






Study with the several resources on Docsity
Earn points by helping other students or get them with a premium plan
Prepare for your exams
Study with the several resources on Docsity
Earn points to download
Earn points by helping other students or get them with a premium plan
Community
Ask the community for help and clear up your study doubts
Discover the best universities in your country according to Docsity users
Free resources
Download our free guides on studying techniques, anxiety management strategies, and thesis advice from Docsity tutors
Analisi - Canto 23 - La follia di Orlando - Orlando Furioso
Typology: Lecture notes
1 / 10
This page cannot be seen from the preview
Don't miss anything!
On special offer
Canto 23 : 101-114 & 121- La follia di Orlando (paraphrase en italien : http://letteritaliana.weebly.com/la-follia-di-orlando.html) Introduction Situazione generale del canto : Il famosissimo episodio della follia di Orlando viene volutamente collocato da Ariosto alla metà esatta dell’Orlando furioso, tra la fine del ventitreesimo canto e l’inizio del ventiquattresimo. L’impazzimento per amore dell’eroe cristiano completa infatti la trama interrotta dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (1441-1494) e sviluppa i due temi fondamentali dell’opera di Ariosto: l’amore e l’avventura (qui rappresentata dalle devastazioni a cui si abbandona Orlando una volta scoperta l’amara verità). (metro : ottave di endecasillabi) La trama è la seguente: Orlando, inseguendo il cavaliere saraceno Mandricardo, decide di riprendere le forze in una radura, che era stato il luogo degli incontri tra Angelica e Medoro. Orlando scopre gli indizi della passione lì consumatasi nei messaggi d’amore incisi nei tronchi degli alberi e sulle pareti delle grotte. L’eroe, per non soccombere al dolore, si illude che ciò che vede non sia vero, ma le sue speranze si sgretoleranno quando, chiesta ospilità ad un pastore del luogo, scoprirà che il letto dove dorme è quello dove i due amanti hanno passato la prima notte di nozze. Orlando cade quindi in preda alla follia e distrugge tutto ciò che trova sul suo cammino, spogliandosi persino della sua stessa armatura. La crisi del protagonista verrà risolta solo dall’intervento di Astolfo, che, nel canto trentaquattresimo del poema, si recherà sulla Luna a recuperare il suo “senno” perduto. Riassunto Prima parte : Nel bosco, Orlando nota delle iscrizioni sugli alberi lungo la riva, e riconosce la mano di Angelica. Cerca di persuadersi che “Medoro” è un sopranomme che vale per “Orlando”. L’ansia e la follia crescono a misura che cerca di convincersi. Giunge a una grotta di cui la voce narrante ci spiega che era il luogo di incontro preferito di Angelica e Medoro, e scopre un’iscrizione dalla mano di Medoro. Evocano esplicitamente l’amore tra Angelica e Medoro e, ironicamente, augurano ai viaggiatori che ci passano fortuna e godimento del luogo. Segue una descrizione della sofferenza fisica e morale di Orlando metafora del dolore = liquido compresso in un contenitore chiuso e che non riesce a uscire. Alla fine del brano Orlando continua di cercare a ingannare se stesso cerca di credere che si tratta di una bugia. (entre les deux partie non commentée : Roland est hébergé par un berger qui lui raconte l’histoire d’Angélique et de Médor et lui montre pour preuve un joyau que lui a donné A. or Orlando le reconnaît puisque c’est un cadeau qu’il avait fait à A. .) Seconda parte : La sua follia cresce per il dolore e fugge nella foresta mentre è notte fonda. Segue un monologo interno : riconosce che è sempre l’amore a bruciare nel suo cuore senza mai consumarlo, percepisce la sua anima che si stacca dal corpo... Giunge nel luogo dove c’è l’iscrizione di Medoro e si accanisce sulla roccia con la sua spada. Rimane fisso e sensa parlare per tre giorni poi la follia giunge al suo parossismo e si strappa le armi e la corazza. Perde alcune nozioni come “come reggere una spada” però comincia a strappare gli alberi. La voce narrante indica che smette di descrivere la follia di Orlando nell’ottica di non stancare il lettore.
I due brani esplicitano il processo della formazione della follia di Orlando, dalla sua prima causa – la rivelazione del tradimento di Angelica – fino al suo pieno compimento. Problématique : come l’Ariosto, con questa lunga descrizione della follia che cresce, rinnova la tematica della pazzia con una finezza psicologica e una carica simbolica inedita, quella del cavaliere la cui inchiesta rimane incompiuta (= fallimento dell’uomo rinascimentale)? Plan : I. Riunione dei fattori della follia di Orlando (101-110) II. Crescita della follia contro laquale O. lotta : autoanalisi della follia (110 – 114 et 121 –
III. O. rinuncia a ritrovare il senno e si abbandona alla follia (130 – 136) I. I Fattori della follia di Orlando 101 - 102 : Il pomeriggio rendeva gradevole la frescura per il duro bestiame e il pastore svestito; così Orlando non sentiva alcun brivido, avendo ancora la corazza, l'elmo e lo scudo. Egli entrò nella radura per riposarsi, ma vi ebbe un soggiorno travagliato e crudo, e peggiore di quanto si possa dire, quel giorno infelice e sfortunato. Volgendo lo sguardo lì attorno, vide che molti alberi erano incisi sulla riva ombrosa del fiume. Non appena vi ebbe fissato gli occhi, fu certo che le scritte fossero della mano della sua donna. Questo era uno di quei luoghi già descritti dove spesso la bella donna regina del Catai veniva con Medoro, dalla casa poco lontana del pastore. Introduzione e pre-annuncio della crisi di Orlando. Antitesi tra il paesaggio circostante e la follia di Orlando. Ruolo dei luoghi e del paesaggio paradossale sembrano archetipo del locus amoenus della poesia classica ma saranno il quadro di un dolore immenso. Hanno un ruolo da protagonista nell’esplosione della pazzia di Orlando piante, pietre e acque parlano e deridono il paladino, poiché gli offrono prove esplicite del tradimento di Angelica con Medoro: ecco perchè nelle ultime strofe, Orlando sfoga la sua rabbia su di loro, distruggendole in preda alla follia, come per metterle per sempre a tacere. 103 - 104 : Orlando vede i nomi di Angelica e Medoro legati insieme con cento nodi e in cento luoghi diversi. Quante sono quelle lettere incise, sono altrettanti chiodi con cui l'Amore gli punge e gli ferisce il cuore. Cerca in mille modi col pensiero di non credere a ciò che, pur non volendo, deve credere: si sforza di credere che sia un'altra Angelica quella che ha inciso il suo nome in quella corteccia. Poi dice tra sé: «Eppure io conosco questa scrittura: l'ho vista e letta tante volte. Ma forse Angelica si è inventata questo Medoro: forse attribuisce a me questo soprannome». Cercando di ingannare se stesso con queste ipotesi lontane del vero, il povero Orlando rimase nella speranza che seppe così procurare a sé. Anafora « cento nodi » e « cento loghi » fa eco al simbolo dei chiodi che gli trafiggono il cuore. Questo è una delle tre tappe della scoperta del tradimento di Angelica ironico il fatto che accada in un locus amoenus, influenza dei classici petrarcheschi e nello stesso tempo distanza ironica. “in mille modi” iperbole lotta del cavaliere contro la follia. “con tali opinion dal ver remote (...)” intervento del giudizio del narratore modernità. Ironia “forse..., forse...” climax dell’assurdità. 105 -106 : Ma riaccende e rinnova sempre più il terribile sospetto, quanto più cerca di spegnerlo: come l'incauto uccello, che è incappato in una ragnatela o in una trappola col vischio, quanto più sbatte le ali e prova a liberarsi, tanto più strettamente si trova legato. Orlando giunge dove il monte fa un'ansa simile a un arco sul limpido fiume.
Allora fu sul punto di uscire di senno, tanto era in preda al dolore. Credete a me che l'ho sperimentato, questo è il dolore che supera tutti gli altri. Il mento gli era caduto sopra il petto e la fronte era bassa, priva di audacia; e non poté trovare voce per lamentarsi, o lacrime per piangere, a tal punto era pieno di dolore. Il dolore impetuoso gli rimase dentro, poiché voleva uscire con troppa fretta. Così vediamo l'acqua che resta nel vaso con il ventre largo e l'apertura stretta, infatti quando lo si capovolge l'acqua che vorrebbe uscire si concentra e si ferma nell'apertura stretta, cosicché ne esce a fatica, goccia a goccia. Poi torna alquanto in sé e pensa come sia possibile che quella cosa non sia vera: pensa che qualcuno voglia infamare in tal modo il nome della sua donna, e lo desidera e lo spera, oppure che qualcuno voglia far soffrire lui con l'insopportabile peso della gelosia, fino a farlo morire; e pensa che quel qualcuno, chiunque sia, abbia molto ben imitato la mano di Angelica. strofa 111 : « fissi nel sasso, al sasso indifferente” chiasma Orlando perde umanità nella follia. Lessico del corpo : cuore, petto, mano fredda idea che follia è un processo fisico ineluttabile staccato dalla ragione. 112 : intervento della voce narrante – Ariosto evoca la propria sperimentazione della follia eco al Proemio del testo. Visione sviluppata su diversi versi della testa che cade descrizione fisica realistica + visione della testa in quanto seggio della ragione (e dunque simbolo dell’uomo rinascimentale) che cade. 113 : imagine del dolore come elemento esterno che invade Orlando + insistenza sulla dimensione fisica e ineluttabile della follia = uomo del rinascimento fallito (follia > senno). Amore come elemento paradossale, l’Ariosto rimaneggia la tematica dell’inchiesta amorosa del cavaliere : l’amore 1) lo porta alla follia e al fallimento, 2) è comunque la sua ragione di vivere in quanto personaggio (chevalier quête) e gli da la sua nobiltà. 114 : “e crede e brama e spera” gradazione ascendente resistenza della speranza rispetto alla follia dissidio interiore. 121 – 130 : dopo la rivelazione del pastore, la follia di O. raggiunge il suo parossismo. 121 – 123 : manifestazione fisica della follia e allucinazioni Questa conclusione fu la scure che con un colpo solo tagliò la testa di Orlando, quando il malvagio Amore si vide soddisfatto di averlo colpito innumerevoli volte. Orlando cerca di nascondere il dolore, e pure quello lo preme e non riesce a celarlo: alla fine è inevitabile che, volente o nolente, gli esca dalla bocca e dagli occhi sotto forma di sospiri e lacrime. E quando può allentare il freno al dolore, essendo rimasto solo e senza riguardo per altri, sparge dagli occhi un fiume di lacrime che gli rigano le guance e gli cadono sul petto: sospira e geme e va rigirandosi per tutto il letto facendo ampi movimenti; e lo sente più duro di un sasso, e più pungente di un'ortica. In quel grande travaglio gli viene in mente che anche l'ingrata Angelica doveva essersi sdraiata più volte col suo amante in quello stesso letto in cui giaceva. Ora odia quel letto non diversamente, e se ne alza con rapidità non minore, del contadino che si è messo a dormire nell'erba e veda vicino a sé un serpente. 121 : “che 'l capo a un colpo gli levò dal collo” : alliterazione in [k] & lessico capo, collo : perdita del senno (testa, ragione) definitiva. Anche dimensione ironica (imagine un po ridicola)? Figura del cavaliere sconfitta + ogni personaggio porta in se un desiderio che lo perde = riflessione sui valori di una civiltà in crisi. Idea del capo che cade annuncia la bestialità della follia nel terzo movimento del testo. 122 : “fiume di lacrime” iperbolico, ironico, e ricorda elementi del locus amoenus. Percezione del letto duro e pungente follia che cambia le percezioni. “Con spesse ruote” = con movimenti ampi” perdita di controllo fisico come elemento della follia. 123 : paranoia di Orlando proietta gli incontri di A e M in questo stesso letto e l’autore paragona questa visione a quella di un seprente. Paranoia, percezioni fisiche = descrizione minuta e variegata della follia, modernità dell’opera.
124 – 129 : analisi della propria follia Quel letto, quella casa, quel pastore gli vengono subito in odio, tanto che senza aspettare la luna, o che spunti l'alba del nuovo giorno, prende l'armatura e il cavallo ed esce fuori, inoltrandosi nel fitto della boscaglia; e quando poi pensa di esser solo, apre le porte al dolore con grida ed urli. Non cessa mai di piangere, né di gridare, né si dà mai pace giorno o notte. Evita le città e i borghi e dorme nella foresta, all'aperto sul duro terreno. Si meraviglia del fatto che in testa abbia una fontana d'acqua così viva e come possa sospirare tanto; e spesso dice tra sé così nel pianto: «Queste, che faccio uscire dagli occhi in così gran quantità, non sono più lacrime. Le lacrime non bastarono al dolore: finirono quando il dolore era appena a metà. Ora l'umore vitale, spinto dal fuoco, fugge attraverso quella via [i condotti lacrimali] che porta agli occhi; ed è quello, non le lacrime, che si versa, e porterà il dolore e la vita alla loro fine. Questi che mostrano il mio tormento non sono sospiri, né i sospiri sono così. Quelli talvolta si arrestano; io, invece, non sento mai che il mio petto esali in misura minore la mia pena. Amore, che mi brucia il cuore, produce questo vento mentre sbatte intorno al fuoco le sue ali. Amore, com'è questa meraviglia, che alimenti il fuoco e non lo fai mai consumare? Io non sono, non sono quello che sembro in viso: colui che era Orlando è morto ed è sottoterra; la sua donna ingrata lo ha ucciso: infatti, mancandogli di parola, gli ha fatto guerra. Io sono il suo spirito diviso da lui, che erra tormentandosi in questo inferno, affinché sia di esempio con la sua ombra, che sola si conserva, a chi pone la sua speranza in amore». Il conte errò nel bosco tutta la notte; allo spuntare del sole il suo destino lo fece tornare sul fiume dove Medoro scolpì nella roccia l'epigramma. Vedere la sua offesa scritta nel monte lo accese a tal punto, che in lui non restò proprio nulla che non fosse odio, rabbia, ira e furore; non indugiò più e sguainò la spada. 124 : opposizione luna, albore ≠ oscura frasca : oscurità diventa maestra simbolo classico della follia. “apre le porte al duolo” : riprende la metafora del dolore come un liquido idea che si spezzano gli ultimi argini di O. “Grida e urli” : ironia + metafora dell’animalità (lupo?). 125 : chiasma (“di pianger mai, mai di grida”) e ripetizione (“ne la notte nel di”) : persistenza del dolore. Continuazione della metafora della follia come fonte di acqua viva. 126 : la critica indica che l’imagine dell’umore vitale + dell’amore come un fuoco è un imitazione della poesia petrarchista immagine già ricercata, inclina verso gli eccessi del manierismo. Rima interna “dolore” e “ore” (estreme) associa dolore alla fine della sua vita. 127 – 129 : Orlando si interroga sulla natura del suo male, forma di autoanalisi dellla follia, il personaggio si fa relai della voce dell’autore. Paradosso dell’amore alimenta il fuoco e non si consuma mai. “Io sono lo spirito suo da lui diviso” : forma di estraniazione rispetto a se stesso altra sfacettatura della follia finezza psicologica e iroina dell’Ariosto. L’erranza (= cattiva fortuna? Legare alle tematiche fortuna/vitù dell’opera) lo portano al fiume dove c’è la scritta di Medardo. Assistiamo dunque alla trasformazione della follia in rabbia. III. Dalla follia alla rabbia 130 - 136 Distrusse lo scritto e la roccia e fece alzare le schegge minute sino al cielo. Infelice quella grotta ed ogni albero in cui si legge di Angelica e Medoro! Quel giorno furono ridotti in tale stato, che non offriranno mai più ombra né frescura a pastori o a greggi: e quel fiume, prima così chiaro e limpido, fu poco sicuro da una tale ira:
Traduction 101- Là, pendant les chaleurs de midi, les troupeaux et les pasteurs à moitié nus venaient goûter une agréable fraîcheur. Roland, bien qu’il ait sur lui sa cuirasse, son casque et son écu, éprouve comme un frisson. Il s’arrête pour’s’y reposer un peu ; mais, hélas! une cruelle et terrible déception l’attend dans ce séjour, qui doit être plus funeste que je ne saurais dire, et c’est en un jour de malheur qu’il y est venu. En regardant tout autour de lui, il voit des inscriptions gravées sur la plupart des arbres qui ombragent cette rive. Dès qu’il y a jeté un peu plus attentivement les yeux, il les reconnaît pour être de la main de sa déesse. C’était en effet un des endroits que j’ai déjà décrits, et où la belle reine du Cathay venait souvent avec Médor, de la chaumière du pasteur située non loin de là. Il voit les noms d’Angélique et de Médor entrelacés de cent nœuds et en plus de cent endroits. Chaque lettre dont ces noms sont formés est comme un clou avec lequel Amour lui perce et lui déchire le cœur. Il va roulant mille pensées en son esprit, et cherchant à se persuader qu’il se trompe, que c’est une autre qu’Angélique qui a gravé son nom sur l’écorce de ces arbres. Puis il dit : « Je connais pourtant bien ces caractères ; j’en ai tant de fois vu et lu de semblables! Elle a peut-être imaginé ce nom de Médor pour me désigner- sous un pseudonyme. » Par ces suppositions si éloignées de la vérité, et cherchant à se tromper lui- même, le malheureux Roland conserve quelque espérance qu’il ne tarde pas à chasser lui- même de son cœur. Mais plus il cherche à étouffer ce soupçon mauvais, plus il le rallume et plus il le renouvelle, tel que l’imprudent oiseau qui est venu donner dans un filet ou qui s’est posé sur des gluaux, et qui s’embarrasse ou s’englue de plus en plus à mesure qu’il bat des ailes pour se délivrer. Roland arrive à un endroit où la montagne surplombe en forme de grotte au-dessus de la claire fontaine. Les lierres et les vignes grimpantes en tapissent l’entrée de leurs lianes tordues. C’est là que les deux heureux amants avaient coutume de passer les heures les plus chaudes de la journée, enlacés dans les bras l’un de l’autre. Là, plus que dans aucun autre lieu des environs, se voient leurs noms, à l’intérieur et à l’extérieur, écrits tantôt au charbon, tantôt à la craie, ou gravés avec la pointe d’un couteau. Le comte, plein de tristesse, met pied à terre en cet endroit, et voit sur l’entrée de la grotte des mots que Médor avait tracés de sa propre main et qui paraissent fraîchement écrits. Le jeune homme avait exprimé dans des vers le grand bonheur qu’il avait goûté dans la grotte. Je pense que ces vers devaient être fort beaux dans sa langue ; voici quel était leur sens dans la nôtre : « Arbres joyeux, vertes herbes, eaux limpides, caverne obscure aux fraîches ombres, où la belle Angélique, fille de Galafron, s’est abandonnée si ouvent nue en mes bras, après avoir été vainement aimée par tant d’autres, comment moi, pauvre Médor, pourrai-je vous remercier du bonheur qui m’a été donné ici, autrement qu’en chantant à jamais vos louanges, « Et qu’en priant tous les amoureux, nobles, chevaliers et damoiselles, ainsi que tous ceux, paysans ou voyageurs, que le hasard ou leur volonté conduira en ces lieux, de vous dire ceci :
que les rayons du soleil et de la lune vous soient doux, ô verte prairie, frais ombrages, grotte, ruisseau, arbres touffus ; et que le chœur des nymphes vous garde des pasteurs et des troupeaux! » Ceci était écrit en arabe, que le comte comprenait aussi bien que le latin. Des nombreuses langues qu’il connaissait, c’était celle-là que le paladin possédait le mieux. Cela lui avait permis souvent d’éviter les périls et les outrages, quand il se trouvait au milieu du camp sarrasin ; mais il ne se vante plus des bénéfices qu’il en a retirés jadis, car il éprouve maintenant une telle douleur, qu’elle compense bien tous les avantages passés. Trois, quatre et six fois, l’infortuné relit ces vers, s’efforçant en vain d’y trouver autre chose que ce qui y est écrit ; il le voit, au contraire, toujours plus clair et plus compréhensible. Â chaque fois, il sent son cœur comprimé dans sa poitrine comme par une main glacée. Enfin il reste les yeux fixés sur le rocher, quoique son esprit en soit bien loin. Il est près de perdre la raison, tellement il se livre en proie à la douleur. Croyez-en celui qui en a fait l’expérience, cette souffrance surpasse toutes les autres. Le menton sur la poitrine, il courbe un front privé d’audace. Sa douleur est si poignante, qu’il ne peut ni se plaindre ni pleurer. Sa douleur impétueuse, et qui veut sortir trop vite et toute à la fois, reste concentrée dans son cœur. Ainsi nous voyons l’eau, enfermée dans un vase au large ventre et au col resserré, rester dans le vase quand celui-ci est renversé ; le liquide, qui voudrait s’échapper, se presse tellement dans l’étroit goulot, que c’est à peine si elle sort goutte à goutte au dehors. Roland revient un moment à lui ; il pense encore que la chose peut n’être pas vraie ; quelqu’un aura sans doute voulu diffamer le nom de sa dame, ou lui inspirer à lui-même une telle dose de jalousie, qu’elle le fasse mourir ; il le croit, il le désire, il l’espère. Mais, quoi que ce soit, celui qui l’a fait a bien imité la main d’Angélique. 121- Cette conclusion est pour Roland comme le coup de hache qui lui détache la tête du cou. Il se voit accablé de tortures innombrables par Amour, ce bourreau. Il s’efforce de cacher son désespoir, mais sa peine est plus forte que lui, et il ne peut la celer. Qu’il le veuille ou non, il faut qu’à la fin elle déborde de sa bouche et de ses yeux par des larmes et des soupirs. Resté seul, et n’étant plus retenu par la présence d’un témoin, il peut lâcher le frein à sa douleur ; un fleuve de larmes lui coule des yeux sur les joues et tombe sur sa poitrine. Il soupire, il gémit ; il se tourne et se retourne sans cesse sur son lit, qui lui paraît plus dur qu’un rocher et plus piquant que s’il était fait d’orties. Au milieu de sa souffrance, la pensée lui vient que sur le même lit où il s’agite, l’ingrate dame a dû plus d’une fois venir reposer près de son amant. Alors il se lève précipitamment de cette couche odieuse, comme le paysan qui s’était étendu sur l’herbe pour dormir et qui voit un serpent à ses côtés.
vêtements et montre à nu son ventre velu, toute sa poitrine et son dos. Et alors commence la grande folie, si horrible que jamais personne n’en verra de semblable. Sa rage, sa fureur arrivent à un tel paroxysme, qu’il ne conserve plus la notion d’aucun sens. Il ne se souvient plus comment on tient en mans l’épée avec laquelle il aurait, je pense, pu faire encore d’admirables choses. Mais son incomparable vigueur n’a besoin ni d’épée ni de hache ; et il en donne de merveilleuses preuves en déracinant, d’une seule secousse, un grand pin. Il en arrache deux autres comme s’ils eussent été du fenouil, des hièbles ou des aneths. Il en fait autant pour les hêtres, les ormes, les chênes verts et les sapins. Aussi facilement que l’oiseleur, pour faire place nette à ses filets, arrache les joncs, la paille et les orties, Roland déracine les chênes et les vieux arbres séculaires. Les pasteurs qui entendent un tel fracas, laissant leurs troupeaux épars dans la forêt, accourent de tous côtés en grande hâte pour voir ce que c’est. Mais me voici arrivé à un point que je ne dois pas dépasser, sous peine de vous fatiguer avec mon histoire. J’aime mieux la suspendre un instant, que de vous ennuyer par sa longueur.