delle popolazione dei PVS
  • città globali con concentrazione dei servizi finanziari, amministrativi e professionali.