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diritto internazionale pubblico riassunti
Typology: Essays (university)
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Diritto internazionale. Riassunti conforti:Introduzione Definizione del diritto internazionale Il diritto internazionale può essere definito come il diritto della comunità degli Stati. Si tratta di un complesso di norme che nascono dalla cooperazione tra gli Stati e si collocano al di sopra di ogni stato. Si dice anche che il diritto internazionale regola i rapporti tra Stati, ma questa definizione è un po' equivoca perché oggi si assiste alla tendenza al c.d. "internazionalismo", perché il diritto internazionale disciplina anche molti aspetti commerciali, sociali ed economici e non è più un semplice "diritto per diplomatici", ma viene continuamente applicato direttamente dai giudici interni, nazionali. Oggi si tende anche a distinguere il diritto internazionale pubblico dal diritto internazionale privato. In realtà bisogna precisare che non si tratta di due branche dello stesso ordinamento, ma di due ordinamenti diversi: il diritto internazionale privato è formato da quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato, stabilendo quando esso va applicato e quando invece il giudice nazionale deve applicare le norme del diritto privato straniere. In Italia la materia è regolata dalla legge 218/95. FUNZIONI DI PRODUZIONE, ACCERTAMENTO E ATTUAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Dando uno sguardo alle caratteristiche dell’ordinamento internazionale troviamo tre funzioni:
esistono veri e propri mezzi giuridici per reagire efficacemente ed imparzialmente alle violazioni delle norme internazionali. Ciò che bisogna superare è però l'idea dell'arbitrio del singolo Stato, altrimenti si legittimerebbe la possibilità dello Stato stesso di sciogliersi liberamente in qualsiasi momento da qualunque impegno internazionale. I SOGGETTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Il diritto internazionale si indirizza principalmente agli stati;ai fini di individuare lo stato soggetto di diritto internazionale bisogna specificare cosa intendiamo per Stato, poiché, a livello di definizione, possiamo distinguerlo in Stato - comunità o in Stato - organizzazione. Lo stato comunità fa riferimento ad un insieme di individui che si stanzia su una porzione di superficie terrestre ed è sottoposta a delle regole che lo tengono unito. lo stato organizzazione, invece, è costituita dall'insieme degli organi dello stato che esercitano sui singoli associati il potere di imperio. La qualifica di soggetto del diritto internazionale spetta solo allo Stato - organizzazione, non allo Stato
soltanto le lacune del diritto internazionale; il loro rapporto sarebbe invece il normale rapporto tra norme di pari grado. Bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinaria italiana al diritto internazionale generale comporta l'illegittimità costituzionale della legge stessa, per violazione dell'articolo 10: tale illegittimità potrà dichiararsi anche in caso di contrarietà ad un principio generale di diritto riconosciuto dalle Nazioni civili. ALTRE PRESUNTE NORME GENERALI NON SCRITTE: I PRINCIPI DEL QUADRI Una parte della dottrina pone al di sopra delle norme consuetudinarie un'altra categorie di norme generali non scritte: i principi garantiti costituzionalmente. il più vigoroso sostenitore di tale teoria è il Quadri. secondo quest’ultimo i principi costituirebbero le norme primarie del diritto internazionale, in quanto "espressione immediata e diretta della volontà del corpo sociale". Tra questi principi esisterebbero quelli formali, che si limitano a istituire ulteriori fonti di norme internazionali, e quelli materiali, che disciplinerebbero direttamente i rapporti tra gli Stati. I principi formali sarebbero consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. I principi materiali potrebbero avere qualsiasi contenuto a secondo della materia che si disciplina. Questa impostazione non è accettabile. Non si possono ricostruire principi materiali indipendentemente dall'uso e ricostruirli fino alle estreme conseguenze, perché si aprirebbe la strada all'abuso. Inoltre l'interprete interno, dovendo stabilire quali norme internazionali generali siano da applicare in Italia ex art.10 Cost., si dovrebbe chiedere di volta in volta se non vi siano "imposizioni" in una determinata materia da parte delle forze dominanti nella comunità internazionale. Può essere considerata l'equità come fonte di norme internazionali? L'equità può essere considerata come il comune sentimento del giusto e dell'ingiusto. Si ritiene che a parte la c.d. equità secundum o infra legem, ossia la possibilità di utilizzare l'equità soltanto come ausilio interpretativo e a parte quando un tribunale internazionale sia espressamente autorizzato a giudicare ex aequo et bono, la risposta deve essere negativa. Ovviamente sarà da escludere l'equità contra legem, contraria cioè a norme consuetudinarie o pattizie, oltre che quella praeter legem, diretta a colmare le lacune del diritto internazionale. IL VALORE DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE Bisogna esaminare il problema se esistano o meno norme internazionali generali scritte. E questo problema si pone innanzitutto per le codificazioni promosse dalle Nazioni Unite. L'opera di codificazione è nata con le Nazioni Unite e siccome nella comunità internazionale manca un'autorità con poteri legislativi, il Trattato è l'unico strumento per la trasformazione del diritto non scritto in diritto scritto. L'articolo 13 della Carta delle Nazioni Unite prevede che l'Assemblea generale intraprenda degli studi e faccia raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo del diritto internazionale e la sua codificazione. A tali fini l'Assemblea ha creato un'apposita Commissione incaricata di provvedere alla preparazione di testi di codificazione delle norme consuetudinarie relative a determinate materie, procedendo a studi, raccogliendo dati e predisponendo in tal modo progetti di convenzioni multilaterali internazionali che vengano poi adottati e aperti alla ratifica e all'adesione da parte degli Stati stessi. Il primo problema che si pone è se, vista la codificazione e la ratifica, vincolano soltanto gli Stati contraenti o anche gli Stati terzi? Bisogna andare molto cauti nel considerare gli accordi di codificazione come corrispondenti al diritto consuetudinario generale e soprattutto nell'estenderli ai Paesi non contraenti. Innanzitutto non si può riporre un'illimitata fiducia nei lavori della Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, perché spesso ci può essere l'influenza dell'interprete o anche di chi è chiamato a far parte della Commissione stessa. Inoltre gli Stati fanno quello che si fa sempre in sede di conclusione delle trattative per la conclusione degli accordi internazionali: cercano di far prevalere i propri interessi, le proprie convinzioni. Infine, l'art. 13 parla di "sviluppo progressivo" ma si rischia di far introdurre norme che erano abbastanza incerte sul piano del diritto internazionale. Per queste ragioni, gli accordi di codificazione vanno considerati come normali accordi internazionali e quindi vincolano i soli Stati contraenti che li ratificano. Un grosso problema si creerebbe al verificarsi del fenomeno del c.d. ricambio delle norme contenute dall'accordo. Ammesso che l'accordo di codificazione sia coincidente con il diritto internazionale consuetudinario al momento della sua redazione, è ben possibile che in epoca successiva il diritto consuetudinario subisca dei cambiamenti per effetto della mutata pratica degli Stati. Si può anche verificare anche il fenomeno dell'invecchiamento dell'accordo di codificazione man mano che gli interessi mutano e i rapporti si evolvono, come anche dimostrato dal diritto dei
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trattati. Che succede allora? Innanzitutto questo fenomeno riconferma la tesi che a maggior ragione i principi non si possono applicare agli Stati non contraenti, mentre per gli Stati contraenti sarà necessario dimostrare che essi abbiano la volontà di derogare all'accordo nella prassi, altrimenti si applica il diritto consuetudinario contenuto nell'accordo. LE DICHIARAZIONI DI PRINCIPI DELL'ASSEMBLEA DELL'ONU Nel tema del diritto internazionale generale si inquadra anche il problema del valore delle Dichiarazioni di principi emanate dall'Assemblea delle Nazioni Unite. Si tratta di dichiarazioni contenenti una serie di regole che talvolta riguardano i rapporti tra Stati. Bisogna sottolineare che le Dichiarazioni non costituiscono un'autonoma fonte di norme internazionali generali, poiché l'Assemblea generale delle Nazioni Unite non ha poteri legislativi mondiali (tanto che si esprime mediante raccomandazione, che ha valore di esortazione, non vincolante). Tuttavia le Dichiarazioni svolgono un ruolo assai importante ai fini dello sviluppo internazionale e al suo adeguamento alle esigenze di solidarietà e di interdipendenza. Per quanto riguarda il diritto consuetudinario, le Dichiarazioni vengono in rilievo, ai fini della sua formazione, in quanto prassi degli Stati, in quanto somma degli atteggiamenti degli Stati che le adottano, e non come atti dell'ONU. Certe dichiarazioni o parti di Dichiarazioni hanno valore di veri e propri accordi internazionali: sono quelle che non solo enunciano un principio ma in modo espresso e inequivocabile ne equiparano l'inosservanza alla violazione della Carta. Tuttavia, poiché l'Assemblea non ha poteri interpretativi sovrani che vincolerebbero tutti gli Stati a quell'interpretazione, anche le Dichiarazioni restano delle mere raccomandazioni, dal punto di vista della Carta. Hanno però carattere di accordo e come tale vincolano gli Stati che le abbiano approvate e vanno inquadrate come accordi in forma semplificata. I TRATTATI L'accordo internazionale può essere definito come l'unione o l'incontro della volontà di due o più stati, dirette a regolare una determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi. Anche i trattati possono dar vita sia a norme materiali, cioè a regole che direttamente disciplinano i rapporti tra destinatari, imponendo obblighi o attribuendo diritti, sia a norme formali o strumentali, che si limitano cioè ad istituire fonti per la creazione di ulteriori norme. A questa categoria appartengono i trattati costitutivi di organizzazioni internazionali, che oltre a disciplinare direttamente certi rapporti tra gli Stati membri. Come nel diritto interno i contratti sono subordinati alla legge, così i trattati sottostanno alle consuetudini (pacta sunt servanda)che ne disciplinano il procedimento di formazione, i requisiti di validità ed efficacia;tale complesso di leggi forma il c.d. diritto dei trattati ed ad esso è dedicato un intera convenzione. Di Vienna del 1969,in vigore dal 27.01.1980 e ratificata dall'Italia con legge 112/74. Secondo quanto la stessa Convenzione stabilisce all'art. 4. il suo campo di applicazione non tocca le regole meramente riproduttive delle norme consuetudinarie generali, che, proprio perché generali, valgono per tutti gli Stati e per tutti i trattati. Come si arriva alla conclusione di un accordo? Il procedimento di formazione dei trattati consta di due modalità:il procedimento formale o solenne e il procedimento in forma semplificata. Il procedimento in forma solenne o normale consta di 4 fasi: a)NEGOZIAZIONE:La negoziazione del testo è operata dai plenipotenziari che in base all’ art 7 predispongono il testo del accordo e lo sottoscrivono in forma non vincolante per gli stati. b)FIRMA:i negoziati si chiudono con l’apposizione della firma al testo votato dai plenipotenziari. Il testo risulta cosi AUTENTICATO ed un eventuale modifica può essere apportata solo mediante nuova negoziazione. c)RATIFICA o adesione:con la ratifica ogni stato si impegna ad osservare il trattato mediante il procedimento disciplinato dalla costituzione dei singoli stati. per ciò che riguarda l’Italia l’art.87 della costituzione dispone che il presidente della repubblica ratifica i trattati internazionali sempre e solo quando occorre con l’autorizzazione delle camere;l’art.80 specifica che l’autorizzazione delle camere è necessaria quando i trattati in questione hanno carattere politico,prevedono regolamenti giudiziari,variazioni del territorio nazionale e oneri alle finanze. dette norme vanno poi combinate con l’art.89 secondo cui nessun atto del presidente della repubblica è valido senza la controfirma del ministro che se ne assume la responsabilità. il presidente della repubblica non può rifiutarsi di ratificare il trattato al più può invitare l’esecutivo al riesame del trattato.
rispondere di inadempimento per degli altri. La Convenzione di Vienna è orientata in tal senso, ma all'art. 41 precisa che due o più parti di un trattato non possono concludere un accordo mirante a modificarlo, sia pure nei loro rapporti reciproci, quando la modifica è vietata dal trattato multilaterale, oppure pregiudica la posizione delle altre parti contraenti oppure è incompatibile con la realizzazione dell'oggetto e dello scopo del trattato nel suo insieme. L'espressione "non possono" è molto ambigua, ma si ritiene che non figuri una causa di invalidità,ma illiceità e responsabilità internazionale. Le riserve nei trattati La riserva indica la volontà dello Stato di non accettare certe clausole del trattato o di accettarle con alcune modifiche, oppure secondo una determinata interpretazione (c.d. riserva interpretativa). Così facendo tra lo Stato autore della riserva e gli altri Stati contraenti, l'accordo si forma solo per la parte non investita dalla riserva, mentre il trattato resta integralmente applicabile agli altri Stati. Ovviamente la riserva ha senso per i soli trattati multilaterali, soprattutto quello stipulati da un numero rilevante di Stati. Nei trattati bilaterali, lo Stato che non vuole assumere certi impegni deve solo proporre alla controparte di non includerli nel testo. L'istituto della riserva,allora, serve a facilitare la larga partecipazione degli Stati ai trattati multilaterali. Secondo il diritto internazionale tradizionale, la possibilità di apporre riserve doveva essere tassativamente concordata nella fase di negoziazione e quindi doveva figurare nel testo del trattato predisposto dai plenipotenziari. In mancanza, lo Stato non aveva altra alternativa se non quella di ratificare il trattato. Due erano i modi per i quali era possibile apporre riserve: o i singoli Stati dichiaravano al momento della negoziazione di non voler accettare alcune clausole, oppure il testo prevedeva genericamente la facoltà di apporre riserve al momento della ratifica o dell'adesione, e in tal sede ogni Stato valutava se avvalersi o meno di tale facoltà. In quest'ultimo caso era comunque necessario che il testo specificasse quali clausole potevano essere oggetto di riserva. Oggi invece si assiste ad un'evoluzione. Un parere del 1951 della Corte Internazionale di Giustizia affermò che una riserva può essere anche formulata all'atto della ratifica, anche se la relativa facoltà non è espressamente prevista nel testo del trattato purché essa sia compatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato; purché, in altre parole, essa non riguardi clausole fondamentali e caratterizzanti l'intero trattato, altrimenti non si configurerebbe neanche l'accordo. Il parere della Corte ha influenzato la redazione del testo della Convenzione di Vienna, nella quale è codificato il principio che una riserva può essere sempre formulata purché non sia espressamente esclusa dal testo del trattato e purché non sia incompatibile con lo scopo e l'oggetto del trattato medesimo. Se la riserva non è prevista dal testo del trattato e nessuno la contesta entro dodici mesi dalla notifica della riserva stessa alle altri parti contraenti, essa si intende accettata. Dopo la Convenzione, la prassi internazionale ha non solo confermato quanto disposto, ma ha anche portato innovazioni, riconoscendo, ad esempio, la possibilità che uno Stato formuli le riserve in un momento successivo rispetto a quello in cui aveva ratificato il trattato, purché nessuna delle altre parti contraenti sollevi obiezioni contro il ritardo. La tendenza più innovatrice si ricava dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani: se lo Stato formula una riserva inammissibile (perché espressamente esclusa dal testo o perché contraria all'oggetto o allo scopo del trattato), tale inammissibilità non comporta l'estraneità dello Stato stesso rispetto al trattato, ma l'invalidità della sola riserva che si avrà per non apposta. Bisogna però osservare che la giurisprudenza della Corte europea riguarda solo la Convenzione europea dei diritti umani e ogni estensione ad altri tipi di trattati è prematura. Quando alla formazione della volontà dello Stato concorrono più organi, può darsi che l'apposizione di una riserva sia decisa da uno, ma non dagli altri. Cosa succede se il Governo non tiene conto di una riserva decisa dal Parlamento o formula una riserva che il Parlamento non ha voluto? Casi del genere si sono anche verificati in Italia e le opinioni dottrinali in merito sono svariate. Alcuni ritengono che il Governo possa apporre riserve, in quanto gestore dei rapporti internazionali, mentre la tesi opposta, muovendo da posizioni più garantiste e dalla necessità della collaborazione tra i due organi, sostiene che il governo non possa apporre riserve non volute dal Parlamento. A nostro avviso la questione si risolve tenendo conto due principi costituzionali cardine: la formazione e manifestazione della volontà dello Stato e la responsabilità del Governo dall'altra. Sotto il primo profilo una riserva è valida sia che venga formulata solo dal Parlamento, sia solo e autonomamente dal Governo. Tuttavia se il Governo decide di discostarsi in tema di riserve da
quanto deliberato in Parlamento, rischierebbe il ricorso dell'organo legislativo ai meccanismi della messa in gioco della responsabilità governativa. Siccome per il diritto internazionale è irrilevante la responsabilità del Governo, ma si preoccupa della formazione della volontà dello Stato, la riserva resta comunque valida, tranne nel caso in cui la riserva fosse contenuta nella legge di autorizzazione e di cui il Governo non tenga conto in cui si verificherebbe una violazione grave del diritto interno e dovrà ritenersi che lo Stato non resti impegnato per detta parte se e finché il Parlamento non revochi espressamente o implicitamente la riserva. L'INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI Oggi si tende ad abbandonare il metodo c.d. subiettivistico, in base al quale si renderebbe in ogni caso necessaria la ricerca della volontà effettiva delle parti come contrapposta alla volontà dichiarata. Si deve attribuire al trattato il senso che è fatto palese dal suo testo, che risulta dai rapporti di connessione logica tra le varie parti del testo. In questo senso i lavori preparatori assumono un ruolo importante di sussidio, potendosi ad essi ricorrere in presenza di un testo ambiguo e lacunoso. La Convenzione di Vienna si pronuncia a favore del metodo obiettivistico, pronunciandosi sull'interpretazione agli artt.31-33. Il trattato deve essere interpretato in buona fede, secondo il significato ordinario da attribuirsi ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce dell'oggetto e dello scopo del trattato stesso. I lavori preparatori sono un mezzo supplementare di integrazione, da usare quando il testo è particolarmente oscuro o porta ad un risultato assurdo e irragionevole. Valgono per l'interpretazione dei trattati anche le regole che la teoria generale ha elaborato per l'interpretazione delle norme giuridiche. Ci riferiamo alle regole sull'interpretazione restrittiva o estensiva, come quella che tra i diversi significati occorre scegliere quello più favorevole alla parte più onerata o al contraente più debole. interprete può ricorrere ad un'interpretazione estensiva o anche all'analogia. La Convenzione di Vienna non avalla interpretazioni unilateralistiche dei trattati. Si deve pertanto escludere che una norma contenuta in un accordo internazionale, a meno che ovviamente non disponga essa stessa in tal senso, possa assumere significati differenti a seconda dello Stato contraente al quale, o all'interno del quale, debba applicarsi. Due regole sono significative: una è quella dell'art.33 che, nel caso di testi non concordanti redatti in più lingue ufficiali, impone un'interpretazione che comunque concili tutti i testi. L'altra è quella dell'art.31 che è la regola favorevole al metodo obiettivistico. Non si applicano però le norme interpretative del diritto interno agli Stati. LA SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI Il problema della successione nei trattati si pone quando uno Stato si sostituisce ad un altro nel governo di un territorio. E' o non è vincolato dai trattati stipulati dal suo predecessore e in vigore in quel territorio? La sostituzione può avvenire per la cause e nei modi più svariati: per effetto di cessione o conquista, sotto la sovranità dello Stato esistente oppure si costituisce uno Stato nuovo e indipendente. Alla successione degli Stati nei trattati è dedicata una Convenzione di codificazione, predisposta dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite e firmata a Vienna nel 1978. Un principio pacifico per la dottrina e la prassi in materia di successione, enunciato anche dalla Convenzione, è quello per cui lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad un altro nel governo di una comunità territoriale è vincolato dai trattati o dalle clausole di un trattato localizzabile, cioè che riguardano l'uso di determinate parti di territorio, conclusi dal predecessore. In questa categoria rientrano i trattati che istituiscono servitù attive o passive nei confronti degli Stati vicini, la concessione in affitto di parti del territorio, i trattati che prevedono la libera navigazione dei fiumi e simili. La successione nei trattati localizzabili incontra un limite che è comune a tutte le altre ipotesi in cui il diritto internazionale ammette la trasmissione dei diritti e degli obblighi pattizi. Tale limite consiste nelle non trasmissibilità degli accordi che abbiano un prevalente carattere politico, che siano cioè strettamente legati al regime vigente prima del cambiamento di sovranità. Passiamo ora ai trattati non localizzabili, che sono la maggior parte. Per questo tipo di accordi la prassi risulta assai confusa anche perché sempre più spesso la successione nei trattati del predecessore è regolata mediante accordi tra lo Stato subentrante e le altre parti contraenti dei precedenti trattati. La regola fondamentale da assumere come punto di partenza per i trattati non localizzabili è quella della c.d. tabula rasa: lo Stato che subentra nel governo di un territorio non è, in linea di principio, salve eccezioni, vincolato dagli accordi conclusi dal suo predecessore. La prassi depone in tal senso. La
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incompatibili con il nuovo regime. Successione nei debiti contratti mediante accordo internazionale Il principio generale è quello della tabula rasa salvo i debiti localizzabili. Secondo la prassi più recente (smembramento dell'URSS e della Cecoslovacchia) il debito deve essere equamente ripartito tra gli Stati sorti dallo smembramento e tra questi Stati ed i soggetti creditori.*il principio della tabula è sempre valido per gli stati nati dalla decolonizzazione mentre per tutti gli altri vale i principio della continuità. CAUSE DI INVALIDITA' E DI ESTINZIONE DEI TRATTATI Le cause di invalidità ed estinzione dei trattati sono molto simili a quelle previste dal diritto dei contratti, ma la categoria è allargata dalle cause tipiche del diritto internazionale. La disciplina è contenuta da norme ad hoc e dalle consuetudini che costituiscono i principi generali di diritto. Cause di invalidità. tali causerendono il trattato inidoneo a produrre effetti e sono:
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Conferenza) e il Direttore generale. L'istituzione ha il compito di ricerca e informazione alla promozione ed esecuzione di programmi di assistenza tecnica e aiuti nel campo agricolo e alimentare. ILO Creata dopo la prima guerra mondiale, è composta dalla Conferenza generale, formata da 4 delegati per ogni Stato, di cui 2 rappresentano il Governo e 2 rispettivamente i datori di lavoro e i lavoratori. Le funzioni consistono nell'emanazione di raccomandazioni e nella predisposizione di progetti di convenzione multilaterale in materia di lavoro. I progetti di convenzione, approvati con la maggioranza dei 2/3, vengono comunicati agli Stati membri che restano liberi di approvarli o meno, ma hanno l'obbligo di sottoporli entro un certo periodo agli organi competenti per la ratifica e di fornire notizie al direttore generale sulla sorte da essi subita. UNESCO Si propone la diffusione della cultura, la promozione dello sviluppo dei mezzi di educazione all'interno degli Stati membri e l'accesso all'istruzione. I suoi organi sono: Conferenza generale, Comitato esecutivo e Segretario. ICAO Si occupa del traffico aereo, dei servizi di comunicazione legati ai segnali di terra, zone d'atterraggio etc. E' composta da un'Assemblea, in cui ogni Stato possiede un solo voto e un Consiglio di 21 membri scelti dall'Assemblea. Le sue disposizioni si chiamano standard internazionali o pratiche raccomandate. OMS Organizzazione mondiale della sanità che si preoccupa di adeguare tutti i popoli al livello più alto possibile di salute. IMO Si occupa di garantire la sicurezza dei traffici marittimi. ITU ;WMO ;UPU ;IMF ;IBRD ;IFC ; FMI :Il fondo monetario internazionale e la Banca internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo furono creati nel 1994 con gli accordi di Bretton Woods. E' presente un Consiglio di Governatori che è l'organo deliberante, ma le sue delibere non vengono prese in base al principio uno stato/un voto, ma secondo le quote di capitale sottoscritte e quindi con il peso determinante dei Paesi più ricchi e in particolare degli USA. Si propone la collaborazione monetaria internazionale, la stabilità dei cambi, l'equilibrio delle bilance dei pagamenti e della concessione di prestiti a breve termine. La Banca(BIRD), invece, concede mutui agli Stati membri per investimenti produttivi a tasso di interesse variabile (a lungo termine). IFAD Contribuisce allo sviluppo, sotto forma di aiuti, dell'agricoltura dei Paesi più poveri con deficit alimentari notevoli. WIPO Si occupa dei problemi relativi alla proprietà intellettuale. UNIDO si occupa di sviluppo industriale e dal 1979 è diventato un istituto specializzato a cui competono funzioni di tipo operative e non normative. IAEA Sovrintende lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni pacifiche dell'energia atomica, ma non è un istituto specializzato. OMC :Del tutto indipendente dalle Nazioni Unite, vi fanno parte 135 stati. E' composta da una Conferenza ministeriale, dal Consiglio Generale e dal Segretariato con a capo un direttore generale. Fornisce un forum per lo svolgimento dei negoziati relativi alle relazioni commerciali multilaterali e tendenti alla globalizzazione del mercato. Tra i più importanti negoziati, ricordiamo il GATT, in tema di liberalizzazione dei commerci internazionali. In seno a questa organizzazione vale il principio della clausola della nazione più favorita, ossia dell'automatica estensione a tutte le parti contraenti delle concessioni fatte a una di esse, sui dazi doganali e le tasse ed imposte su importazioni ed esportazioni. Può emanare decisioni vincolanti a maggioranza di 3/4 della Conferenza ministeriale o del Consiglio Generale sull'interpretazione delle norme. Ha anche un ruolo fondamentale sulla risoluzione delle controversie nascenti dagli accordi che ad essa fanno capo. COMUNITA' EUROPEE E L'UNIONE EUROPEA È fondata su tre pilastri CEE, CECA ed EURATOM sono le organizzazioni internazionali più dotate di poteri decisionali nei confronti degli Stati. Possono emettere atti vincolanti. Si tratta di tre organizzazioni distinte a cui appartengono 27Stati. La CECA fu creata a Parigi nel 1951, CE (CEE) ed EURATOM nel 1957 con i trattati di Roma. Nonostante siano separate, hanno organizzazioni comuni. La loro disciplina di funzionamento e organizzazione è stata in maniera rilevante modificata
da una serie di trattati: l'Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo nel 1986 e il Trattato sull'Unione Europea (Maastricht 1992) che hanno introdotto una forte integrazione tra gli Stati membri, azioni comuni in ambito di politica estera e cooperazione degli Stati nel settore della giustizia e degli affari interni. Significative modifiche sono state inoltre introdotte in materia di cittadinanza europea, nel rafforzamento del potere del Parlamento e l'unione monetaria (specie con la creazione della BCE e della moneta unica). Delle tre organizzazione sicuramente la CEE è la più importante, poiché investe tutta la vita economica e sociale degli Stati membri. Così, mentre la CECA si occupa del mercato comune nel settore carbosiderurgico e l'EURATOM nel settore dell'energia atomica, la CEE sovrintende la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Queste rappresentano le 4 libertà fondamentali dell'Europa e servono per assicurare la libera concorrenza. La maggior parte delle norme del trattato sono ELASTICHE, GENERICHE E PROGRAMMATICHE. Si discute sulla natura giuridica delle Comunità Europee: si tratta di vere e proprie organizzazioni internazionale (visto che ci sono organi con vari poteri) o embrioni di Stati federali (per la prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno)? L’organo più importante è il CONSIGLIO EUROPEO, il suo compito principale è quello di dare alla comunità l’impulso necessario allo sviluppo. altri organi principali sono:
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giuridici. Si dice che la raccomandazione preveda il c.d. EFFETTO LICEITA': non commette illecito lo Stato che segue una raccomandazione, andando contro ad impegni già assunti con accordo o contro il diritto consuetudinario. Tale effetto è da ammettere solo nei rapporti tra Stati membri e solo con riguardo alle raccomandazioni legittime (che non fuoriescono dalle competenze proprie degli organi del trattato). Manca però un organo incaricato di giudicare la legittimità della raccomandazioni o quelli che l'abbiano approvata senza riserva. Per gli Stati che hanno votato contro o si siano astenuti, l'effetto liceità è da escludersi. Qualcuno dice che l'obbligo di cooperazione previsto dai trattati istitutivi di organizzazione internazionali fa sì che sia illecito il comportamento di uno Stato che rifiuti di osservare tutta una serie di raccomandazioni. Questa impostazione non è da condividere perché le raccomandazioni non sono vincolanti e la caratteristica dell'atto consiste proprio nella funzione esortativa. LA GERARCHIA DELLE FONTI INTERNAZIONALI
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assoluto di esercizio della sovranità. E’ impossibile non accorgersi, però che man mano che il diritto internazionale si è evoluto, questo potere assoluto si è andato sempre più restringendo e tutte le norme internazionali compiute fino ad oggi hanno comportato dei limiti sempre più fitti al potere di governo esplicato nell’ambito del territorio. Le eccezioni che per prime si sono andate affermando, sia sul piano del diritto consuetudinario che sul piano del diritto pattizio, sono costituite dalle norme che impongono un certo trattamento degli stranieri, persone fisiche o giuridiche, degli organi stranieri, degli agenti diplomatici. Molto più importanti però sono i limiti prodotti dalle norme che perseguono valori di giustizia, di cooperazione e di solidarietà tra i popoli. La libertà dello Stato nell’ambito del suo territorio è ribadita da alcuni principi del nuovo ordine economico internazionale, molto cari ai Paesi in sviluppo: il principio della sovranità permanente dello Stato sulle risorse naturali, principio secondo il quale “ ogni Stato possiede ed esercita liberamente una sovranità completa e permanente su tutte le sue ricchezze , risorse naturali e attività economiche”; il principio per cui ogni Stato ha il diritto di scegliere il proprio sistema economico, oltre che i suoi sistemi politici, sociali e culturali, conformemente alla volontà del suo popolo..”, nonché di “ scegliere i suoi obiettivi e i suoi mezzi di sviluppo, di mobilitare e di utilizzare integralmente le sue risorse, di operare delle riforme economiche e sociali progressive e di assicurare la piena partecipazione del suo popolo ai processi di sviluppo” Per quanto riguarda l’acquisto della sovranità territoriale, vale il criterio della effettività: l’esercizio effettivo del potere di governo, fa sorgere il diritto all’esercizio esclusivo del potere stesso. Nonostante i tentativi fatti per limitare la portata del principio dell’effettività sin dall’epoca delle due guerre mondiali per disconoscere l’espansione territoriale frutto di violenza o di gravi violazioni di norme internazionali, la prassi sembra ancora oggi sostanzialmente orientata nel senso che l’effettivo e consolidato esercizio del potere di governo su un territorio comunque conquistato comporti l’acquisto della sovranità territoriale. Tutto ciò che può sostenersi è la formazione di una norma consuetudinaria che vincola tutti gli Stati a negare gli effetti agli atti di governo emanati su un territorio legittimamente acquistato e sempre che l’’acquisto sia contestato dalla maggior parta degli Stati della comunità internazionale. I limiti della sovranità territoriale I limiti più importanti alla libertà dello Stato di comportarsi come crede nell’ambito del suo territorio sono oggi costituiti dalle norme internazionali, soprattutto dalle norme convenzionali, che perseguono valori di giustizia, di cooperazione e di solidarietà tra i popoli. Con l’affermarsi di suddetti limiti si è andato progressivamente erodendo il c.d. dominio riservato dello Stato, espressione con cui si intende indicare le materie delle quali il diritto internazionale si disinteressa e rispetto alle quali lo Stato è conseguentemente libero da obblighi (organizzazione delle funzioni di governo, politica economica e sociale dello Stato etc). Le iniziative internazionali dirette a promuovere la tutela della dignità umana ovunque l’individuo si trovi si sono tradotte, oltre che nelle carte fondamentali quali la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo o l’Atto finale della Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, anche nella conclusione di numerose convenzioni. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali La Convenzione interamericana sui diritti umani La Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli I due Patti delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e sui diritti economici. Tutte queste convenzioni, oltre ad istituire gli organi destinati a vegliare sulla loro osservanza, contengono un catalogo dei diritti umani che spesso risulta molto più dettagliato i quello delle costituzioni stesse. Molto estesi sono soprattutto i diritti che tutti gli Stati sono obbligati a riconoscere a tutti gli individui sottoposti al loro potere senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinione politica: i diritti economici (diritto al lavoro, ad un’equa retribuzione, alle assicurazioni, alle forme di assistenza sociale…). Per quanto riguarda i diritti civili e politici ( libertà personale, libertà di pensiero, di coscienza e di religione, di associazione), questo catalogo risulta ampliato specificato ed arricchito con i divieti che formano oggetto anche del diritto consuetudinario: le c.d. gross violations.
soprattutto negli ultimi anni a partire dall’atto più clamoroso a New York e a Washington che ha scatenato una grave crisi internazionale. Il concetto di terrorismo designa una complessa realtà fenomenologia in cui il terrore è certamente il fondamento non solo etimologico, ma anche sostanziale, del fenomeno. La finalità principale dei gruppi terroristici è, infatti, quella di porre in essere azioni violente tali da generare uno stato di panico, di timore collettivo, creando al tempo stesso una notevole sfiducia nelle capacità degli organi istituzionali di garantire l'incolumità pubblica. Infatti, il terrorismo è qualcosa di più della semplice violenza, che presuppone solo due parti: un aggressore ed una vittima. Esso implica anche una terza parte, che si vuole intimidire mostrandole quello che accade alla vittima. A parte la responsabilità internazionale individuale e la punizione dei componenti del gruppo terroristico, si discute se l’attacco alle torri debba essere considerato come un atto di guerra, in conformità alla tesi sostenuta dagli Stati Uniti, che giustifichi la risposta armata. E’ dubbio invece, e gran parte della comunità vi è contraria, che singoli atti terroristici, o atti che si inquadrino nel principio di autodeterminazione dei popoli, siano qualificabili come crimini contro l’umanità. Ma in che cosa la punizione dell’individuo, che ha commesso un crimine internazionale, differisce dalla punizione di un criminale comune quando a punirlo è una Corte Interna? Il principio che si è affermato a riguardo è quello dell’universalità della giurisdizione statale: si ritiene che ogni Stato possa procedere alla punizione ovunque il crimine sia stato commesso. Normalmente la giurisdizione penale è esercitatile per quei reati che presentano un collegamento con lo Stato del giudice (collegamento che è dato dalla circostanza che il reato sia stato commesso nel territorio di tale Stato - principio della territorialità della legge penale -) Tale principio di territorialità viene temperato prevedendosi la possibilità di punire alcuni crimini più gravi quando questi siano commessi dal cittadino (o dallo straniero) all’estero. Per quanto riguarda il diritto internazionale generale, la regola è che, mentre lo Stato è libero di esercitare la giurisdizione sui suoi cittadini, lo straniero può essere giudicato solo se sussiste un collegamento con lo Stato del giudice. Questa limitazione , però, viene meno quando si tratta di un crimine internazionale. La ratio è che lo Stato che punisce un crimine persegue un interesse che è di tutta la comunità internazionale. La punizione dei crimini internazionali può inoltre aver luogo anche quando il colpevole sia stato catturato all’estero, violandosi la sovranità territoriale dello Stato in cui questo si trovava. Lo Stato è inoltre libero di escludere che tali crimini cadano in prescrizione. Lo Stato infine può limitarsi a concedere l’estradizione ad uno Stato che intende punire il criminale .Numerosi sono i limiti che la sovranità territoriale incontra nel diritto internazionale economico, disciplina che trova i suoi momenti di maggior interesse nella parte che riguarda i rapporti tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Però occorre sottolineare che il diritto internazionale economico è quello tra i settori che in passato rientravano nel dominio riservato degli Stati e che è il settore in cui norme di diritto consuetudinario sono assenti, essendo un settore dominato dalle norme convenzionali. Una serie di principi sono stati enunciati dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, dall’UNCTAD e da altri organi dell’ONU o di altre organizzazioni internazionali, come i principi sulla cooperazione per lo sviluppo contenuti nella Dichiarazione sul nuovo ordine economico internazionale, nella Carta dei diritti e doveri economici , nella Dichiarazione sulla rivitalizzazione dei Paesi in sviluppo e infine nella Dichiarazione della Conferenza di Rio su ambiente e sviluppo. Si tratta di principi di carattere programmatico che descrivono come i rapporti tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo debbano essere convenzionalmente regolati. E’ proprio sulla base di questi principi che si è formata tutta una rete di convenzioni bilaterali e multilaterali, finalizzata alla cooperazione allo sviluppo, rete che ha posto limiti alla libertà degli Stati di regolare i rapporti economici come credono. Oltre agli accordi di cooperazione e sviluppo, l materia è limitata da numerosissimi accordi tendenti alla liberalizzazione del commercio internazionale, in particolare all’abbattimento degli ostacoli alla libera circolazione delle merci dei servizi e dei capitali all’integrazione delle economie statali su scala regionale. E’ importante ribadire che, nella materia economica, il potere di governo dello Stato non incontra altri limiti di diritto consuetudinario se non quelli relativi al trattamento degli interessi economici degli stranieri. In realtà alcuni tentativi sono stati fatti in dottrina per individuare altri limiti di carattere generale e i più interessanti tentativi sono quelli che si riferiscono alla irrogazione di sanzioni in base alla legislazione antitrust o alla
legislazione riguardante il commercio internazionale. Si sono così affermate diverse teorie in base alle quali lo Stato non debba cmq interferire negli interessi economici essenziali stranieri, oppure che tali interessi debbano essere oggetto di una ponderazione, o infine che ciascuno Stato debba esercitare il proprio potere nella materia entro “ragionevoli limiti”.Tutto ciò è stato detto per reagire soprattutto alla pretesa degli Stati Uniti , manifestatasi soprattutto nel campo della legislazione antitrust ed in quello del boicottaggio del commercio verso i Paesi non amici, ad imporre obblighi alle imprese di tutto il mondo , ovviamente con la minaccia di colpirne beni ed interessi in territorio statunitense. Una simile pretesa ha però sempre incontrato l’opposizione degli altri Stati e in particolare dell’Unione europea. Si tratta di una pretesa condannabile come fenomeno di imperialismo, quanto meno giuridico. In tema di protezione dell’ambiente vengono in rilievo i limiti alla libertà di sfruttamento delle risorse naturali del territorio, onde ridurre i danni causati dalle attività inquinanti o capaci di produrre distruzioni di risorse irrimediabili. Anzitutto ci si chiede se la libertà di sfruttamento incontra limiti di carattere consuetudinario. Il problema si è posto anzitutto nel quadro dei rapporti di vicinato, soprattutto per quel che riguarda l’utilizzazione dei fiumi internazionali e alle immissioni di fumi e sostanze tossiche dovute ad attività industriali poste in prossimità dei confini. Il principio n. 21 della Dichiarazione adottata a Stoccolma nel 1972 ,dalla conferenza di Stati sull’ambiente umano e ripreso nella Dichiarazione di Rio del 92, ha affermato che “…gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro risorse naturali conformemente alla loro politica sull’ambiente e hanno l’obbligo di assicurarsi che le attività esercitate entro i limiti della loro sovranità non siano danni all’ambiente di altri Stati…”. Tali dichiarazioni però, non hanno di per sé carattere vincolante. Può dirsi che l’obbligo che sanciscono corrisponde al diritto consuetudinario internazionale, ma il Conforti è dell’opinione che sia assai azzardato ricostruire norme di diritto generale che impongano allo Stato obblighi precisi relativamente agli usi nocivi del territorio. Forse può anche affermarsi che vi sia un obbligo di informare gli altri Stati dell’imminente pericolo di incidenti , ma per il resto mancano punti di riferimento tali da giustificare la conclusione che gli Stati si sentano effettivamente vincolati a impedire l’uso nocivo del territorio. L’unico caso citabile a favore di un ipotetico vincolo è quello relativo alla Fonderia di Trial e alla sentenza arbitrale emessa nel 1941 tra Stati Uniti e Canada in cui si affermava che “ Secondo i principi di diritto internazionale nessuno Stato ha il diritto di usare o permettere che si usi il proprio territorio in modo tale da provocare danni al territorio di un altro Stato o alle persone e ai beni che vi si trovino…” L’importanza di tale sentenza va molto ridimensionata nel momento in cui si considera che Stati Uniti e Canada erano d’accordo nel senso di un risarcimento. Ad ogni modo si tratta di un caso circoscritto sul quale non è possibile costruire un obbligo, anche perché in questi casi gli Stati sono sempre restii ad ammettere la loro responsabilità e laddove si provvede ad un qualche indennizzo alle vittime, si ha sempre cura di sottolineare il carattere cortese e generoso dell’indennizzo stesso. Per quanto riguarda il diritto pattizio, invece, gli accordi sia bilaterali che multilaterali si moltiplicano sempre di più. Tuttavia è raro che simili accordi comminino dei divieti precisi. Le convenzioni si limitano a stabilire obblighi di cooperazione, di informazione e di consultazione tra le parti contraenti ispirandosi ai criteri dello sviluppo sostenibile, della responsabilità intergenerazionale e dell’approccio precauzionale. Stranieri Due sono i principi fondamentali in materia di trattamento degli stranieri. Il primo prevede che allo straniero non possano imporsi prestazioni, e più in generale non possano richiedersi comportamenti che non si giustifichino con un sufficiente “attacco” dello straniero stesso con la comunità territoriale. In altre parole, l’intensità del potere di governo sullo straniero e sui suoi beni deve essere proporzionata all’intensità dell’ ”attacco sociale”. Il secondo prevede il principio dell’obbligo di protezione dello straniero secondo il quale lo Stato deve predisporre misure idonee a prevenire e a reprimere le offese contro la persona o i beni dello straniero, l’idoneità essendo commisurata a quanto di solito si fa per tutti gli individui (sudditi quindi compresi) in uno Stato civile, cioè in uno Stato “il quale provveda normalmente hai bisogni di ordine e sicurezza della società sottoposta al suo controllo”. Per quanto riguarda le misure preventive esse devono essere adeguate alle circostanze relative ad ogni singolo caso concreto. Per quello che riguarda le misure repressive, occorre che lo Stato disponga di un normale apparato giurisdizionale innanzi al quale lo straniero possa far valere le proprie pretese ed ottenere giustizia. Si chiama diniego di giustizia l’eventuale illecito in questa specifica materia.
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